Sono tornati a casa i corpi dei 21 cristiani egiziani giustiziati dall’Isis nel 2015
I resti dei 21 cristiani copti egiziani uccisi tre anni fa dall’Isis e rinvenuti in una fossa comune vicino a Sirte nel settembre del 2017 riposeranno nella chiesa costruita per accoglierli ad al Our
I corpi dei 21 cristiani copti egiziani decapitati in Libia dall’Isis, lo Stato Islamico, nel 2015 sono stati riportati in patria il 14 maggio con un volo da Misurata al Cairo. Come tanti altri egiziani, erano emigrati per lavoro in Libia. Catturati dai jihadisti, erano stati condannati a morte, portati su una spiaggia di Sirte, all’epoca una roccaforte dell’Isis, per una esecuzione esemplare, filmata e pubblicata perché tutto il mondo vedesse che fine attende gli infedeli. Vestiti di tute color arancio, inginocchiati sulla sabbia, in fila, ognuno con un jihadista vestito di nero a viso coperto alle spalle: così sono stati ripresi al momento dell’esecuzione. In tutto l’Egitto le campane di chiese e monasteri hanno suonato a distesa per celebrare l’arrivo delle loro spoglie. Tra gli altri, ad accoglierle allo sbarco c’erano il patriarca copto ortodosso Tawadros II e il ministro egiziano per l’emigrazione Anba Makarios. Le salme saranno portate nel villaggio di al Our, di cui erano originari 13 dei cristiani giustiziati, per essere sepolti nella chiesa santuario costruita apposta per custodirli, inaugurata solennemente il 15 febbraio scorso. I corpi sono stati individuati nel settembre del 2017 in una fossa comune, presso Sirte: le mani legate dietro la schiena, con addosso le tute viste nel video, le teste accanto ai corpi. Le analisi del DNA hanno permesso di identificarli con certezza. Il vescovo copto cattolico emerito di Guizeh, Anba Antonios Aziz Mina, aveva commentato il video in una intervista rilasciata all’agenzia Fides definendolo un prodotto diabolico. Eppure – aveva osservato – nella messinscena creata per incutere terrore “si vede che alcuni dei martiri, nel momento della loro barbara esecuzione, ripetono ‘Signore Gesù Cristo’. Il nome di Gesù è stata l’ultima parola affiorata sulle loro labbra. Come nella passione dei primi martiri, si sono affidati a Colui che poco dopo li avrebbe accolti. E così hanno celebrato la loro vittoria, la vittoria che nessun carnefice potrà loro togliere. Quel nome sussurrato nell’ultimo istante è stato come il sigillo del loro martirio”.