Scontri e minacce, serbi e Kosovo sull'orlo della guerra
Tensione tra le autorità kossovare e la popolazione di etnia serba nel nord del Paese. Il casus belli è la decisione di non riconoscere loro la validità di targhe e documenti emessi in Serbia, poi rinviata per intervento americano. La situazione sta tornando alla normalità ma potrebbe di nuovo precipitare in ogni momento.
La tensione in Kosovo è di nuovo alle stelle. La decisione delle autorità statali kossovare di non riconoscere più, a partire da lunedì 1° agosto, la validità delle targhe automobilistiche emesse in Serbia a cittadini del Kosovo di etnia serba relativamente alle città di Priština, Gnjilane, Prizren e Kosovska Mitrovica, né delle carte d’identità egualmente emesse in Serbia, ha provocato la rivolta dei serbi che vivono nel nord del Paese che hanno bloccato con camion e barricate le strade di accesso a diverse località a maggioranza serba, mentre in alcuni casi gli stessi manifestanti hanno fatto da scudi umani bloccando alcune aree presso i valichi di frontiera con la Serbia nonché il ponte che divide le due parti di Kosovska Mitrovica, quella abitata in gran parte da serbi da quella a maggioranza albanese.
Per qualche ora la miccia è stata davvero a un passo dall’esplodere. Nella parte serba di Kosovska Mitrovica per ore sono risuonate sirene di allarme, unità della polizia kossovara si sono avvicinate ai manifestanti, senza tuttavia intervenire nonostante siano state fatte oggetto di colpi di arma da fuoco. A Belgrado e a Priština i rappresentati politici delle due parti, il presidente serbo Aleksandar Vučić e il premier kossovaro Albin Kurti, si sono scambiati durissime accuse addossando alla parte avversa la responsabilità dell’escalation della tensione.
Alla fine, la tensione è diminuita dopo che, su consiglio (in realtà un perentorio ordine) dell’ambasciatore americano a Priština, Jeffrey M. Hovenier, le autorità kossovare hanno deciso di rinviare di un mese l’applicazione della norma contestata dalla popolazione serba. Sebbene la situazione sia tuttora molto tesa, in queste ore la vita sta a poco a poco tornando alla normalità, sono state rimosse le barricate e i camion che bloccavano il traffico verso i centri a maggioranza serba e nei pressi dei valichi di frontiera, e le manifestazioni popolari si sono sciolte. Il problema che ha scatenato l’ennesima rivolta dei serbi del Kosovo non è stato risolto, bensì solamente rinviato di un mese, nella speranza, in verità assai labile, che nel frattempo le parti giungano a un modus vivendi che eviti ulteriori tensioni e conflitti.
In realtà, la situazione potrebbe nuovamente precipitare in ogni momento tanto più che, come rivelano i media serbi, lunedì a Kosovska Mitrovica, Leposavić, Zubini Potok e Zvečan (tutte località del Kosovo a stragrande maggioranza serba), nonché sulla strada che da Mitrovica porta a Zvečan, sono apparsi cartelli e striscioni che riportano in lingua serba la scritta: "Benvenuti nella Comunità dei comuni serbi”, quasi ad annunciare un legame politico ancora più forte tra le località del Kosovo settentrionale a maggioranza serba e che, insieme alla tipologia degli incidenti di domenica, ricordano in modo sinistro quanto accadde con la proclamazione della cosiddetta SAO Krajina dei ribelli serbi in Croazia nel 1990.
Almeno per ora, la tensione esistente non dovrebbe portare a un conflitto armato che nessuna delle due parti desidera. Da una parte, infatti, il presidente serbo Vučić ha reinterpretato l’idea di Grande Serbia, che egli non ha mai abbandonato, in chiave europeista, e intende preparare una nuova affermazione del suo Paese nell’area un tempo jugoslava all’interno di una futura Unione Europea allargata a tutti i Paesi un tempo appartenenti alla Jugoslavia.
Senza voltare le spalle alla tradizionale alleanza con la Russia, Vučić ha più volte strizzato l’occhio alle cancellerie occidentali – tra l’altro, ha scelto in Ana Brnabić una premier appartenente all’area LGBT, ha permesso i gay pride in tutta la Serbia nonostante la dura opposizione della Chiesa ortodossa locale, e pur non aderendo alle sanzioni europee contro la Russia ha votato in alcuni consessi internazionali secondo i desiderata di Bruxelles contro Mosca – e tenendo a bada la forte componente nazionalista interna, mantenendo artificiosamente alta la tensione verbale con la Croazia e con il Kosovo, non desidera che un eventuale conflitto in questo Paese distrugga il suo piano di avvicinamento all’Unione Europea.
Dall’altra parte il Kosovo, pur insistendo comprensibilmente nel processo di rafforzamento della sovranità dello Stato in tutte le aree del Paese, soprattutto a motivo dell’attuale tensione internazionale non può permettersi un conflitto aperto con la Serbia, e l’intervento degli USA mostra che anche la Comunità internazionale farà di tutto per impedire un nuovo focolaio di tensione nei Balcani.
Va da sé che le continue tensioni tra lo Stato centrale kossovaro e la componente serba e la dirigenza della Repubblica di Serbia sono assai pericolose: non è infatti da escludere che, a forza di accendere continuamente focolai di tensione, prima o poi possa accadere che non si riesca a spegnerli per tempo, senza contare che se comparisse sulla scena un nuovo Gavrilo Princip la situazione precipiterebbe senza rimedio. Un eventuale conflitto in Kosovo sarebbe assai pericoloso poiché quasi inevitabilmente porterebbe alla guerra interna anche in Bosnia-Erzegovina, in Montenegro, e tra Serbia e Croazia.
A causare queste tensioni è il fatto che quasi ovunque i serbi non si sono rassegnati al fatto che la Jugoslavia ha cessato di esistere da ormai alcuni decenni, e pongono ostacoli alla piena sovranità degli Stati che le sono succeduti. Il sogno della Grande Serbia è sempre molto presente nell’immaginario popolare dei serbi, e prima o poi, quando a motivo delle tensioni internazionali l’Unione Europea e gli USA non saranno più in grado di tenere le tensioni sotto controllo, i serbi ci potrebbero provare anche manu militari, il che potrebbe sfociare in un nuovo conflitto generale nella regione.