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VIA AL FESTIVAL DELL'INCLUSIVITà

Sanremo, fotografia (brutta) di un Paese

Ha preso il via il Festival al motto di inclusività e diversità con la garanzia del Presidente della Repubblica. Diritti Lgbt, sesso in tutte le sue forme più perverse e tanto – tantissimo – conformismo. Dicono che Sanremo sia la fotografia del Paese. Ma è una truffa: il Paese non si riconosce in questa foto di famiglia. 

Editoriali 08_02_2023

Il presidente della Repubblica in prima fila, Roberto Benigni che legge la Costituzione, Gianni Morandi che canta l’Inno di Mameli. Che cosa non si fa per preparare il terreno all’appello del presidente ucraino Zelensky che userà la grancassa di Sanremo per chiedere armi e un coinvolgimento dell’Italia nel conflitto russo ucraino.

Il rassicurante volto istituzionale del Paese, il Presidente di tutti, il comico da Oscar che il mondo ci invidia (a proposito, a quanto il cachet?) e l’eterno ragazzo della canzone italiana. Ma non lasciatevi abbagliare dal rassicurante biglietto da visita della prima serata del Festival della canzone italiana. Come ha già detto il dirigente Rai Stefano Coletta «sarà il festival dell’inclusività e della diversità», quindi, Mattarella garante, aspettiamoci scintille.

Le avvisaglie ci sono già state con il caso di Rosa Chemical. Oscenità sdoganate. Ovviamente il fatto che a Sanremo abbia portato una canzone che parla di poligamia e porno non scalfisce minimamente l’inquilino del Quirinale. E poi ci sono gli araldi della diversità, della sessualità liquida, basta leggere i testi di alcune canzoni per capire che sarà un grande inno all’amore declinato in tutte le sue forme, anche le più perverse. Un inno alla masturbazione femminile nella serata delle cover? Che problema c’è, abbiamo il capo dello Stato a fare da garante. «Non amo parlare di generi, ma di esseri umani. Ho paura del moralismo, l'amore non deve essere etichettato», ha detto Amadeus per difendere Rosa Chemical. Che cosa ci sia poi di amore nello sfruttamento della prostituzione a uso e consumo di Onlyfans non si sa, ma va bene. Love is love. Quindi, avanti con Chiara Ferragni e il suo concetto di libertà, in un banale e lacrimevole monologo a sé stessa (for women) in cui l'unica cosa in evidenza è il suo seno (for men); avanti con Chiara Francini portavoce della melassa Lgbt; avanti con Paola Egonu e il suo piagnisteo sul razzismo inesistente, che se l’Italia fosse un paese razzista non sarebbe certo diventata portabandiera alle Olimpiadi. Avanti con le canzoni sull'amore fluido (Ariete e Shari). Avanti con la promozione dell'omosessualismo che fa ribadire ad Amadeus quello che secondo lui deve essere il compito della televisione: «La televisione deve spiegare ai bambini che esiste un uomo che ama un uomo e una donna che ama una donna e che questo è normale». 

C’è una frase che si utilizza per giustificare tutto e il contrario di tutto a Sanremo: è la fotografia del Paese. E chi l’ha detto? Dipende per lo meno da qual è punto di osservazione verso cui punti l’obiettivo e come metti a fuoco l’immagine. E poi le foto possono essere belle o brutte, dipende dall’immagine che ritrai. Semmai, Sanremo, questo Sanremo, è una fotografia brutta che si vuole imporre come rappresentativa di un Paese: che impone i diritti Lgbt, che porta avanti un’idea del Paese inesistente nella realtà, ma solo nella mente del conformismo comodo e rassicurante. Che spaccia per amore quella che è in fondo una trovata commerciale che genera ricavi pubblicitari per 80 milioni. 

A voler parlare di fotografie ce ne sarebbero di ritratti del Paese da promuovere, storie di vita, storie di sacrificio, storie di amore donato e ricevuto. Ma il ritratto del Paese dipende da che cosa narri, da qual è la narrazione che scegli, così come lo specchio del Paese: dipende da chi hai di fronte. Se hai di fronte la dittatura dei desideri che diventano neodiritti non puoi pretendere di imporla agli altri come rappresentativa del Paese intero che è fatto di ben altro.

Sanremo non è lo specchio del Paese e neanche la sua fotografia, nemmeno il ritratto. È Sanremo che viene riempito di messaggi sbagliati per pretendere che il Paese si uniformi ad essi, li assimili e li faccia suoi e diventino così egemonia culturale. Gramsci non avrebbe saputo teorizzare di meglio ciò che Amadeus ha portato a compimento.