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l'affaire londinese

Sloane Avenue: focus su Becciu, ma gli imputati sono dieci

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Tra quanti avrebbero causato un danno d'immagine di 138 milioni di euro (questa la cifra chiesta dalla Segreteria di Stato) i religiosi sono solo due. Urge qualche domanda sui criteri di selezione dei collaboratori laici.

Ecclesia 29_09_2023

L'affare del palazzo di Sloane Avenue ha fatto perdere complessivamente poco più di 100 milioni di euro alla Santa Sede, ma agli imputati del processo scaturito da quell'acquisto se ne chiedono 138 per i danni d'immagine.

Questa è la cifra, anticipata dal Corriere della Sera, che una perizia di consulenti ingaggiati dalla Segreteria di Stato avrebbe quantificato. La Segreteria di Stato ne vorrebbe chiedere conto ai dieci imputati monsignor Mauro Carlino, René Brülhart, Enrico Crasso, Tommaso Di Ruzza, Cecilia Marogna, Raffaele Mincione, Nicola Squillace, Fabrizio Tirabassi, Gianluigi Torzi e, ovviamente, il cardinale Angelo Becciu. Soldi che si aggiungono a quelli delle richieste di confisca presentate lo scorso luglio nella requisitoria del promotore di giustizia, Alessandro Diddi. Per l'ex sostituto, grande protagonista del processo nel quale ha respinto ogni accusa, oltre ad una multa di 10mila euro era stata chiesta la confisca di 14 milioni di euro. Una richiesta di sequestro che potrebbe essere per equivalente dal momento che è difficile credere ad una disponibilità economica così ingente del porporato sardo. 

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando, ormai quattro anni fa, il cardinale Segretario di Stato si fece sfuggire in pubblico le prime perplessità sull'operazione immobiliare londinese definita «opaca». All'epoca Becciu, ancora a capo della Congregazione delle Cause dei Santi, non lasciò passare quel giudizio del suo  ex superiore e difese l'investimento ricordando che la Santa Sede aveva sempre investito nel mattone, anche a Londra. Non diceva una bugia il cardinale sardo dal momento che la strategia incentrata sul mercato immobiliare risale ai tempi di Bernardino Nogara, l'uomo a cui Pio XI mise in mano il gruzzolo con cui lo Stato italiano liquidò la questione romana nell'ambito dei Patti Lateranensi.

Il problema non era l'acquisto di un palazzo nella City ma il contorno di quell'affare che ha condotto all'apertura di un'indagine e poi di un processo in Vaticano. Quattro anni dopo quella prima ammissione di Parolin, la Segreteria di Stato arriva a rinfacciare i danni d'immagine al suo ex numero due dopo che il successore, monsignor Edgar Peña Parra, ha parlato apertamente di «truffa». Nella stessa deposizione dell'attuale sostituto emerge il ruolo centrale di monsignor Alberto Perlasca, figura apicale della sezione per gli affari generali della Segreteria di Stato al tempo dei fatti. Le parole di Peña Parra hanno sollevato non pochi dubbi sulla condotta di Perlasca nei momenti chiave di questo affaire, in particolare nella clamorosa perdita del controllo della società a cui faceva capo il palazzo. Nonostante la firma dei contratti che attribuirono al broker Gianluigi Torzi le mille azioni con diritto di voto della società controllante sia stato probabilmente il momento clou della dispendiosa operazione londinese, il nome di Perlasca non è nell'elenco degli imputati. L'ex perno della prima sezione non sarà destinatario della richiesta di risarcimento per danno d'immagine. 

L'attenzione mediatica sulla vicenda è stata catturata dalla figura di Becciu, primo cardinale a finire alla sbarra in Vaticano dopo un motu proprio ad hoc di Francesco che prima ancora lo aveva punito privandolo dei diritti del cardinalato. Tuttavia, non sarebbe male se lo scandalo di Sloane Avenue potesse far sorgere qualche domanda in più sulla selezione dei laici che hanno avuto incarichi o collaborazioni di responsabilità all'interno della Curia e dello Stato. Nella lista di coloro i quali avrebbero creato – secondo la Segreteria di Stato – un danno d'immagine da 138 milioni di euro, infatti, i religiosi sono solo due. 



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