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PAPA IN MESSICO

«Sono qui come un figlio a trovare sua madre, a Guadalupe»

Francesco si presenta subito come «un figlio che viene a trovare sua madre, la Vergine di Guadalupe, e a lasciarsi guardare da lei». Così infatti il Papa ha iniziato il suo discorso al Palazzo della Nazione, dove ha incontrato il presidente Pena Nieto e le autorità. Poi l'incontro con i vescovi del Paese, con la dura condanna del narcotraffico, «una metastasi che divora tutto e genera una grande violenza disgregatrice».

Ecclesia 14_02_2016
Papa Francesco in Messico

Dopo lo storico incontro con il patriarca Kirill a Cuba, Papa Francesco è arrivato in Messico, dove sabato 13 febbraio ha incontrato le autorità politiche e quindi i vescovi, prima del bagno di folla nella notte (italiana) al santuario di Guadalupe. Il Papa ha insistito sul dramma della droga e del narcotraffico, contro il quale ha indicato due antidoti: la difesa della famiglia, il primo baluardo contro le droghe, e il rilancio dell'evangelizzazione.

Parlando alle autorità, il Papa si è definito  «missionario di misericordia e di pace» e anche «un figlio che vuole rendere omaggio a sua madre, la Vergine di Guadalupe e lasciarsi guardare da lei». Il Messico, ha detto Francesco, ha un'enorme «ricchezza culturale non sempre facile da trovare e specialmente da valorizzare». Una ricchezza piena di diversità, ma radicata in un profonda tradizione cattolica, che oggi si trova di fronte a sfide drammatiche che vengono spesso da una politica inadeguata. Occorrerebbe saper privilegiare «quel “bene comune” che in questo secolo ventunesimo non è molto apprezzato. L’esperienza ci dimostra che ogni volta che cerchiamo la via del privilegio o dei benefici per pochi a scapito del bene di tutti, presto o tardi la vita sociale si trasforma in un terreno fertile per la corruzione, il narcotraffico, l’esclusione delle culture diverse, la violenza e persino per il traffico di persone, il sequestro e la morte». Francesco auspica «una politica autenticamente umana» e «una società nella quale nessuno si senta vittima della cultura dello scarto».

Nel lungo discorso ai vescovi, il Papa ha anzitutto ricordato la sua grande e antica devozione alla Vergine di Guadalupe. «Sapendo che qui si trova il cuore segreto di ogni messicano, ha detto, entro con passo delicato, come bisogna entrare nella casa e nell’anima di questo popolo, e vi sono profondamente grato di aprirmi la porta. So che guardando gli occhi della Vergine raggiungo lo sguardo della vostra gente che, in Lei, ha imparato a manifestarsi. So che nessun’altra voce può parlare tanto profondamente del cuore messicano come può parlarmene la Vergine; Ella custodisce i suoi desideri più alti e le sue più recondite speranze; Ella raccoglie le sue gioie e le sue lacrime; Ella comprende i suoi numerosi idiomi e risponde loro con tenerezza di Madre perché sono i suoi figli». Di fronte alla Guadalupana, il Papa confida di avere «riflettuto molto sul mistero di questo sguardo» della Madonna e di averne ricavato quattro parole d'ordine: tenerezza, capacità di tessere, attenzione, unità.

La prima parola è «tenerezza». «Anzitutto, la Vergine Morenita ci insegna che l’unica forza capace di conquistare il cuore degli uomini è la tenerezza di Dio. Ciò che incanta e attrae, ciò che piega e vince, ciò che apre e scioglie dalle catene non è la forza degli strumenti o la durezza della legge, bensì la debolezza onnipotente dell’amore divino, che è la forza irresistibile della sua dolcezza e la promessa irreversibile della sua misericordia». Con un accenno implicito anche alla vicenda dei Cristeros, il Papa ha descritto nella storia della Chiesa messicana periodi in cui «la sua voce fu fatta tacere e si cercò di amputare la sua presenza», macchiati di «tanto sangue, non senza impietose e strazianti convulsioni». 

Ma mai la Madonna di Guadalupe ha abbandonato il suo popolo. E oggi ci invita a chiederci: «La percezione che il mondo sia sempre e solamente da redimere non è antidoto all’autosufficienza prepotente di quanti credono di poter prescindere da Dio?». Spetta ai vescovi guidare il popolo a rispondere. Ma per questo, ha detto il Papa all'episcopato messicano «vigilate affinché i vostri sguardi non si coprano con le penombre della nebbia della mondanità; non lasciatevi corrompere dal volgare materialismo né dalle illusioni seduttrici degli accordi sottobanco; non riponete la vostra fiducia nei “carri e cavalli” dei faraoni attuali, perché la nostra forza è la “colonna di fuoco” che rompe dividendole in due le acque del mare, senza fare grande rumore». Il mondo, ha notato Francesco, si è fatto ancora più complesso. «E anche la prepotente idea del “cogito”, del famoso "cogito" che non negava che vi fosse almeno una roccia sopra la spiaggia dell’essere, oggi è dominata da una concezione della vita considerata da molti più che mai vacillante, mutevole e anomica, perché manca di un sostrato solido». La tecnologa che trionfando rischia di diventare tecnocrazia «rende vicino ciò che è lontano ma, purtroppo, rende distante ciò che dovrebbe essere vicino». 

Ma in questo mondo Dio è presente, e dunque la Chiesa deve essere presente. «Non perdete, dunque, tempo ed energie nelle cose secondarie, nelle chiacchiere e negli intrighi», raccomanda il Papa ai vescovi,«Se il nostro sguardo non testimonia di aver visto Gesù, allora le parole che ricordiamo di Lui risultano soltanto delle figure retoriche vuote. Forse esprimono la nostalgia di quelli che non possono dimenticare il Signore, ma comunque sono solo il balbettare di orfani accanto al sepolcro. Parole alla fine incapaci di impedire che il mondo resti abbandonato e ridotto alla propria potenza disperata». In Messico, ha proseguito il Papa, vi è oggi un gravissimo problema: il potere non solo messicano ma mondiale dei grandi trafficanti di droga «che, sedotti dalla vuota potenza del mondo, esaltano le chimere e si rivestono dei loro macabri simboli per commercializzare la morte in cambio di monete che alla fine tarme e ruggine consumano e per cui i ladri scassinano e rubano (cfr Mt 6,20). Vi prego, per favore, di non sottovalutare la sfida etica e anti-civica che il narcotraffico rappresenta per la gioventù e per l’intera società messicana, compresa la Chiesa». 

Qualche parola di circostanza non basta. «Le proporzioni del fenomeno, la complessità delle sue cause, l’immensità della sua estensione come metastasi che divora, la gravità della violenza che disgrega e delle sue sconvolte connessioni, non permettono a noi, Pastori della Chiesa, di rifugiarci in condanne generiche - forme di nominalismo - bensì esigono un coraggio profetico e un serio e qualificato progetto pastorale per contribuire, gradualmente, a tessere quella delicata rete umana, senza la quale tutti saremmo fin dall’inizio distrutti da tale insidiosa minaccia». Come fare? Il Papa risponde: «cominciando dalle famiglie», che sono la prima barriera contro la droga, e risanando poi la politica, fino a raggiungere anche il trafficante per ricordargli che «davanti a Dio avrà sempre le mani macchiate di sangue, per quanto abbia il portafoglio pieno di denaro sporco e la coscienza anestetizzata»

La seconda parola, tratta anch'essa dallo sguardo della Madonna di Guadalupe, è «capacità di tessere». «Nel manto dell’anima messicana Dio ha tessuto, con il filo delle impronte meticce della sua gente, il volto della sua manifestazione nella “Morenita”. Dio non ha bisogno di colori spenti per disegnare il suo volto. I disegni di Dio non sono condizionati dai colori e dai fili, bensì sono determinati dalla irreversibilità del suo amore che vuole tenacemente imprimersi in noi». Il Papa chiede ai vescovi di comprendere l'anima profonda del popolo messicano, senza dimenticare le sue culture indigene e la sua religiosità popolare, senza pretendere di cambiarla in nome di progetti ideologici. Occorre amare la storia del Messico e «ricordare al vostro Popolo quanto sono potenti le radici antiche che hanno permesso la viva sintesi cristiana di comunione umana, culturale e spirituale che si è forgiata qui. Ricordate che le ali del vostro Popolo si sono spiegate già più volte al di sopra di non poche vicissitudini. Custodite la memoria del lungo cammino fin qui percorso»

La terza parola è «attenzione». La Madonna di Guadalupe ha «uno sguardo attento e vicino, non addormentato. Vi prego di non cadere nella paralisi di dare vecchie risposte alle nuove domande. Il vostro passato è un pozzo di ricchezze da scavare, che può ispirare il presente e illuminare il futuro. Guai a voi se dormite sugli allori! Occorre non disperdere l’eredità ricevuta custodendola con un lavoro costante. Siete seduti sulle spalle di giganti: vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici fedeli “sino alla fine”, che hanno dato la vita affinché la Chiesa potesse compiere la propria missione. Dall’alto di tale podio siete chiamati a gettare uno sguardo ampio sul campo del Signore per programmare la semina e aspettare il raccolto». 

Non basta gestire: si tratta di evangelizzare. Secondo una «bella tradizione guadalupana, la “Morenita” custodisce gli sguardi di coloro che la contemplano, riflette il volto di coloro che la incontrano. Occorre imparare che c’è qualcosa di irripetibile in ciascuno di coloro che ci guardano alla ricerca di Dio. Tocca a noi non renderci impermeabili a tali sguardi. Custodire in noi ognuno di loro, conservandoli nel cuore, proteggendoli». Occorre amare i sacerdoti, i fedeli, i giovani. Nello stesso tempo, aggiunge il Papa dopo avere evocato l'amore grande di Dio, «può anche darsi che avendo trascurato un po’ il senso della sua grandezza si sia perso parte del timore reverenziale nei confronti di un tale amore. Dove abita Dio, l’uomo non può accedere senza essere ammesso, ed entra solamente “togliendosi i sandali” (cfr Es 3,5) per confessare la propria insufficienza». Questo «aver dimenticato di “togliersi i sandali” per entrare, non è probabilmente alla radice della perdita del senso della sacralità della vita umana, della persona, dei valori essenziali, della saggezza accumulata lungo i secoli, del rispetto per la natura?».

La quarta parola è «unità». La Madonna ci abbraccia tutti con uno sguardo «d’insieme e di unità. Solo guardando la “Morenita”, il Messico ha di sé una visione completa. Pertanto vi invito a comprendere che la missione che la Chiesa oggi vi affida - e sempre vi ha affidato - richiede questo sguardo che abbracci la totalità». Bisogna portare l'evangelizzazione, afferma il Papa, a tutto il Messico e a tutti i messicani, anche a quelli emigrati all'estero nella diaspora, cui i vescovi dovrebbero inviare sacerdoti che parlano la loro lingua e comprendono la loro storia: «vi chiedo di non lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà e di non risparmiare ogni possibile sforzo per promuovere, tra di voi e nelle vostre diocesi, lo zelo missionario, soprattutto verso le parti più bisognose dell’unico corpo della Chiesa messicana. Riscoprire che la Chiesa è missione è fondamentale per il suo futuro, perché solo l’entusiasmo, lo stupore convinto degli evangelizzatori ha la forza di trascinare».

E Francesco insiste sulla «formazione e la preparazione dei laici, superando ogni forma di clericalismo e coinvolgendoli attivamente nella missione della Chiesa, soprattutto rendendo presente, con la testimonianza della propria vita, il vangelo di Cristo nel mondo». Cristo, infatti, «è la sorgente di acqua viva; dal suo respiro promana lo Spirito che distende le vele della barca ecclesiale. In Cristo glorificato, che la gente di questo popolo ama onorare come Re, accendete uniti la luce, ricolmatevi della sua presenza che non si estingue; respirate a pieni polmoni l’aria buona del suo Spirito. A voi spetta seminare Cristo nel territorio, tenere accesa la sua luce umile che rischiara senza abbagliare, assicurare che con le sue acque si sazi la sete delle vostra gente, alzare le vele affinché il soffio dello Spirito le dispieghi e non s’incagli la barca della Chiesa in Messico».