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Salvini in crisi ha un'ultima carta da giocare: Donald Trump

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Nel mirino delle critiche per la sconfitta umbra c'è il Capitano, che ha perso consensi anche in Emilia ed è alle prese con la fronda interna. Ma ha ancora una speranza oltreoceano nel rapporto privilegiato con il tycoon che ha riconquistato la Casa Bianca.

Editoriali 20_11_2024
Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

La sconfitta del centrodestra in Emilia Romagna era attesa, mentre quella in Umbria è stata giudicata evitabile e dunque brucia molto di più. I leader della maggioranza di governo pensavano ad un testa a testa dagli esiti incerti e invece, fin dall’inizio dello spoglio, si è capito che avrebbe vinto Stefania Proietti, del centrosinistra. Donatella Tesei, governatrice uscente, è uscita con le ossa rotte, avendo perso di oltre 5 punti. Sicuramente ha pesato l’alta astensione, che ha penalizzato soprattutto chi gestiva il potere da cinque anni ed evidentemente ha deluso le aspettative. Poi ci si è messa, nelle settimane scorse, la campagna mediatica contro la Tesei, colpita da accuse di abuso d’ufficio, reato cancellato dalle recenti riforme. Infine l’esponente leghista umbra ha risentito dell’appannamento dell’immagine pubblica di Matteo Salvini, che pure ha fatto una campagna elettorale a tappeto per la riconferma della Tesei, ma si è spesso ritrovato da solo perché sia Fratelli d’Italia che Forza Italia hanno spesso dato l’impressione di uno scarso impegno sul territorio.

Ora, quindi, nel mirino delle critiche c’è il Capitano, che evidentemente non sta attraversando uno dei suoi periodi migliori, vista la fronda interna alla Lega che vorrebbe disarcionarlo e sottrargli la guida del Carroccio. La Lega non solo ha perso in Umbria, ma anche dilapidato tutto il suo tesoretto elettorale in Emilia, sfigurando nei confronti del suo elettorato storico. L’emorragia di consensi a Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Ferrara e relative province la dice lunga sullo stato di salute precario del partito di Salvini.
Da una parte, quindi, c’è la rivalità con Fratelli d’Italia e Forza Italia, che ha scavalcato elettoralmente la Lega, dall’altro ci sono le divisioni interne e il malcontento della base. Peraltro Luca Zaia, governatore leghista più suffragato, non potrà ricandidarsi per la terza volta in Veneto, visto il vincolo dei due mandati, e quindi il rischio è che il Carroccio perda anche quella sua bandiera e debba cedere ai meloniani la guida della regione, anche se non è detto che a quel punto a prevalere non possa essere la sinistra.

Matteo Salvini nel centrodestra si trova nella stessa situazione di Giuseppe Conte nel centrosinistra: ha dovuto abbandonare ogni ambizione di leadership, esattamente come l’”avvocato del popolo”, visto e considerato che il suo partito non può neppure lontanamente competere, come numero di voti, con Fratelli d’Italia. Ormai Elly Schlein ha la golden share nel centrosinistra e Giorgia Meloni nel centrodestra. Sia la Lega che i Cinque Stelle continuano a perdere voti e questo li mette ai margini delle rispettive coalizioni.

Probabilmente l’unica chance di riscatto che quei due partiti, in lenta agonia, potrebbero avere, è la rinascita del fronte sovranista giallo-verde, sulla falsariga del 2018. Sembra fantapolitica, ma al di là dell’Oceano ora c’è lo stesso interlocutore di 6 anni fa, vale a dire Donald Trump, che è tornato alla Casa Bianca e stravede per Matteo e per “Giuseppi”. La sponda americana appare in questo momento l’ultima carta che il Ministro dei trasporti può giocarsi per rimanere a galla e rilanciarsi sulla scena politica nazionale. Si vocifera che Salvini stia peraltro organizzando un viaggio a Washington per andare a salutare il suo amico Donald e magari concordare con lui le prossime mosse in Italia e in Europa, in funzione dei disegni sovranisti trumpiani.

Matteo Salvini ha dimostrato negli anni fortissime abilità nella conquista dei voti e nella risalita nei sondaggi, quindi non è escluso che il suo rapporto privilegiato con Trump possa rappresentare una freccia al suo arco e contribuire al suo rilancio politico. In alternativa c’è chi ipotizza che Vannacci possa prendere il suo posto e tornare a scaldare i cuori dell’elettorato leghista, che ha già salutato con favore il generale sul prato di Pontida. Ma è assai difficile che i ceti produttivi del nord, concreti e realisti, possano affidare le loro sorti a uno come Vannacci, visto con sospetto e diffidenza dai poteri forti in Italia e percepito come un estremista sia in molti ambienti nazionali che all’estero. Sarebbe forse in grado di parlare alla pancia dei duri e puri, ma sarebbero proprio questi ultimi a percepirlo come un corpo estraneo alla storia della Lega e dunque a non credere fino in fondo in lui.



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