San Paolo VI, l’arte è vera se conduce a Dio
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Montini aveva un rapporto personale con diversi artisti e durante il suo pontificato diede vita a diverse iniziative culturali. Biasimava certa arte moderna «che ci separa dall’umano, dalla vita» e insegnava che la vera arte deve aiutare l’uomo a incontrare Cristo Risorto.
La Bellezza conduce a Dio e al Suo mistero. E lo sapeva bene san Paolo VI, il pontefice degli artisti; Giovanni Battista Montini, uomo dal fine intelletto, colto, raffinato, sempre spinto alla ricerca dell’uomo, di Dio, attraverso tutti i mezzi possibili. E l’arte, si sa, è uno dei più affascinanti strumenti di dialogo con Dio e fra gli uomini. Un colore di un dipinto, una nota sul pentagramma, un’immagine di un film possono contribuire a questa ricerca: l’arte - quando è vera arte - con la sua forza comunicativa, infatti, riesce a mettere in relazione il più intimo “io” dell’uomo con l’idea dell’Assoluto, di Dio.
Il pontificato di Montini aveva compreso tutto ciò traducendolo in diverse iniziative culturali e soprattutto in un dialogo con gli artisti che dopo secoli - viene in mente la grandiosa stagione del Rinascimento - riprendeva nuova vita in Vaticano. Dirà, infatti, nella famosa «Messa degli artisti», celebrata nella Solennità dell’Ascensione di Nostro Signore, il 7 maggio 1964: «Noi abbiamo bisogno di voi. Il Nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione. Perché, come sapete, il Nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa operazione, che travasa il mondo invisibile in formule accessibili, intelligibili, voi siete maestri. È il vostro mestiere, la vostra missione; e la vostra arte è proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità».
E proprio con gli artisti Montini avrà un rapporto del tutto personale, amicale, fatto di confronti e di progetti. Basterebbe semplicemente passare in rassegna la lunga lista delle opere che formano la Collezione d’arte contemporanea Paolo VI custodita a Concesio, la città che gli diede i natali. La collezione in questione non è ciò che potrebbe essere definito un “memoriale” della figura di Paolo VI: piuttosto, è la testimonianza tangibile, il frutto, di questo rapporto così speciale.
I nomi degli artisti? Variano per genere, per espressione pittorica, prova della sua visione a 360 gradi: si va da Marc Chagall a Henri Matisse; da Pablo Picasso a René Magritte, passando per Erich Heckel, fino a giungere ai nomi di Gino Severini, Mario Sironi, Giorgio Morandi, Salvatore Fiume, Aldo Carpi, Georges Rouault, Jean Guitton, Lucio Fontana, Giò e Arnaldo Pomodoro. Questi sono solo alcuni dei nomi che conducono la memoria a ciò che Montini aveva confessato al filosofo francese e suo amico Jean Guitton: «Ho sempre frequentato gli artisti, li ho sempre segretamente amati e quando posso, malgrado il loro pudore feroce, cerco di parlare con loro» (Dialoghi con Paolo VI, Jean Guitton, Arnoldo Mondadori, 1967).
Il grande merito di papa Montini è stato quello di intuire «la forza performativa dell’arte, scorgendo in essa non solo la via per la ricerca di nuovi linguaggi, non autoreferenziali, ma, e di più, la fonte per l’acquisizione di riferimenti fondamentali che condizionano in bene o in male la formazione dell’identità, incidendo profondamente sulla mentalità e sulle scelte di ciascuno. All’arte egli ascrive il ruolo di comunicare, di far parte della tradizione vivente, trasmissione incessante del Vangelo ricevuto, nei modi culturalmente più fecondi e rilevanti, affinché ogni uomo possa incontrare il Risorto, di essere un patrimonio spirituale all’interno del quale crescono e si formano le persone nel volgere delle generazioni» (dalla prefazione di Rino La Delfa in Perenne rivelazione dell’arte cristiana. Per una teologia dell’arte in Paolo VI di Filippo Salamone, Euno Edizioni, 2013).
Un amore per l’arte che si tramuta, per san Paolo VI, nella realizzazione di alcune importanti opere in Vaticano: come quando, una volta eletto pontefice, Montini farà ristrutturare una fatiscente cappella (o meglio una sala adattata a cappella) nell’appartamento pontificio. Paolo VI affiderà, allora, all’architetto Dandolo Bellini e ad altri diversi artisti il compito di ripensare artisticamente l’ambiente nel suo insieme. Il risultato sarà un’architettura austera ed essenziale per non distrarre l’animo dalla preghiera. La cappellina verrà inaugurata l’1 novembre 1964. Dirà Montini: «Essa è per noi una casa viva, un luogo privilegiato. È l’Aula di Cristo Maestro; è il Tempio di Cristo Sacerdote. Perché dovunque è un Tabernacolo, noi sappiamo, la sua reale e sacramentale presenza ci piega all’adorazione e ci invita alla contemplazione, ci ammette alla comunione». Ma c’è anche un’altra opera in Vaticano, di ben altra natura e ampiezza, voluta da papa Montini: è la Sala Nervi che oggi reca proprio il nome di Paolo VI. Una grande costruzione non per «amore di potenza o di fasto»: così la definì il papa all’inaugurazione del 30 giugno 1971. La Sala Nervi non voleva essere un’espressione di «orgoglio monumentale o vanità ornamentale», bensì la coscienza che «pur piccole creature e umili cristiani» serviamo a un Disegno «immenso e perfino infinito, un pensiero divino».
Nel già citato volume Dialoghi con Paolo VI è interessante sottolineare una frase di papa Montini in cui possono intravedersi risvolti profetici sull’odierna situazione dell’arte sacra: «Il mio cuore sanguina, quando vedo l’arte moderna che ci separa dall’umano, dalla vita. A volte, sembra che certi artisti dimentichino che l’arte deve esprimere le cose. Certe volte non si capisce più. È la torre di Babele». A noi contemporanei, allora, non rimane altro che associarci alle parole di una preghiera che lo stesso papa Montini aveva espresso durante i suoi Dialoghi con Guitton: «O beata voce dell’arte, o magica eco, che dal mistero della silenziosa bellezza trai musica di segni e di forme sensibili, quando riprenderai a cantare, quando col tuo fascino sovrumano ci riparlerai, per la via gioiosa e a tutti aperta della subitanea intuizione, del mondo arcano e profondo dell’Essere, donde le nostre cose hanno senso e radice?».