Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
TEMPI MODERNI

Sfogo di un boomer contro la vita digitale

Un’enorme gamma di servizi richiede di scaricare applicazioni, inserire “nome utente e password” (che il sistema ricorda), avere uno smartphone o un Pc, come se fosse un obbligo possederli. Perché il controllo della nostra intera vita - compresi i nostri risparmi, la nostra pensione, le credenziali professionali - dipendono da un oggetto? Ma c’è chi dice no...

Editoriali 10_09_2022

Quest’estate ho deciso di fare un salto al Meeting di Rimini; per entrare mi hanno chiesto di scaricare un’applicazione (e di inserire nome utente e password). Grazie a Dio i volontari sono stati misericordiosi e approntavano un QrCode cartaceo per chi non era in grado di compiere la semplice operazione (come me). Tornando, mi sono fermato a fare salass… ehm… gasolio; al momento del pagamento, ho chiesto la fattura elettronica. Il gestore mi ha chiesto di scaricare l’applicazione (nome utente e password). Ora: il gestore è obbligato per legge a farmi la fattura elettronica; ma io sono obbligato a scaricare un’applicazione per ogni marchio (IP, Shell, Q8…)? E sono obbligato a possedere un cellulare? È previsto per legge? Sta scritto nella Costituzione?

Appena tornato, mi sono deciso ad andare dal barbiere. Si può comodamente prenotare l’appuntamento grazie ad una simpatica applicazione (nome utente e password). Anche in questo caso, il misericordioso barbiere ha avuto compassione di un boomer (cioè io) e mi ha prenotato un appuntamento di persona. In questi giorni mi sono iscritto ad un corso. Ovviamente ho dovuto farlo on line e produrre nuovi “nome utente e password”. Voglio andare a teatro? I biglietti si prenotano on line, ovviamente con “nome utente e password”. Vado a fare la spesa? Mi propongono un’applicazione (nome utente e password). Vogliono semplicemente il mio indirizzo di posta elettronica per il marketing? E non possono semplicemente chiedermelo?

Davvero è previsto che io mi ricordi tutti i “nome utente e password”? I primi me li appuntavo, adesso sono diventati troppi e ci ho rinunciato; però ho notato che se li ricorda il mio Pc. Comodo, grazie. Io non conosco le mie password; Microsoft, invece, sì. Chi, dunque, è proprietario del mio conto in banca (a proposito: dove sta scritto che sono obbligato ad avere un conto in banca?)? Io o Microsoft?

Per accedere al sito del mio ordine professionale serve l’identità digitale, lo SPID. Serve anche per entrare nel sito dell’ente che gestisce il mio fondo pensione, e in ogni sito dell’amministrazione pubblica. Quindi, oltre ad essere obbligato ad avere un conto corrente e un cellulare (zeppo di applicazioni), devo anche avere un’identità digitale. Quella ontologica non basta? Ma il punto non è questo. Il punto è che il mio SPID (ça va sans dire) non funziona. Io ho scelto un “codice”, me lo sono appuntato ma, quando lo digito, il sistema operativo mi fa sapere che è errato. Per averne uno nuovo devo cambiare password: lo faccio, me l’appunto e Microsoft la memorizza (solo a me preoccupa questa cosa?). Poi, quando la digito… scopro che è errata!

Come mi sono trovato in questo incubo, dal quale ormai dispero di uscire? Perché non posso affrontare la vita andando a parlare di persona con un impiegato, anche scorbutico, ma in carne e ossa? E se qualcuno (come me) è irrimediabilmente inetto, dimentica le password, sbaglia le procedure e, anche quando non le sbaglia, non ce n’è una che gli vada bene? C’è un assistente in carne e ossa, per i boomer analfabeti digitali come me, o l’unica soluzione è l’eutanasia informatica? Sono l’unico che vive questo inferno? Ma la domanda che più mi tormenta è: chi ha deciso che sono obbligato ad avere un telefono (anzi: uno smartphone), un conto corrente e un’identità digitale? Da quale legge, votata da chi? Ma soprattutto: perché? Perché tutto questo?

Per la nostra sicurezza? A dire il vero non sono mai stato derubato; ma (nonostante procedure di sicurezza e codici) hanno clonato più volte il bancomat a mia moglie. E se mi viene un’amnesia e, al momento di digitare il pin della carta di credito per pagare il carburante, vengo colto da un’improvvisa amnesia? Non è una battuta, è accaduto proprio l’altro giorno. Per fortuna avevo abbastanza contanti (che vogliono eliminare). E se rincoglionisco e mi dimentico i vari pin e le varie password? Se smarrisco il taccuino sul quale (inutilmente) le annoto? E se il telefono si guasta? Se Microsoft o Android decidono di non ricordarmele? E se capita un altro millennium bug? E se una tempesta elettromagnetica azzera tutto il nostro mondo digitale? E se i prospettati razionamenti e black out ci impedissero di accedere ai servizi? Se qualcuno dovesse hackerare o cancellare la mia identità digitale? Impossibile, ci sono dei sofisticatissimi sistemi di sicurezza. Non lo dicevano anche dei green pass, che sono stati regolarmente hackerati?

E allora… perché? Perché il controllo della nostra intera vita (compresi i nostri risparmi, la nostra pensione, le credenziali professionali) dipendono da un oggetto (per me) misterioso e sono, sostanzialmente, in mano ad altri?

Per fortuna, non mi sento solo. In Spagna, l’ex medico Carlos San Juan De Laorden ha lanciato una petizione contro la digitalizzazione dei servizi bancari. Ha preso la decisione quando si è lamentato di non poter effettuare alcune operazioni allo sportello ma di essere obbligato ad usare uno smartphone e un’applicazione (nome utente e password): gli è stato risposto che poteva cambiare banca (come se le altre banche spagnole non fossero anch’esse digitalizzate). La sua petizione, con lo slogan «Sono vecchio, non stupido», ha raccolto in poco tempo 647.880 sostenitori. Non tanti, ma nemmeno pochi.