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MOSUL

Soldati italiani sacrificati per una diga. Così vuole Obama

L’Isis sta preparamdo un attacco in grande stile alla diga di Mosul, in Iraq, presidiata da quasi 500 militari italiani e da miliziani curdi. All'Isis però non interessa prendere la diga, solo uccidere molti “crociati”, cioè i militari italiani. Che sono a Mosul a difedere un obiettivo inutile, solo perché l’hanno deciso di Stati Uniti. 

Editoriali 10_09_2016
Soldato italiano in Iraq

Anche se fonti militari hanno minimizzato, pur confermandone i rischi, l’allarme per un attacco su vasta scala dello Stato Islamico alla Diga di Mosul reso noto dal sito d’intelligence Wikilao è specifico e molto dettagliato.

La diga sul fiume Eufrate, 50 chilometri a nord della “capitale” dell’Isis in Iraq, è presidiata da quasi 500 militari italiani e da miliziani curdi. «Nei piani dello Stato Islamico non c’è un singolo attentato, ma un attacco in grande stile, su cui si lavora da mesi», hanno spiegato fonti qualificate al sito diretto da Lao Petrilli. «La macchina dell’operazione è ormai avviata», si aggiunge, sebbene venga condotta in segretezza dagli uomini del Califfato, evidentemente intenzionati a sfruttare al massimo l’effetto-sorpresa. Nessun proclama sul web, dunque, esattamente come avviene alla vigilia degli attacchi più spettacolari del sedicente Stato Islamico.

Ci sono però molti movimenti sul terreno che hanno tradito i miliziani, permettendo all’intelligence di capire molto su quanto in preparazione. Per l’attacco alla munita infrastruttura l’Isis avrebbe mobilitato 200 dei suoi migliori combattenti sparpagliati in diversi villaggi (Zanazil e Zarnuq fra di essi) dopo un raduno nei pressi delle alture di Badush, ad una quindicina di chilometri da Mosul. Si tratta di jihadisti stranieri: francesi, russi, libici caucasici e tunisini come Saleh Bin Ahmed al-Harbi, ritenuto l’organizzatore dell’attacco che ha messo alla testa dei miliziani un uomo chiamato Abdel Aziz Hussein al-Mashadani. Per la missione sono stati arruolati cecchini e combattenti esperti, ai quali aprirebbe la strada un’avanguardia di kamikaze ceceni, ma la diga, a soli 10 chilometri dal fronte, è a tiro anche delle artiglierie del Califfato composte da obici da 122 e 130 millimetri e lanciarazzi campali.?

L’operazione, chiamata Gazwat al-Mawt (“Conquista della morte”), sarebbe stata ordinata nei mesi scorsi da Abu Bakr al-Baghdadi. «Warning del genere, in operazioni di questo tipo, sono di routine. La cosa importante è che i servizi della Coalizione siano pronti ad intervenire. Non si sottovalutano i rischi e tutte le misure di prevenzione sono operative»,  hanno commentato fonti militari all’agenzia Adnkronos. Difficile però credere che l’Isis voglia abbattere la diga che la ditta Trevi di Cesena si accinge a consolidare (i lavori dovrebbero prendere il via proprio in questi giorni) sotto la protezione della task force Praesidium composta dai bersaglieri del 6° reggimento.

Il Califfato ha controllato la diga di Mosul per alcuni mesi, nell’estate del 2014, senza neppure danneggiarla così come non ha mai distrutto le altre dighe sotto il suo controllo. Distante appena 10 chilometri dalle postazioni dell’Isis, la diga potrebbe venire attaccata con l’artiglieria se fosse davvero un bersaglio per il Califfato. Del resto, le alluvioni provocate dal crollo della diga colpirebbero soprattutto popolazioni sunnite, cioè quella parte della popolazione irachena su cui si basa il consenso di cui gode il Califfato.

Inoltre l’attacco alla diga sarebbe suicida (come tradisce il nome stesso dell’operazione dell’Isis) perché le forze italiane e curde che proteggono la diga sono soverchianti e potrebbero ricevere rapidamente rinforzi da Erbil dove l’Italia schiera 8 elicotteri, forze speciali e un piccolo reparto di fanti aeromobili. L’unica ragione che può rendere pagante per l’Isis un attacco suicida condotto dai suoi migliori combattenti, fatti giungere a Mosul appositamente da Raqqah, non è quindi la diga ma la possibilità di uccidere soldati infedeli, i “crociati” della Coalizione internazionale.

Un’azione eclatante che dimostrerebbe la vitalità del Califfato nonostante le sconfitte, ancora più importante perché conseguita alla vigilia dell’annunciata grande offensiva irachena tesa a riconquistare la città difesa secondo fonti statunitensi da circa 4.500 miliziani. Colpire gli italiani alla diga costituirebbe quindi anche un’efficace effetto propagandistico e del resto non vi sono altri militari della Coalizione schierati così vicino alla prima linea, peraltro per una missione inutile e priva di obiettivi militari, ma che a Roma ha subìto in seguito alle pressioni statunitensi che vogliono un maggior coinvolgimento bellico italiano nella guerra all’Isis.

Non ha alcun senso esporre i bersaglieri, in una postazione fissa, al fuoco e agli attentati dell’Isis considerato che il contingente italiano non prenderà parte all’offensiva su Mosul. La diga è presidiata da truppe curde e i tecnici della Trevi potevano essere protetti assoldando contractors come fanno tutte le aziende che hanno cantieri aperti in Paesi pericolosi. L’operazione della Task Force Praesidium non è giustificata neppure da ragioni finanziarie poiché la Trevi incasserà 300 milioni di dollari (invece dei 2 miliardi annunciati nel dicembre scorso da Matteo Renzi) per lavori di consolidamento della durata di un anno e mezzo. Alternare per lo stesso periodo tre battaglioni di fanteria in turni semestrali costerà al contribuente italiano più o meno la stessa cifra.