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Sant’Ignazio di Antiochia

«Non è opera di persuasione ma di grandezza, il cristianesimo, quando è odiato dal mondo», scriveva sant’Ignazio di Antiochia (c. 35-107), convertito da san Giovanni Evangelista e martirizzato a Roma. Nelle sue lettere compaiono per la prima volta i termini «cristianesimo» e «Chiesa cattolica», assieme a una consapevolezza straordinaria della missione ecclesiale

Santo del giorno 17_10_2020 English Español

«Non è opera di persuasione ma di grandezza, il cristianesimo, quando è odiato dal mondo», scriveva sant’Ignazio di Antiochia (c. 35-107), convertito da san Giovanni Evangelista e secondo successore di san Pietro alla guida della Chiesa antiochena. La conversione aveva maturato in lui un così ardente amore per Cristo da accogliere con gioia il martirio come mezzo per imitarne la Passione. Era infatti consapevole del valore salvifico della professione di fede e della sofferenza offerta a Dio, perché «se soffro sarò affiancato in Gesù Cristo e risorgerò libero in Lui».

Nel viaggio di deportazione da Antiochia a Roma, dove fu sbranato dalle belve durante le persecuzioni di Traiano, scrisse sette lettere. In esse compaiono per la prima volta i termini «cristianesimo» e «Chiesa cattolica», assieme a una consapevolezza straordinaria della missione ecclesiale. Si tratta di lettere rivolte alle Chiese di Efeso, Filadelfia, Magnesia, Smirne, Tralli, Roma e una personale all’amico e vescovo san Policarpo, che rientrano nel corpus degli scritti subapostolici (cioè dei successori degli apostoli). Queste missive ben dimostrano quale fede animasse le prime comunità cristiane e quanto fosse stridente il contrasto tra la loro testimonianza di vita e quella pagana. «Considerate quelli che hanno un’opinione diversa sulla grazia di Gesù Cristo che è venuto a noi come sono contrari al disegno di Dio. Non si curano della carità, né della vedova, né dell’orfano, né dell’oppresso, né di chi è prigioniero o libero, né di chi ha fame o sete».

Amava chiamarsi «teoforo», mentre definiva «necrofori» gli eretici come i docetisti che negavano la natura umana di Cristo e le sue reali sofferenze sulla Croce. A loro ricordava che non solo il Figlio di Dio è stato inchiodato nella carne ma è anche risorto nella carne, mostrandosi agli apostoli che «subito lo toccarono e credettero, al contatto della sua carne e del suo sangue. Per questo disprezzarono la morte e ne furono superiori». E per questo - come gli apostoli - accettò il martirio, al punto che nella sua epistola ai cristiani di Roma li pregò di non adoperarsi per impedirlo, ma solo di chiedere per lui la forza interiore ed esteriore «perché non solo parli, ma anche voglia, perché non solo mi dica cristiano, ma lo sia realmente».

Le sue lettere sono notevoli anche perché per la prima volta compare la concezione tripartita del ministero cattolico, organizzato in diaconi, presbiteri e vescovi, che esortava a seguire nella fedeltà alla Legge divina e alla Tradizione apostolica. «Dove compare il vescovo, là sia la comunità, come là dove c’è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica».

Per saperne di più:

Lettere di sant’Ignazio di Antiochia

Udienza generale di Benedetto XVI su sant’Ignazio di Antiochia (14 marzo 2007)