Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
VIOLENZA POLITICA

Secondo attentato a Trump in due mesi. E l'odio continua

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Trump scampa ad un secondo attentato. L'aspirante terrorista è un uomo di 58 anni, volontario in Ucraina, deluso dall'ex presidente. Falla nell'intelligence grave: trapelate le informazioni su dove si trovasse il candidato. Dopo il primo attentato non si era mai placata la campagna di odio contro Trump.

Esteri 17_09_2024
Polizia sul luogo del fallito attentato a Trump (La Presse)

E due. Domenica 15 settembre, Trump ha subito il secondo attentato e anche questa volta è sopravvissuto. Si tratta di un record: due attentati falliti contro un candidato, in appena due mesi. È una prima assoluta, anche per la turbolenta vita politica degli Usa.

L’attentatore non ha fatto in tempo a sparare, è stato intercettato prima, ma era già da 12 ore appostato in una posizione di tiro ben studiata, in un bosco ai margini del campo da golf il cui il candidato presidente stava giocando assieme a uno dei suoi finanziatori, Steve Witkoff, a West Palm Beach, Florida, non lontano dalla residenza di Trump a Mar a Lago.

Il presidente stava per dirigersi alla buca numero 6 del campo da golf ed è stato preceduto da un agente del Servizio Segreto in ricognizione. L’agente ha individuato, nella boscaglia, non lontano dalla buca numero 6, una canna di fucile che spuntava dalla rete di recinzione e ha chiamato rinforzi. Dopo aver sparato nella direzione del possibile attentatore è iniziato l’inseguimento: l’uomo appostato, senza neppure rispondere al fuoco, ha abbandonato l’arma (un fucile con cannocchiale) ed è fuggito su un pickup con targa falsa, presa da un’auto rubata. Ben presto è stato intercettato e arrestato dalla polizia.

L’uomo si è rivelato essere Ryan Routh, 58 anni, otto precedenti penali, due arresti alle spalle: uno nel 2002 per possesso illegale di un’arma da guerra (una mitragliatrice) e uno nel 2010 per ricettazione di merci rubate. Era un Repubblicano, nel 2016 aveva votato Trump, poi era diventato un elettore Democratico perché deluso, soprattutto, dalla nuova politica estera del Grand Old Party che con Trump è tornato all’isolazionismo. Nell’aprile del 2022 era partito volontario per combattere in Ucraina, ma era stato scartato per l’età (allora 56 anni). Rimasto a Kiev per alcuni mesi, ha voluto coordinare il reclutamento di volontari stranieri nell’esercito ucraino, anche se la Legione Internazionale, che ha questo stesso compito, ora dichiara che Routh non ha mai fatto parte dell’organizzazione.

La giornalista Tanya Lukyanova, racconta a The Free Press di averlo conosciuto e intervistato nei mesi scorsi e lo descrive in questi termini: «Era un ragazzo zelante, un americano che voleva davvero offrirsi volontario per aiutare l'Ucraina». Ma: «Si capiva subito che fosse pazzo, ma credo che la gente abbia pensato: “Chi se ne frega? Sta sostenendo la causa giusta” (…) Tutti lo conoscevano come un tipo zelante, un po’ troppo zelante. Ma a nessuno importava davvero di quel “troppo”, perché lui era dalla parte del bene. Stava aiutando l'Ucraina». Finché, a un certo, punto, non è diventato un aspirante terrorista interno.

La guerra in Ucraina ha sicuramente scaldato gli animi negli Usa (mai quanto quella di Gaza) e creato ulteriore polarizzazione. La campagna Democratica ha sempre sfruttato l’ambiguità della politica di Trump nei confronti della Russia, anche se è ormai caduta l’accusa secondo cui l’ex presidente sarebbe stato un Manchurian Candidate, dunque un agente del Cremlino. L’inchiesta del Russiagate, durata tutti gli anni del mandato di Trump, si è conclusa con un nulla di fatto. Ma sia fra i Democratici che fra i media loro vicini, continua ad essere proposta la tesi per cui Trump sia il candidato preferito dei dittatori. Lo ha anche detto la candidata Kamala Harris nel corso della Convention nazionale democratica in agosto e lo ha ribadito anche nel corso del primo confronto televisivo con Trump la settimana scorsa. La tesi è smentita dallo stesso Putin che ha dichiarato di preferire una vittoria di Kamala Harris nelle prossime elezioni. Ma l’ideologia, come sempre, regge alla prova della realtà.

Oltre alla politica, che in campagna elettorale alza i toni inevitabilmente, sono proprio i media che hanno giocato sporco. Dopo i colpi sparati a Butler, in Pennsylvania, i grandi network hanno seppellito ben presto la notizia. Come constata Ashley Rindsberg su UnHerd, «In questo caso, è proprio per mancanza di tentativi che abbiamo poche nuove informazioni sull'attentato a Butler, e la stampa americana ha ampiamente abbandonato la storia. Non abbiamo visto praticamente nessuna task force giornalistica - del tipo di quelle che sono state riunite da quasi tutte le redazioni per seguire le accuse, per lo più false, sui legami di Trump con la Russia - e nessuna indagine scottante sui servizi segreti. I media, non volendo dipingere Trump come una vittima o un quasi martire, hanno trovato nuovi argomenti di cui parlare».

Al contrario è continuata la retorica incendiaria contro Trump, dunque contro la vittima. Per ironia della sorte, il Los Angeles Times nel giorno stesso di questo secondo attentato, pubblicava un editoriale in cui si invitavano i lettori a prendere sul serio la minaccia di una dittatura di Donald Trump. Non appena la campagna democratica è ripartita con la candidatura della Harris, sono riprese le consuete accuse. Trump è stato definito pubblicamente come un “fascista” dalla deputata democratica Alexandria Ocasio Cortez. E’ stato pubblicamente definito una “minaccia esistenziale per la democrazia” dal senatore democratico Martin Heinrich. Lo stesso presidente Joe Biden e la vice (e candidata) Kamala Harris hanno reiterato l’accusa (dimostrata falsa, da anni) sul sostegno che Trump avrebbe espresso per i neonazisti responsabili per l’uccisione di una militante di sinistra a Charlottesville, nel 2017. Trump non ha mai definito quei neonazisti “dei bravi ragazzi”, ma così invece continuano a raccontare i suoi nemici.

Non è stata neppure imparata la lezione sulla sicurezza del candidato repubblicano. A Butler, il tiratore, un giovane aspirante terrorista senza precedenti e privo di addestramento militare, aveva potuto appostarsi indisturbato su un tetto che dava sul podio su cui parlava Trump, a meno di duecento metri di distanza, senza ostacoli alla sua visuale. I Servizi Segreti lo hanno ucciso, ma dopo che aveva già sparato otto colpi, ferito Trump, ucciso Corey Comperatore che era nel pubblico e ridotto in fin di vita altre due persone. A West Palm Beach i Servizi hanno agito per tempo e per lo meno sono intervenuti prima che l’attentatore sparasse. Ma l’episodio dimostra comunque un fallimento dell’intelligence: un uomo con precedenti penali e armato, sapeva esattamente il luogo e l’ora in cui Trump avrebbe giocato a golf, in una partita privata e non annunciata, conoscendo dunque dati che avrebbero dovuto rimanere segreti. Si pensa, a questo punto, che ci possa essere anche una talpa nello staff dell’ex presidente. Attendiamo ulteriori notizie dalla grande stampa americana, sempre che almeno questa volta segua questo filone di indagine e non archivi subito la notizia, come aveva fatto, due mesi fa, dopo Butler.