Siria, l’omicidio del sacerdote armeno mostra che l’Isis non è sconfitto
Padre Petoyan, parroco della chiesa di San Giuseppe a Qamishli, è stato ucciso sulla strada verso Deir ez-Zor. L’attentato conferma che i cristiani in Siria sono in grave pericolo, stretti tra la minaccia dello Stato Islamico, la propaganda di turchi e curdi, e i tentativi di questi ultimi di “curdizzazione” delle aree da loro controllate.
L’Isis sconfitto? Assolutamente no e di certo non nella Siria nordorientale, oggi teatro di scontro tra curdi e turchi. È in questa regione che lunedì 11 novembre è stato ucciso il sacerdote armeno-cattolico Hanna Hovsep Petoyan. Una violenza rivendicata dallo Stato Islamico e che conferma quanto più temuto dai cristiani dell’area, ovvero che l’Isis non è mai stato sradicato da quelle terre e che il conflitto tra curdi e Turchia ne favorirà probabilmente un ritorno in auge.
Padre Petoyan, parroco della chiesa di San Giuseppe a Qamishli, si stava recando in macchina a Deir ez-Zor, una città molto cara per gli armeni, perché è proprio di fronte ad essa, sulle rive del fiume Eufrate, che sono state massacrate decine di migliaia di armeni nel 1915. E proprio a Deir ez-Zor vi era la “Chiesa Memoriale del Genocidio Armeno” con annesso museo con i resti delle vittime dei massacri sofferti dagli armeni in territorio ottomano tra il 1915 e il 1916. Nel settembre 2014, l’Isis aveva però conquistato gran parte della città e devastato la chiesa.
La pur minima tranquillità raggiunta con la pacificazione di molte aree della Siria aveva permesso alla comunità armena di iniziare a ricostruire la chiesa e le case dei cristiani un tempo residenti in città, tutti fuggiti all’arrivo dell’Isis. Un passo significativo perché era forte la speranza di poter ricostruire una delle comunità più importanti per la Chiesa armeno-cattolica. È per questo che padre Petoyan stava andando a Deir ez-Zor, per controllare i lavori alla chiesa.
In macchina con il sacerdote 43enne vi erano suo padre, il diacono della chiesa armena di Hassaké e un laico. Ad un tratto una moto ha affiancato la loro auto. I due uomini in sella hanno iniziato a sparare. Il padre del religioso è morto sul colpo, mentre lui è rimasto gravemente ferito. Il diacono e il laico si sono nascosti dietro ai sedili dell’auto e, una volta andati via gli assassini, sono riusciti a portare padre Petoyan prima in ospedale a Deir ez-Zor e poi in uno più specializzato ad Hassaké. Ma il sacerdote è morto proprio di fronte a questo secondo nosocomio.
La piccola comunità armeno cattolica piange il suo pastore - ieri alle 12 ora locale sono stati celebrati i funerali – e si chiede perché sia stato ucciso. Le indagini sono in corso, ma la risposta sarebbe stata piuttosto evidente anche qualora non vi fosse stata la rivendicazione dell’Isis. Come spiegato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre dall’arcivescovo armeno-cattolico di Aleppo, monsignor Boutros Marayati, padre Petoyan indossava – come sempre – il clergyman e la sua macchina portava sul cofano una grande scritta “Chiesa armeno-cattolica”. Nessun dubbio che i suoi aguzzini lo avessero identificato in quanto uomo di Chiesa. Per monsignor Marayati non si può neanche escludere che dietro al delitto possa esservi la mano turca. «Non vi sono prove, ma da sempre Isis è sostenuto e coperto dai turchi. E poi la Turchia non vuole che sia ricostruita la chiesa memoriale del genocidio a Deir ez-Zor».
Tra paure e supposizioni vi è una drammatica certezza. A ogni violenza, quest’area della Siria (e non solo questa) continua a svuotarsi di cristiani. A Qamishli gli armeno-cattolici erano 5.000 prima della guerra, ora sono 2.000. Anche la comunità siro-cattolica ha perso più del 25% dei propri fedeli in questa città, che negli ultimi anni ha visto diversi attacchi alle chiese, come quello del 12 luglio scorso quando un’autobomba è esplosa all’esterno della chiesa siro-ortodossa della Vergine Maria, ferendo 13 cristiani. Anche quest’attentato è stato rivendicato dall’Isis. Lo stesso giorno dell’omicidio di padre Petoyan, a Qamishli, sono esplose altre tre autobombe, di cui una vicino alla chiesa caldea.
I cristiani hanno abbandonato molti villaggi e città lungo il confine con la Turchia, tra cui Ras al-Ain, Derbasiyah, Tall Tamr. «I bombardamenti e soprattutto i massacri commessi dai turchi contro la nostra comunità, spingono sempre più cristiani a fuggire», ha denunciato sempre ad ACS monsignor Nidal Thomas, rappresentante episcopale della Chiesa caldea ad Hassaké: «Noi cristiani siamo il popolo che più ha sofferto a causa di questo interminabile conflitto. Siamo l’anello debole, perché vogliamo vivere in pace e rifiutiamo la guerra». E difatti, tra scontri e giochi geopolitici, a pagarne le conseguenze è soprattutto la comunità cristiana, perfino sfruttata per la rispettiva propaganda di turchi e curdi. Questi ultimi accusano le truppe di Erdogan di aver scelto i cristiani come bersaglio mirato della propria offensiva militare. Ankara risponde che sono i curdi a lanciare attacchi contro le proprie truppe da aree cristiane, costringendole così a colpire l’ormai minuta minoranza.
I turchi denunciano inoltre le pressioni dei miliziani curdi legati al Partito Democratico Curdo sulle comunità cristiane per spingerle a prender parte agli scontri contro la Turchia. È utile qui aggiungere come, nella regione autonoma curdo siriana del Rojava, da tempo i curdi abbiano tentato di mettere in atto un tentativo di “curdizzazione” che implica la cancellazione della presenza cristiana. Nell’agosto 2018 la Federazione democratica della Siria del Nord ha chiuso ad esempio alcune scuole cristiane che si erano rifiutate di uniformarsi al programma di studi imposto dai curdi.
In tutto questo aleggia la paura di un ritorno in forze dell’Isis, sfruttato/sostenuto dai turchi. Secondo il Rojava Information Center, l'invasione turca della Siria settentrionale e orientale avrebbe provocato un aumento del 48% degli attacchi di cellule dormienti dello Stato Islamico. La fonte utilizza certamente i dati in chiave propagandistica, ma il rischio è reale e gli attacchi sono effettivamente identificati.
Così come è reale il pericolo che la presenza cristiana nell’area si estingua, nell’inerzia più totale dell’Occidente. Un Occidente con il quale i cristiani sono spesso identificati e per questo colpiti e usati per ottenere l’attenzione dei media internazionali. Un Occidente che tuttavia rimane impassibile agli appelli accorati delle comunità cristiane. L’ultimo lanciato proprio ieri da monsignor Marayati: «Noi chiediamo solamente che questa guerra finisca. Ma ciò non potrà avvenire se continuate ad aiutare i terroristi e ad inviare armi in Siria!».