Sant'Agostino: non è mai tardi per amare Dio
Il vescovo di Ippona è uno dei quattro grandi Padri e Dottori d'Occidente. Di etnia berbera, passato in gioventù per vie tortuose, si converte a Milano grazie a Sant'Ambrogio. La sua opera ha segnato la spiritualità e la filosofia europea.
- LA RICETTA: CHORBA BERBERA
Agostino d’Ippona è forse il santo più singolare della Chiesa cattolica. La sua vita offre un esempio di valori profondi, come conversione, redenzione, erudizione, eroismo.
Filosofo, vescovo e teologo, Padre e Dottore della Chiesa e santo, Agostino ha vissuto un'esistenza fatta di tante vite. Ma la sua biografia è troppo complessa e ricca: qui ci limiteremo a menzionare i punti salienti.
Nato a Tagaste (attualmente Souk Ahras in Algeria) nel 354, Agostino era di etnia berbera. Apparteneva a una famiglia del ceto medio, ma non facoltosa: il padre, Patrizio, piccolo possidente terriero e membro dei curiales (consiglieri municipali) della città, era un pagano. La madre Monica era cristiana. Questa famiglia “mista” dal punto di vista religioso offrì ad Agostino due visioni opposte del mondo. Era molto legato alla madre, della quale avrebbe scritto più tardi: «A lei debbo tutto ciò che sono».
Malgrado la sana educazione impartita dalla madre, Agostino percorreva strade tortuose, nella vita e nella fede, prima di arrivare alla retta via. Nel 373 la sua ansia per la ricerca dell'assoluto lo fece approdare al manicheismo, di cui, insieme al suo amico Onorato, divenne uno dei massimi esponenti e divulgatori. Agostino stesso narra che fu attratto dalle promesse di una filosofia libera dai vincoli della fede, dalle vanterie dei manichei che affermavano di aver scoperto delle contraddizioni nelle Sacre Scritture e, soprattutto, dalla speranza di trovare nella loro dottrina una spiegazione scientifica della natura e dei suoi fenomeni più misteriosi. Fu durante questo periodo manicheo che le facoltà letterarie di Agostino giunsero al loro pieno sviluppo, quando era ancora un semplice studente di Cartagine. Al termine dei suoi studi sarebbe dovuto entrare nel forum litigiosum, ma preferì la carriera letteraria. Possidio narra che tornò a Tagaste per «insegnare la grammatica».
Sua madre Monica soffriva molto e lo considerava un eretico. Le sue preghiere alla fine furono ascoltate perché Agostino, deluso per non aver trovato tra i manichei la scienza a cui anelava, ossia quella conoscenza della natura e delle sue leggi che gli avevano promesso, cominciò a respingere le dottrine manichee.
Affascinato dall’Italia, nel 383 Agostino giunse a Roma dove aprì una scuola di retorica ma la chiuse perché gli alunni non pagavano le rette scolastiche. Questo fu l’evento che gli cambiò il destino: fece domanda per un posto vacante come insegnante a Milano. Il praefectus urbi Quinto Aurelio Simmaco lo aiutò a ottenere il posto. Arrivato a Milano conobbe il vescovo Ambrogio e si sentì subito attratto dai suoi discorsi. Iniziò così a seguire regolarmente le sue predicazioni, trovando ciò che gli era tanto mancato nel manicheismo.
Dopo altri tre anni di dubbi e indecisioni, per Agostino fu decisivo l'incontro con la filosofia neo-platonica, di cui si entusiasmò: la lettura delle opere di Platone e di Plotino riaccese nuovamente in lui la speranza di trovare la verità. Anche se continuava a combattere con le passioni, Agostino cominciò a sognare che avrebbero potuto condurre una vita dedicata alla ricerca della verità, rinunciando a tutte le aspirazioni terrene come onori, ricchezza, o piacere, e con il celibato come regola.
Da una conversazione con Simpliciano, futuro successore di Ambrogio, Agostino conobbbe la storia della conversione del celebre retore neo-platonico Vittorino, e quello fu l’inizio del suo cammino di conversione. Questa sarebbe avvenuta all'età di 32 anni nel settembre 386, in un giardino di Milano, dove – come racconta lo stesso Agostino – sentì la voce di una bimba o un bimbo che canterellava tolle lege, ossia «prendi e leggi», invito che egli riferì alla Bibbia: a quel punto la aprì a caso imbattendosi in un passaggio di Paolo di Tarso.
Da quel momento Agostino si dedicò alla ricerca della vera filosofia che, per lui, ormai era inseparabile dal cristianesimo. Gradualmente, conobbe la dottrina cristiana e, nella sua mente, iniziarono a fondersi la filosofia platonica e i dogmi rivelati. Verso l'inizio della Quaresima del 387, Agostino si recò a Milano dove prese posto fra i competentes per essere battezzato da Ambrogio nella Veglia pasquale. Agostino rimase a Milano fino all'estate, continuando i suoi lavori (De immortalitate animæ e De Musica). Poi, mentre era in procinto di imbarcarsi ad Ostia per tornare in Africa, Monica morì. Nell’agosto 388 Agostino ritornò a Tagaste.
Subito dopo il suo arrivo, decise di iniziare a seguire il suo ideale di vita perfetta, dedicata a quel Dio che era giunto ad amare in età adulta. Vendette tutti i suoi beni e diede il ricavato ai poveri. Poi lui e i suoi amici si ritirarono in un suo appezzamento di terreno per condurre una vita comune in povertà, in preghiera, e nello studio della letteratura sacra. Il libro De diversis quaestionibus octoginta tribus è il frutto delle riunioni tenute durante questo ritiro, nel quale scrisse anche il De Genesi contra Manicheos, il De magistro e il De vera religione.
Agostino fu ordinato nel 391. Il novello sacerdote considerò la sua ordinazione come una ragione in più per riprendere la vita religiosa a Tagaste e il vescovo Valerio approvò così entusiasticamente che gli mise a disposizione delle proprietà della chiesa, autorizzandolo a fondare un monastero. Diventò vescovo di Ippona a quarantadue anni, nel 394.
Ippona è un'antica città dell'Africa settentrionale, posta sulla costa nord-orientale dell'Algeria, presso il confine con la Tunisia, e la foce del fiume Ubi (Seybouse). Oggi si chiama Annaba (Bona in italiano). Il nome Ippona deriva dal nome che i Romani hanno dato alla città. Per distinguerla da Hippo Diarrhytus (la moderna Bizerte, in Tunisia), i Romani la chiamarono Hippo Regius (Hippo reale) perché era una delle residenze dei re numidi, mentre il nome del fiume fu latinizzato in Ubus e la baia ad est venne chiamata Hipponensis Sinus (Baia di Ippona). Grazie alla sua posizione geografica Ippona divenne un importante porto, con strade che percorrevano la costa e l'entroterra, consentendo non solo i movimenti delle truppe ma anche lo spostamento delle merci, cosa che fece sviluppare notevolmente i commerci. Sovrani e coloni libici, punici, greci, romani, vandali e bizantini hanno dato alla città la sua popolazione e il suo modello culturale. Alcuni modelli come quello romano la fecero evolvere culturalmente, altri, come i vandali, la fecero involvere.
Ma Ippona è soprattutto la città dove Sant’Agostino morì a causa dei Vandali (forse per gli stenti o colpito da una lancia). Furono loro nel 430 ad assediare la città di cui era vescovo. Ippona Regius era una città fortificata e i Vandali, avanzando verso est lungo la costa nordafricana, cercarono di penetrarvi senza successo. Agostino e i suoi sacerdoti iniziarono una serie di preghiere per la salvezza dagli invasori: il pericolo di un’occupazione era grande, soprattutto per la fede. Avrebbe significato la morte o la conversione all’eresia ariana.
Resistettero più di un anno. Purtroppo i campi di grano erano tutti fuori dalla città fortificata. Si era nel cuore dell’estate e gli abitanti, barricati dietro alle spesse mura non potevano uscire per fare i lavori dei campi. Le riserve di cibo scarseggiavano e stavano rapidamente scomparendo e la fame imperversava non solo fra gli ipponesi, ma anche nelle fila degli attaccanti. A questo si aggiunsero le malattie che cominciarono a decimare la popolazione. Ormai stremati, gli abitanti di Ippona non opposero più resistenza quando i Vandali riuscirono a penetrare all’interno delle mura. Genserico, re dei Vandali, degli Alani e di una parte di Visigoti sbandati dalla penisola iberica al Nordafrica, ne fece la prima capitale del regno vandalo dal 435 al 439, fino a che la capitale non venne spostata a Cartagine, da loro conquistata.
Mentre gli altri popoli germanici, una volta insediati in un territorio conquistato tendevano ad assimilarsi a esso per usi e costumi, i Vandali rimasero sempre attaccati alle proprie usanze tribali, rozze e spesso disumane. Erano di fede ariana, che era una dottrina eretica nata in seno alla religione cristiana e che vedeva la figura del Cristo non della stessa natura del Padre ma di natura inferiore. Avevano ostinatamente mantenuto la loro fede, malgrado il fatto che gli imperatori Teodosio I, Graziano e Valentiniano II, sotto l’impulso del vescovo di Milano, Ambrogio (339-397), avessero emanato l'editto di Tessalonica che dichiarava il credo niceno come religione di Stato pertanto "cattolica" ("universale") e "ortodossa" ("di retta dottrina"), bollando non solo tutti i pagani ma anche tutti gli altri gruppi cristiani come eretici e soggetti a pene e punizioni fino alla pena di morte.
Agostino è uno dei quattro grandi Dottori della Chiesa occidentale, detto "il Dottore della Grazia". La sua opera ha segnato la storia della religiosità e della filosofia europea. Per comprendere la dottrina di Agostino non si può prescindere dal suo vissuto esistenziale: trovandosi a sperimentare un insanabile dissidio tra la ragione e il sentimento, lo spirito e la carne, il pensiero pagano e la fede cristiana, la sua filosofia consistette nel tentativo grandioso di riconciliarli e tenerli uniti. Fu proprio l'insoddisfazione per quelle dottrine che predicavano una rigida separazione tra bene e male, luce e tenebre, a spingerlo ad abbandonare il manicheismo e a subire l'influsso dello stoicismo e soprattutto del neoplatonismo, i quali viceversa riconducevano il dualismo in unità.
Il suo percorso di vita è emblematico e dimostra che non è mai tardi per abbracciare il Signore e dedicargli la nostra vita. Ricordiamo le sue parole:
“Tardi ti ho amato, Bellezza così antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Sì, perché tu eri dentro di me ed io fuori: lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle sembianze delle tue creature. Eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, respirai ed ora anelo verso di te; ti gustai ed ora ho fame e sete di te; mi toccasti, e arsi dal desiderio della tua pace” (Confessioni X, 27.38).