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TREGUA VIOLATA

Siria, la guerra riprende dopo un "errore" americano

E' durata poco la speranza per la nuova tregua in Siria. In questo caso, a spezzare la tregua sono stati incredibilmente gli americani, con un raid aereo contro le truppe siriani. Ufficialmente è un "errore", ma le altre parti in causa non ci credono e si chiedono perché lo abbiano fatto.

Esteri 20_09_2016
Samantha Power

L'annuncio ufficiale l'ha dato al tramonto il ministero della Difesa siriano: il cessate il fuoco in Siria è finito. Con la conferma arrivata molto in fretta, attraverso la pioggia di fuoco che è tornata ad abbattersi su Aleppo. Su tutta Aleppo: la parte est, quella in mano ai ribelli bombardata dai raid pesanti dell'aviazione di Damasco e Mosca; ma anche la parte ovest, quella governativa, presa di mira altrettanto massicciamente dai colpi di mortaio dei ribelli. È successo ieri sera, ma ormai era chiarissimo da sabato che anche questo tentativo di tregua concordato da Stati Uniti e Russia come premessa all'apertura di un negoziato politico sul futuro della Siria stava finendo in frantumi.

A dare il colpo di grazia a un'intesa mai decollata davvero ci ha pensato sabato un incredibile raid della coalizione americana (con la partecipazione pure di caccia australiani, danesi e inglesi, si è saputo ieri): a Deir Ezzor - nell'est della Siria - sono andati a colpire proprio l'altura dalla quale l'esercito siriano difendeva la parte della città non ancora nelle mani dell'Isis. Lasciando dietro di sé almeno 60 soldati morti (siriani ma probabilmente non solo) e una situazione precaria (ancora ieri le milizie del sedicente califfato, fino all'altro giorno date in grave difficoltà in tutta la Siria, hanno provato nuovamente ad avanzare a Deir Ezzor per incassare questo gentile omaggio della coalizione alleata; almeno per il momento - però - l'avamposto di Damasco, grazie al sostegno della più «precisa» aviazione russa, resiste).

Al Consiglio di sicurezza dell'Onu l'ambasciatrice degli Stati Uniti Samantha Power ha provato a spiegare il raid parlando di un errore di obiettivo in un'azione che in realtà avrebbe voluto colpire l'Isis. Ma né Damasco né - tanto meno - Mosca, l'hanno presa benissimo e hanno puntato il dito contro le ambiguità di Washington; non solo nella lotta ai gruppi qaedisti (che era poi intorno al quale era stato costruito il cessate il fuoco) ma anche nell'atteggiamento nei confronti dello stesso Stato Islamico.

E allora la domanda diventa: che cosa è successo davvero sabato a Deir Ezzor? Ieri da Aleppo - come suo solito - il vicario apostolico per i latini, padre Georges Abou Khazen, si è espresso in maniera molto chiara: «Qui nessuno crede che si sia trattato di un errore», ha dichiarato. Ed è difficile dargli torto: quella di Deir Ezzor è una situazione del tutto particolare, dove non c'era un fronte in movimento. E comunque la stessa ipotesi dell'errore non spiegherebbe nulla; perché la domanda comunque diventerebbe: da chi è arrivata la segnalazione delle coordinate sbagliate di quell'obiettivo?

Il problema vero - ancora una volta – sta nell'estrema debolezza politica su cui si fondava il cessate il fuoco. Perché dietro alle armi fatte tacere ad Aleppo non c'era affatto un'idea condivisa sulla soluzione del conflitto. E - fatto ancora più grave - non c'è nemmeno a Washington; non è un mistero, ad esempio, che il ministero della Difesa (più sensibile alle sirene saudite) abbia mal digerito l'accordo che era stato raggiunto da Kerry con Lavrov. E in questa stessa settimana in cui si cercava di far tacere le armi mandava in scena lo spettacolo non proprio edificante delle proprie forze speciali impegnate a entrare in Siria a fianco con gli uomini del Free Syrian Army in un nuovo improvviso ritorno di fiamma con Ankara. Salvo poi essere buttate fuori da un gruppo di miliziani non esattamente moderati che non si fidano di loro; ma indomiti subito riprovarci con un altro gruppo da un altro valico turco. Il tutto mentre - poco più a est, nei territori controllati dai curdi -, spuntavano bandiere stelle e strisce, per evitare che altre forze speciali Usa finissero bombardate dai turchi che ormai coi curdi ovunque non vanno troppo per il sottile. In una confusione del genere è così impensabile che qualcuno nella difesa americana abbia pensato a un colpo di mano in grado di spazzare via la linea trattativista del segretario di Stato Kerry oltre che i rinforzi siriani appena arrivati a Deir Ezzor?

Perché il punto vero oggi non è solo il braccio di ferro su Aleppo, ma anche la spartizione della zona dove tuttora è presente l'Isis in Siria. Mentre si continuava infatti a discutere sui convogli da far passare oppure no, il Free Syrian Army sponsorizzato da Ankara continuava ad avanzare indisturbata nell'area a nord di Aleppo dove fino a ieri c'era l'Isis. E - fiutando il clima - ieri il presidente turco Erdogan ha gettato la maschera dicendo senza reticenze che la sua intenzione è quella di allargare l'attuale «zona di sicurezza» creata in Siria, portandola dagli attuali 900 chilometri quadrati a 5000. «Arriveremo fino ad al-Bab», ha detto. Che significa - poi - a una manciata di chilometri dalla stessa Aleppo. E con la possibilità poi da lì di marciare anche verso Raqqa, come Obama avrebbe ventilato allo stesso Erdogan durante il recente incontro tenutosi al G20. 

Che ne pensa Mosca di tutto questo? È già finita l'intesa con l'uomo forte di Ankara? Oppure - al di là dei discorsi di Bashar al Assad - la Russia è disposta ad accettare questa spartizione mascherata da «zona di sicurezza»? L'unica cosa chiara è che da stanotte in Siria si è ripreso a combattere e morire. Ancora una volta per giochi e ambizioni che con la vita concreta di chi resta sotto le macerie hanno ben poco a che fare.