Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santi Innocenti a cura di Ermes Dovico
CALENDARIO

San Valentino, altro che Baci Perugina

Impariamo chi era davvero il santo: un vescovo e un martire del III secolo, che aveva chiaro che l'unica possibilità di cambiamento è la fede in Cristo.

Editoriali 14_02_2012
San Valentino
Oggi, San Valentino, è per tutti la festa degli innamorati, dove il santo è in realtà solo un pretesto per parlare d’altro. E la cosa è così evidente e fastidiosa da aver indotto anche tanti fedeli a ritenere Valentino un personaggio più leggendario che storico, o quantomeno un “santino”, tanto più che anche la liturgia prevede per oggi la Festa dei santi Cirillo e Metodio, che papa Giovanni Paolo II ha elevato nel 1980 a compatroni d’Europa.

Eppure Valentino fu un santo vero, un vescovo e un martire, la cui storia vale la pena conoscere, almeno per sommi capi, così che almeno una volta è la festa degli innamorati a diventare pretesto  per conoscere il santo.

Dunque San Valentino visse a cavallo tra il II e il III secolo a Terni, allora Interamna dei Naharti, città di cui divenne vescovo intorno al 200 e di cui è ancora oggi il patrono. Di lui si sa che era un uomo colto, ma soprattutto di grande fede. E la sua fama, tra i contemporanei, si diffuse anche a motivo delle guarigioni che procurava; non a caso è il patrono, non solo degli innamorati, ma anche dei malati di epilessia. Nella sua biografia quello che colpisce è la ferma consapevolezza che la malattia è essenzialmente uno strumento per riconoscere la signorìa di Dio, per convertirsi. La conversione non è il “pagamento” per la guarigione, Valentino non “ricatta” e non battezza le persone in cambio del miracolo: a chi incontra chiede la conversione come condizione per la guarigione semplicemente perché sa che soltanto la fede guarisce e salva, come del resto Gesù dimostra tante volte nel Vangelo: “Và, la tua fede ti ha guarito”.

Lo dimostra chiaramente l’episodio della guarigione del figlio di un oratore romano, Cratone, che fu poi la causa fondamentale del suo martirio. Cratone era disperato perché suo figlio stava morendo di una malattia misteriosa, e avendo saputo del vescovo Valentino, lo fece venire a Roma. Valentino stette nella sua casa ma non fece nulla finché, dopo un lungo e acceso colloquio, non colse in Cratone quello spiraglio del cuore che si apriva alla fede. Solo allora la guarigione fu possibile: Cratone si convertì con tutta la sua famiglia e, nel vedere quanto accadde, si convertirono anche tre amici ateniesi del giovane – Procolo, Efebo e Apollonio - venuti a Roma per studiare latino da Cratone. La fama di Valentino si diffuse in Roma e l’improvviso “movimento” in città provocò l’arresto di Valentino – tanto più che tra i convertiti figurava il figlio del prefetto di Roma – che una prima volta fu flagellato. Poi, sotto Aureliano, e per decisione del prefetto Furio Placido, per evitare sommosse popolari fu prelevato dai soldati nottetempo e, trasportato fuori Roma, sulla via Flaminia (che collega Roma a Terni) fu decapitato. Era il 14 febbraio 273.

I tre giovani greci che erano nella casa di Cratone presero il suo corpo e lo trasportarono a Terni, tumulandolo in una zona cimiteriale all’esterno della città, dove sorge tutt’oggi la basilica dedicata al Santo e in cui sono conservati i suoi resti (i tre furono poi martirizzati proprio per aver trafugato le sue spoglie).

Il culto di San Valentino si diffuse abbastanza rapidamente, ma proprio per le sue virtù taumaturgiche, e non solo. Ne è prova l’incontro tra re Liutprando e papa Zaccaria nel 742, nel quale il sovrano Longobardo cede alcune città dell’Umbria e del Lazio al Papa, episodio che viene solitamente indicato come l’inizio dello Stato Pontificio. Il Papa uscì da Roma incontro a Liutprando che stava conducendo una vittoriosa campagna militare in Italia, che minacciava anche il Papato. Essendo il re longobardo a Spoleto, volle aspettare il Papa a Terni, proprio davanti alla basilica di San Valentino, sia per le virtù taumaturgiche che venivano riconosciute al santo sia perché già dalle origini veniva invocato come Custode dei Patti. Narrano le cronache che “Dopo essersi assisi ambedue nella chiesa del Beato Valentino.....colpito dalle sante parole persuasive di costui [papa Zaccaria] il re longobardo restituì al pontefice le città che aveva tolto ai Romani”.

E la questione dell’amore? Secondo la tradizione fu papa Gelasio I, alla fine del V secolo, a “promuovere” San Valentino patrono degli innamorati per sostituire le antiche feste pagane dedicate a Luperco, dio della fecondità, che si svolgevano con riti “orridi e licenziosi”. Proprio la fama di Custode dei Patti rese facile l’associazione con la protezione del matrimonio. Da questo nacquero diverse leggende sui suoi miracoli legati agli innamorati, ma a Terni è ancora conservato il sarcofago di Serapia e Sabino, due giovani che il Santo unì nell’eternità.

Ad ogni modo la ricorrenza del 14 febbraio fu uno dei tanti casi di cristianizzazione delle feste pagane, esattamente il contrario di quanto stiamo vivendo ai nostri giorni, in cui assistiamo invece alla ripaganizzazione delle feste cristiane. Lamentarsi ora contro l’industria dei dolci e del consumismo imperante non serve, l’unica cosa che può cambiare il corso della storia – personale e del mondo - è la nostra conversione. Come insegnava appunto San Valentino.