Se i vescovi francesi aprono al battesimo gay friendly
Via le parole “padre” e “madre” dai certificati di battesimo in Francia. È la raccomandazione fatta da monsignor De Metz-Noblat e approvata dalla Conferenza episcopale francese, per venire incontro alle coppie gay. Alcuni vescovi disapprovano, e a ragione. Perché il Codice di diritto canonico parla chiaro, escludendo una simile deriva.
Il presidente del Consiglio per le questioni canoniche della Conferenza episcopale francese, monsignor Joseph De Metz-Noblat, ha scritto a tutti i vescovi francesi informandoli di una novità importante in merito all’amministrazione del battesimo. D’ora in poi si raccomanda - non certo si comanda - che sui certificati di battesimo non vengano più usate le parole “padre” e “madre”, bensì “Genitori” o “Titolari della genitorialità” oppure, se si preferisce, si può usare l’espressione “figlio di… e di …”.
Tutto questo per venire incontro alle coppie gay o, per usare le parole di sua eccellenza, al fine di tenere conto della «situazione sempre più complessa delle famiglie» in Francia dopo l’approvazione della legge sul “matrimonio” omosessuale. La soluzione “gender free” adottata da De Metz-Noblat, e in cui il minore diventa orfano di madre e padre, appare al prelato medesimo «più appropriata ai nostri tempi». Dunque se viviamo in un tempo di oscurità appare appropriato renderlo ancor più oscuro.
Il Consiglio permanente della Conferenza episcopale francese ha approvato questa modifica omoeretica in cui, implicitamente, si legittima l’idea che possano esistere anche altre forme di famiglia oltre a quella voluta da Dio, in cui vi è un padre e una madre. Una svolta, quella promossa da monsignor De Metz-Noblat, che in un certo senso anticipa la legge francese. Infatti ad oggi, a parte qualche eccezione, i certificati di battesimo civili non riportano la dizione “genitore 1 - genitore 2” o espressioni simili, bensì di volta in volta l’ufficiale di stato civile adotta l’espressione più congeniale alla coppia richiedente il certificato. Insomma, niente moduli prestampati omofili.
De Metz-Noblat ha reso poi noto che la commissione per le questioni canoniche da lui guidata aveva collaborato con la Commissione per la riforma degli atti amministrativi della Chiesa e con la Commissione per la pastorale liturgica e sacramentale, concentrandosi sulla «persona battezzata» e semplicemente tenendo conto della sua situazione familiare «senza esprimere un giudizio morale su quest’ultima». Invece il giudizio morale deve essere espresso, sia per il bene del bambino, che per il bene della coppia che per il bene di tutti i fedeli. Se, mutatis mutandis, un sacerdote venisse a sapere che un minore è abusato in famiglia, non sentirebbe il dovere di formulare un giudizio morale su questa situazione familiare e anche di intervenire? Sul punto ritorneremo a breve.
Pare che la trovata di De Metz-Noblat abbia suscitato qualche mal di pancia in alcuni vescovi suoi connazionali e, al di là delle Alpi, anche nella Curia romana. Il vescovo francese ha replicato affermando che «le espressione scelte sono quelle che sembrano essere le meno peggiori e per di più non offrono il fianco agli attacchi in materia di discriminazione da parte delle parti interessate». Insomma, la solita tesi del male minore e l’usuale pavidità di fronte al mondo che, nel caso di specie, significa non essere chiamati davanti a un giudice per aver violato la legge francese sull’“omofobia”.
De Metz-Noblat, in spirito liberale, ha aggiunto che «nulla nella formula proposta impedisce a chi redige il certificato di aggiungere le parole “padre” e “madre” davanti ai nomi delle persone», ricordando inoltre che le direttive nazionali per i registri battesimali, risalenti al 1994, non includono le parole “padre” e “madre” ma l’espressione “figlio-figlia di... e di...”. Però il problema sta proprio nel fatto che si suggerisce di non usare i termini “padre” e “madre” per fare un piacere alle coppie gay, al di là di quello che è stato prescritto dalle direttive nazionali.
Il prelato si difende aggiungendo che «abbiamo formulato queste raccomandazioni al fine di redigere i registri battesimali tenendo conto della questione della filiazione». Ciò a dire che se lo Stato legittima l’omogenitorialità lo dovrebbe fare anche la Chiesa. Ma così non deve essere. Sul certificato ci si riferisca pure all’ordinamento giuridico qualora il genitore sia naturale, ma non adottivo o legale non naturale in una coppia omosessuale. In questo caso diventerebbe necessario, per finalità evangelizzatrici, indicare solo il nome del genitore naturale o nessuno, se, in quest’ultima ipotesi, entrambi i membri della coppia omosessuale fossero genitori adottivi o legali non naturali per lo Stato, bastando l’indicazione dei nomi dei padrini o madrine. In breve, non facciamo figurare sui registri battesimali l’omogenitorialità, anche se agli occhi dello Stato i membri di quella coppia gay sono genitori legali a tutti gli effetti. Si tratta di una doverosa opposizione al caos attuale che tutto fagocita.
In realtà, l’imbarazzo di come redigere il certificato di battesimo di una coppia gay non si dovrebbe nemmeno porre. Infatti il Codice di diritto canonico al canone 868, § 1, n. 2 così recita: «Per battezzare lecitamente un bambino si esige […] che vi sia la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica; se tale speranza manca del tutto, il battesimo venga differito, secondo le disposizioni del diritto particolare, dandone ragione ai genitori». Questo canone discende logicamente da uno precedente: «I genitori sono tenuti prima di tutti gli altri all'obbligo di formare con la parola e l'esempio i figli nella fede e nella pratica della vita cristiana» (774, § 2).
I due canoni appena citati fanno eco al documento della Congregazione per la dottrina della fede “Istruzione sul battesimo dei bambini” (1980), in cui nella parte terza dichiara: «La Chiesa non può venire incontro ai desideri dei genitori, se essi non danno garanzia che, una volta battezzato, il bambino riceverà l’educazione cattolica richiesta dal sacramento; essa deve avere la fondata speranza che il battesimo porterà i suoi frutti […]. Se le garanzie offerte - ad esempio la scelta di padrini e madrine che si prenderanno seria cura del bambino, o l’aiuto della comunità dei fedeli - sono sufficienti, il sacerdote non potrà rifiutarsi di amministrare senza indugio il battesimo […]. Se le garanzie non saranno sufficienti, sarà prudente differire il battesimo […] Se tali garanzie non sono veramente serie, si potrà essere indotti a differire il sacramento o addirittura a rifiutarlo, qualora siano certamente inesistenti [...]. Si potrebbe proporre l’iscrizione del bambino in vista di un catecumenato all’epoca della scolarità» (nn. 28-30).
Ora, una coppia omosessuale non può offrire fondate speranze di educare il minore alla religione cattolica dato che, essendo coppia gay, rifiuta di considerare l’omosessualità come condizione disordinata, gli atti omosessuali come intrinsecamente illeciti e negano che l’unica famiglia esistente sia quella naturale. Inoltre, se hanno avuto il bambino tramite fecondazione artificiale, si aggiunge anche la loro adesione a una pratica condannata dalla Chiesa.
Aggiungiamo due noticine. La scriminante all’accesso al battesimo non riguarda direttamente lo status di peccatori dei genitori - altrimenti nessuno potrebbe mai battezzare il figlio - bensì le garanzie in merito ad un’educazione cattolica. Tale inciampo può dipendere sia dal rifiuto di alcuni principi dottrinali - ci muoveremmo dunque su un piano intellettuale - sia da condizioni ambientali avverse (ad es. disabilità psichiche) e causate anche da condotte peccaminose (ad es. non solo relazioni omosessuali, ma anche dipendenze, convivenze, matrimoni civili, divorzi con nuovi matrimoni civili, ateismo della coppia, eccetera: tanto per chiarire che il discorso non riguarda solo le persone omosessuali).
Detto ciò e rimanendo su un piano meramente astratto, la coppia omosessuale, pur conservando le proprie idee sull’omosessualità, potrebbe garantire che ad esempio il padrino o i nonni educhino il figlio ai valori cattolici, compresi quelli relativi alla sessualità e alla famiglia. Un quadro più teorico che reale. Sempre più fantasioso che reale è anche il seguente scenario: la coppia omosessuale considererà lecita la propria relazione solo per sé ma non agli occhi del bambino, a cui insegnerà che l’omosessualità è condizione disordinata e che l’unica famiglia esistente è quella formata da un padre e una madre.
Torniamo invece allo scenario prima prospettato: una coppia omosessuale educherà alla teoria gender il bambino. Si obietterà che tale coppia favorevole all’omosessualità, per ipotesi, potrebbe far salvo il rimanente portato dottrinale della Chiesa cattolica e dunque potrebbe lecitamente chiedere il battesimo. Si risponde all’obiezione ricordando che nella dottrina cattolica tutto si tiene o tutto si perde.
La verità si deve accettare integralmente, altrimenti si cade nella menzogna. Da ciò derivano due considerazioni. La prima: l’educazione alla religione cattolica menzionata dal Codice comprende anche l’educazione ad una corretta sessualità e affettività, ai valori matrimoniali e familiari, aspetti che interessano anche la fecondazione extracorporea. I giudizi non conformi ai principi cattolici su queste tematiche e fatti propri da una coppia omosessuale non permettono a quest’ultima di soddisfare il requisito richiesto dal Codice. E ci potremmo fermare qui per concludere che non si può battezzare un bambino di una coppia omosessuale. Ma vogliamo aggiungere un altro motivo.
Chi non condivide un aspetto fondamentale dell’insegnamento della Chiesa su fede e morale - quale è quello sull’omosessualità - con grande probabilità non ha le idee chiare nemmeno sugli altri aspetti altrettanto fondamentali della fede e morale cattolica. I principi di fede e morale sono infatti tra loro comunicanti. Per fare un esempio: se una coppia di genitori che chiedono il battesimo per il proprio figlio è a favore del furto, è facile dedurre che questa coppia non abbia capito proprio nulla, nella sua interezza, della morale naturale insegnata dalla Chiesa. Sarà bene quindi, come indicato dal Codice di diritto canonico, battezzare il bambino solo quando i genitori abbiano dato prova di aver cambiato giudizio sul furto.
Dunque, alla coppia omosessuale non si dirà: «Non battezzeremo mai questo bambino», bensì: «Lo battezzeremo quando ci saranno le condizioni che ci permetteranno di dire che voi avete abbracciato la religione cattolica nella sua interezza, senza sconti interessati». Cioè, nel nostro caso, quando le due persone omosessuali avranno cessato di essere coppia e avranno cambiato idea sull’omosessualità (oppure quando il neonato avrà raggiunto l’età della ragione per iniziare un percorso di preparazione al battesimo).