Se l'arte è dissacrante anche il "popolo di Dio" si arrabbia
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Il clamore suscitato dalle opere "(ir)religiose" di Saltini va di pari passo con lo sconcerto suscitato tra credenti e non credenti, fino a chiederne il ritiro. Reazioni che lo stizzito comunicato della diocesi di Carpi non può ignorare.
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Se una diocesi propone e “sposa” un’arte che finisce per scandalizzare, come accaduto a Carpi potrà difendere la scelta quanto vuole, ma non può ignorare la reazione del “popolo di Dio”, che a quanto pare non ha gradito la mostra Gratia Plena di Andrea Saltini nel museo diocesano. «Un dono per credenti e non credenti», la definisce don Carlo Bellini nel catalogo, specificando che «l’arte di Saltini non è devozionale, difficilmente potremmo vederla in una chiesa, ma è vera arte contemporanea a soggetto religioso, ancora una volta una rarità». E sono in molti ad auspicare che resti davvero «una rarità», anzi che venga chiusa. Al momento sono 14.669 i firmatari che hanno aderito alla petizione di Pro Vita & Famiglia per chiedere «di ritirare immediatamente le rappresentazioni blasfeme esposte in un luogo di culto». E lo stesso chiede la petizione di Pro Italia Cristiana, sottoscritta finora da 1.581 persone, chiedendo inoltre: «perché la Chiesa deve piegarsi a queste cose? Crede così di essere più aperta, tollerante, moderna, al passo coi tempi? Crede in tal modo di riuscire ad attirare a sé i lontani?».
In realtà, basta chiedere in giro per cogliere sconcerto anche tra i lontani. Altro che «dono per credenti e non credenti», i quali in quelle opere il sacro lo scorgono soltanto manipolato e dissacrato. Valga per tutti la testimonianza di un lettore che ci scrive dicendosi costernato di fronte a quella che – pur specificando di non essere credente – definisce senza mezzi termini «una profanazione». Il diffuso sconcerto ha avuto eco fino in Germania, sulle colonne del Frankfurter Allgemeine Zeitung („Aber das ist ja Oralverkehr!“, titola Matthias Rüb citando gli articoli apparsi sulla Bussola a firma di Andrea Zambrano).
Se Cristo è segno di contraddizione, la contraddizione più grande di questa vicenda è vedere i laici respinti con stizza da una diocesi che difende fermamente la scelta di raffigurare Cristo e la Vergine Maria in maniera recepita come oltraggiosa e per di più in un contesto che di suo sarebbe sacro. Ma il comunicato diocesano liquida il tutto come «giudizi (o pregiudizi)», che «pur rientrando nella libera circolazione delle opinioni» (bontà loro...) risulterebbero «irrispettosi nei riguardi del percorso compiuto soprattutto dall’artista e anche dai promotori». Potranno andarlo a dire personalmente ai loro stessi fedeli che sabato prossimo 9 marzo si ritroveranno nel pomeriggio proprio davanti alla chiesa di Sant’Ignazio (sede della mostra) per richiamare l’attenzione sull’accaduto ma anche per pregare un Rosario in segno di riparazione. Oppure il popolo va bene solo quando segue la direzione voluta e non invece quando reagisce in virtù di un sensus fidei che in tal caso è anche senso estetico?
Diranno loro, come si legge nel comunicato, che non si rileva nulla di blasfemo «davanti ad una visione delle opere corretta (ovvero ognuna vista nell’insieme dell’esposizione), documentata (l’esatto punto di visione come indicato anche nel catalogo ad esempio per il quadro intitolato “INRI – San Longino”) e con sguardo limpido (vedi fra Cristoforo nei Promessi Sposi “omnia munda mundis” “tutto è puro per i puri” citando San Paolo, Tt 1,15)». In pratica per capire queste opere ci vuole un percorso di iniziazione. Vallo a dire al gruppo di giovani e famiglie che attraverso di noi si rivolge direttamente al vescovo Castellucci, con una lettera aperta che chiede «la chiusura immediata», ponendo l’attenzione anche sul periodo scelto – la Quaresima! – per «allestire una mostra i cui contenuti costituiscono una grave offesa ai nostri occhi e alla nostra Fede più autentica».
Giovani e famiglie anche loro “non iniziati”, anche loro privi di quello «sguardo limpido» che invece avrebbero i promotori (ecclesiastici) dell’iniziativa? Anche su questo punto ribattono gli autori della lettera: «un’arte “sacra” che non sia di immediata comprensione da parte del fedele, se non facendo uso del relativo opuscolo, e che susciti invece sentimenti opposti rispetto a quelli che si dovrebbero riservare a nostro Signore in Croce, non è da ritenersi tale». Insomma, già va decodificata e poi risulta pure offensiva. Perdipiù in casa nostra, sempre che la diocesi sia “casa” di chi la fede vorrebbe viverla, e non solo di chi gioca a dissacrarla contando sul plauso dell’intelligencija clericale troppo intenta a dialogare con l’intelligencija mondana.
E a che pro? Di certo non a vantaggio dei “piccoli” di evangelica memoria ricordati nella lettera: «in primis i nostri figli, che educhiamo con tanta fatica», ma «anche le persone che non credono, a cui dobbiamo dare risposte convincenti». Ma se le risposte sono invece confuse, equivoche o fonte di scandalo, anche i “piccoli”, nel loro piccolo – si perdoni il gioco di parole – si arrabbiano.
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