Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Francesco di Sales a cura di Ermes Dovico
Magistratura

Separazione delle carriere, una riforma con alcuni punti critici

Ascolta la versione audio dell'articolo

Il disegno di legge costituzionale “Meloni-Nordio” sulla separazione delle carriere nella magistratura presenta alcuni punti critici, innanzitutto di metodo, dimenticando la lezione di Calamandrei. E una riforma della materia può prevedere altre soluzioni, senza necessariamente passare dalla modifica della Costituzione.

Politica 24_01_2025
Ministro Carlo Nordio, 8 gennaio 2025 (LaPresse)

Il Governo della Repubblica ha presentato alla Camera dei Deputati, il 13 giugno 2024, il disegno di legge costituzionale (A.C. n. 1917) contenente «Norme in materia di ordinamento giurisdizionale ed istituzione della Corte disciplinare». Dopo aver completato l’iter in Commissione, il 9 dicembre 2024 il testo è stato inviato all’Aula di Montecitorio per la discussione, dove, il 16 gennaio 2025, ha ottenuto la prima approvazione.

La proposta di revisione, come è noto, interviene sulla Parte II, Titolo IV, della Costituzione vigente, rompendo il modello costituzionale di unicità della Magistratura ordinaria, mediante la creazione di due distinti Consigli Superiori, uno per i magistrati giudicanti e l’altro per i magistrati inquirenti. Ciò porterebbe alla formazione di due magistrature non solo funzionalmente, ma anche culturalmente e istituzionalmente diversificate. Inoltre, la proposta prevede che il potere disciplinare venga sottratto ai due CSM e affidato a un’Alta Corte, con possibilità di impugnazione non più davanti alla Cassazione, ma unicamente alla stessa Alta Corte che giudicherà, anche per motivi di merito, in composizione diversa.

L’obiettivo del Governo sarebbe quello di costruire un ordinamento giurisdizionale funzionale al principio delle «distinte carriere» (così come previsto dall’art. 102, comma 1, del testo del disegno di legge), principio che verrebbe elevato a rango costituzionale. In particolare, al fine di contrastare il fenomeno del correntismo (che, di per sé, non è un elemento negativo, essendo funzionale al pluralismo all’interno del CSM), la proposta di revisione, pur mantenendo invariata la proporzione tra i membri «laici» e quelli «togati» nei due CSM (un terzo e due terzi), e tra i membri di diritto (il Presidente della Repubblica che presiede entrambi, il Primo Presidente della Corte di Cassazione e il Procuratore generale della stessa, a seconda del CSM), introduce il criterio del sorteggio. L’unica differenza consiste nel fatto che i membri «laici» sono sorteggiati (c.d. sorteggio temperato) tra una platea di soggetti scelti dal Parlamento in seduta comune, tra avvocati con almeno quindici anni di esercizio e professori universitari ordinari di materie giuridiche, mentre i membri «togati» vengono sorteggiati direttamente.

Ora, in merito al metodo seguito, il Governo Meloni (come i precedenti) sembra dimenticare la grande lezione di Piero Calamandrei (1889-1956), uno dei fondatori del Partito d’Azione. Secondo Calamandrei, quando si trattano modifiche costituzionali, i banchi dell’Esecutivo dovrebbero rimanere vuoti. Non si tratta di una preclusione giuridico-costituzionale, ma di una scelta politica precisa: ogni volta che si interviene sul Testo fondamentale, bisognerebbe lasciare mano libera alle Camere, anche nella fase di iniziativa legislativa, in ragione del ruolo centrale che esse rivestono nel nostro sistema di governo.

In secondo luogo, sorgono perplessità circa il metodo del sorteggio «secco» per la parte «togata» dei due CSM. Innanzitutto, dal punto di vista delle modalità di elezione, viene meno la simmetria tra i due tipi di sorteggio. I membri «laici» mantengono, infatti, la possibilità di eleggere l’intera rosa dei successivi sorteggiabili; viceversa, il sorteggio «secco» riduce la Magistratura ordinaria a una «corporazione indifferenziata», annullando qualsiasi possibilità di promuovere idee e iniziative. Del resto, un magistrato (sia inquirente che giudicante) estratto a sorte parla solo per sé stesso e ricopre l’ufficio per il «capriccio della sorte»: si può sorteggiare un comune collegio di diritto pubblico (ad esempio, una giuria popolare), ma non la componente di un organo di rilievo costituzionale, attraverso il quale si articola l’ordinamento giuridico, che deve necessariamente riflettere i principi democratici e i valori della ragione democratica. Il vero problema, infatti, non è tanto il correntismo, quanto la sua degenerazione, che non solo è stata smentita nei fatti (si pensi, ad esempio, ai casi Salvini, Renzi, ecc.), ma che certamente non si può risolvere con riforme costituzionali, poiché dipende da aspetti della persona che prescindono dalla sfera giuridica in senso stretto.

In terzo luogo, dubbi sorgono anche riguardo all’attribuzione del potere disciplinare, non più ai due CSM, ma a un’Alta Corte composta da quindici membri (come previsto dall’art. 105 del Ddl). Non si tratta solo di «amputare una funzione essenziale dell’autogoverno», come ha sottolineato il recente parere critico del CSM sul disegno di legge costituzionale «Nordio», ma anche di derogare al divieto costituzionale di istituire giudici speciali (art. 102 della Costituzione), oltre a deviare dalla scelta stessa del Governo Meloni di mantenere separate le carriere. La sostanziale identità di illeciti per i magistrati inquirenti e giudicanti, che potrebbe emergere dalla lettura della relazione di accompagnamento al disegno di legge, sembrerebbe porsi in contrasto con la distinzione tra i due gruppi. In essa, infatti, si afferma che l’Alta Corte dovrebbe promuovere un livello professionale e deontologico omogeneo per tutti i membri delle carriere giudicante e requirente.

Tutto questo non significa affatto mantenere lo status quo e non accorgersi dei problemi presenti. Ad avviso di chi scrive potrebbero essere altre le soluzioni da adottare a Testo fondamentale invariato. Posto che, come ha precisato Palazzo della Consulta con la nota sentenza n. 37/2000, la Costituzione non contiene «alcun principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti rispettivamente alle funzioni giudicanti e a quelle requirenti, o che impedisca di limitare o di condizionare più o meno severamente il passaggio dello stesso magistrato, nel corso della sua carriera, dalle une alle altre funzioni» (punto 5 del cons. in dir.), perché, in luogo del criterio del sorteggio «secco» per i togati, non si introduce, tramite legge ordinaria dello Stato, l’incompatibilità di componente del CSM con l’iscrizione a qualsiasi associazione giudiziaria che non sia l’Associazione nazionale magistrati al fine di limitare la “lottocrazia”? In questo modo, il diritto costituzionale di associarsi liberamente di cui all’art. 18 Cost. non sarebbe sacrificato nel suo contenuto essenziale, ma bilanciabile con quello di imparzialità ex art. 97 Cost. Perché non si riduce il numero dei membri elettivi del CSM, non definito dalla Costituzione, che la legge di delegazione n. 71/2022 (c.d. legge «Cartabia») ha portato a trenta con conseguente modifica del quorum funzionale per la validità delle deliberazioni? Perché non si introducono, nella scelta della componente «laica» di spettanza del Parlamento in seduta comune, criteri volti ancora di più alla massima trasparenza possibile?

Il rischio di utilizzare le riforme costituzionali come semplici “bandierine politiche” è un fenomeno che in Italia si ripropone spesso, riflettendo una tendenza a privilegiare l'interesse di partito o l'affermazione di un leader rispetto al bene collettivo e alla stabilità istituzionale.