San Daniele e il Sacro Cuore, la forza della missione
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Nella spiritualità di san Daniele Comboni c’è un continuo riferimento al Sacro Cuore di Gesù, la cui contemplazione «è stimolo all’azione missionaria» e strettamente legata alla teologia della Croce.
San Daniele Comboni (Limone sul Garda, 15 marzo 1831 - Khartum, 10 ottobre 1881) è, nella storia della Chiesa, il missionario per eccellenza della devozione al Sacro Cuore di Gesù. Il santo di cui oggi ricorre la memoria liturgica è stato uomo di azione, ma, allo stesso tempo, uomo di preghiera che nel Cuore di Gesù ha trovato forza e ispirazione per i suoi molteplici progetti. Certamente, quello che più rimane impresso nella memoria collettiva è il suo sogno-progetto riguardo l’Africa: nel 1864, dopo aver sostato in preghiera presso la tomba dell’apostolo Pietro a Roma, Comboni ebbe una folgorante ispirazione che lo portò ad elaborare il suo famoso «Piano per la rigenerazione dell'Africa», progetto missionario sintetizzabile nella frase: «Salvare l’Africa con l’Africa».
Ciò che colpisce di più della spiritualità di san Daniele Comboni è questo continuo e fiducioso riferimento al Sacro Cuore di Gesù. Un Cuore che, in fondo, ha accompagnato il santo fin dalla giovinezza. Per comprendere ciò, è necessario fare un passo indietro nel tempo: arriviamo al 1843 quando Comboni era un semplice allievo dell’Istituto Mazza di Verona. Lì, il primo e vero incontro con il Cuore di Cristo. E ciò avvenne per mezzo dell’arte. Il centro spirituale di questo Istituto era la chiesa veronese di San Carlo: in questa chiesa, Comboni aveva sempre davanti agli occhi l’affascinante trittico del cosiddetto “Altare delle devozioni” che lo stesso fondatore dell’Istituto, don Nicola Mazza (1790-1865), aveva fatto dipingere dall’artista Giovanni Caliari (1802-1850). La pala centrale dell’altare rappresenta Gesù che mostra il suo Cuore fiammeggiante e luminoso. Accanto vi è la Vergine Maria, anche Lei con il Cuore Immacolato splendente. Nelle due tele laterali, invece, vi sono ritratti: sant’Ignazio di Loyola che invia san Francesco Saverio nelle Indie; nell’altra pala, san Luigi Gonzaga in Gloria. Davanti agli occhi del Comboni si presentava così una sorta di profetica immagine del suo futuro: la missione in terre lontane e la devozione al Sacro Cuore di Gesù e a quello della Vergine Maria. Quella raffigurazione pittorica potrebbe definirsi, davvero, una sintesi perfetta della sua biografia.
«Questo Cuore divino che tollerò d’essere squarciato da una lancia nemica per poter effondere da quella sacra apertura i Sacramenti onde s’è formata la Chiesa, non ha altrimenti finito di amare gli uomini, ma continua a vivere sui nostri altari prigioniero di amore e vittima di propiziazione per tutto il mondo», così si legge negli scritti di san Daniele. E, in fondo, la devozione al Cuore di Gesù scaturisce dalla sua attenzione verso il Crocifisso, verso il Cristo in Croce che dona la vita per riscattare l’umanità dal peccato. Non è un caso che si faccia riferimento proprio al Calvario nella Regola di vita dei Padri comboniani che – è importante ricordarlo – ufficialmente sono denominati Missionari comboniani del Cuore di Gesù: «La contemplazione del Cuore trafitto, da cui nasce la Chiesa, è stimolo all’azione missionaria come impegno per la liberazione globale dell’uomo, e a quella carità fraterna che deve essere un segno distintivo della comunità comboniana».
In san Daniele Comboni il Sacro Cuore di Gesù e la teologia della Croce costituiscono le basi fondanti dell’azione missionaria. Per il santo, infatti, il Sacro Cuore è espressione profonda dell’umanità del Verbo, «centro di comunicazione tra noi, che deve bruciare d'amore per la salvezza delle anime». Non è semplice devozione quella di Comboni, bensì un “qualcosa” di più incarnato, più vicino all’umanità di tutti i giorni. Per Comboni è proprio da quel Cuore lacerato di Cristo sulla Croce che si effonde l’amore. Da quello stesso Cuore nasce la Chiesa.
Vi è poi un tema – legato profondamente a quello della Croce di Cristo – che troppe volte è stato dimenticato. Eppure, riesce a donarci una prospettiva originale della spiritualità di Comboni: è quello del Sangue di Cristo, tema strettamente connesso con il Sacro Cuore, ovviamente. Al riguardo è assai interessante ciò che scrive padre Antonio Furoli: «Nel 1877 Comboni era Vescovo (di Claudiopoli di Isauria, ndr) da appena una manciata di mesi, quindi stupisce il suo interesse e la sua richiesta, mai emersi prima, al Vescovo di Mantova per avere un frammento della reliquia del preziosissimo sangue di Cristo. Importante è la finalità missionaria della sua richiesta, apparsa subito evidente alle autorità ecclesiastiche mantovane e perciò accolta senza indugio. Non ci troviamo, quindi, davanti a una pia devozione cristologica di Comboni, ma a un’espressione della sua spiritualità missionaria, radicata in quell’economia salutis ch’egli era andato via via rimuginando e maturando nell’arco degli anni» (San Daniele Comboni e il Sangue di Cristo. Tra memoria storica, ricerca, ed ermeneutica dei “pignora sanguinis Christi”, in Teresianum, 65, 2014).
In sintesi, è possibile tracciare una sorta di itinerarium mentis di Comboni: la prima tappa è quella del Sacro Cuore di Gesù; la seconda è la Croce; e poi abbiamo il sangue di Cristo che così come dalla Croce sgorga dallo stesso Sacro Cuore. La Croce, dunque, diventa fondamentale per comprendere la spiritualità comboniana. San Daniele scrive: «Dio ha stabilito, che le opere, che devono servire alla sua maggior gloria, siano contrassegnate dal sigillo della Croce, ed essendo nate ai piedi della Croce, anch’esse, come la Chiesa di Dio, in questo mondo, devono sostenere i duri colpi della persecuzione».