Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
l'era delle cattedrali

Saltini teme il Medioevo. Ma è l'arte a smontare il cliché

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L’artista, al centro delle polemiche per la mostra nel Museo diocesano di Carpi, paventa i cosiddetti secoli bui. Così bui da testimoniare una fervida fantasia capace di unire varietà e verità. 

Cultura 07_03_2024
Wikimedia - autore: Sailko

Alla fine anche Andrea Saltini, l’artista al centro delle polemiche per le controverse opere esposte nel Museo diocesano di Carpi, risponde alle critiche evocando la parola magica che immancabilmente salta fuori ogni volta che si cerca un riferimento negativo: Medioevo. Intervistato sulla Gazzetta di Modena, afferma: «Siamo tornati al Medioevo. Basti pensare a quegli artisti tanto criticati, come Caravaggio, le cui opere troviamo nei luoghi sacri». Sorvoliamo sul fatto che l’esempio di Caravaggio non è dei più calzanti, essendo nato nel 1571, quando l’epoca medievale era finita da un po'. Per smontare il diffuso cliché basterebbe leggere storici come Régine Pernoud («È l’unica epoca di sottosviluppo che ci abbia lasciato delle cattedrali») o Marco Tangheroni («Vengano qui, sulla piazza pisana dei Miracoli, tra cattedrale, battistero, torre pendente, camposanto e mi dicano se questo è “buio”. Ce ne fossero, oggi, di “tenebre” così!»). Ma almeno quando si parla di arte non si tiri in ballo il Medioevo a sproposito.

È proprio l’arte medievale a restituirci un’immagine tutt’altro che statica e oppressiva di quel vituperato millennio. Ancora oggi restiamo incantati dall’inesauribile e insospettata fantasia dell’uomo medievale che anima le miniature di un codice o la miriade di simboli che crescono come rampicanti sulle facciate delle cattedrali. Un solo capolettera miniato brulica di vita soprannaturale e anche naturale: che sia fitomorfo, zoomorfo, istoriato, il segno grafico si arricchisce di elementi vegetali, animali, di personaggi biblici e storici, tramutando la pagina in un microcosmo. Ancora più sorprendenti sono i marginalia, cosiddetti perché dipinti sui margini di un codice, dove possiamo imbatterci persino in minuscoli conigli in armatura, o battaglie ingaggiate da lumache e altre bizzarrie (che gli studiosi definiscono con un apposito termine francese: drôlerie) che danno prova di un surrealismo ante litteram. Niente male per dei secoli bui.

Quanto ai soggetti propriamente religiosi nessun’altra epoca si dimostra più fertile e fantasiosa fin dentro il testo liturgico: ne è esempio eloquente l’iniziale T del Te igitur (le parole con cui inizia il Canone romano), che va man mano esaltando la forma di croce giungendo poi ad ospitare il Crocifisso. Così che nel momento in cui si appresta a consacrare, il sacerdote vede raffigurato nel testo del messale il mistero che sta per compiersi tra le sue mani. Ancora, il crocifisso conosce diverse varianti: avete mai visto un morto con gli occhi aperti come se fosse vivo? Ecco il Christus triumphans, cioè il Cristo crocifisso e teoricamente già morto eppure vivo, condensando nella stessa immagine la croce e il trionfo della risurrezione. L’albero della croce è insieme albero della vita nel mosaico absidale di San Clemente a Roma o nell’affresco di Taddeo Gaddi a Santa Croce a Firenze, dove si innesta sull'Ultima Cena. Per non parlare delle ramificazioni dell’iconografia mariana: la Madonna in Maestà, la Madonna dell’Umiltà, la Madonna della Misericordia (e quest’ultima con l’ulteriore variante della Madonna delle Frecce, il cui manto si fa scudo contro i castighi divini rappresentati dai dardi).

L’iconografia che forse risulterà più sorprendente è quella della Madonna del Latte, la Vergine che allatta il Bambino Gesù. Lo scopo non è quello di raffigurare il seno scoperto della Madonna tanto per provocare, bensì di sottolineare il reale allattamento del Figlio di Dio quale indizio della sua reale umanità e quindi dell’altrettanto reale Maternità divina di Maria. Questo tema conosce (almeno) due varianti: la lactatio di san Bernardo di Chiaravalle, che riceve uno zampillo di latte dal seno della Vergine (ma a debita distanza), simbolo della scienza divina miracolosamente ricevuta. E la duplice intercessione dipinta da Lorenzo Monaco (siamo ormai all'inizio del Quattrocento), in cui Maria intercede per un gruppo di persone mostrando al Figlio il seno che lo ha allattato («Dolciximo figluolo pellacte che io ti die abbi mi[sericordi]a di chostoro») e questi a sua volta mostra al Padre le piaghe, prezzo della Redenzione.

La fantasia fiorisce anche nell’autunno del Medioevo. Troviamo Cristo che sale da sé una scala appoggiata alla croce, a indicare la libera accettazione del suo sacrificio. Oppure il Cristo della Domenica, in piedi, con i segni della Passione, circondato da vari strumenti di lavoro, che ne rinnovano le sofferenze quando vengono usati di domenica, violando il precetto festivo. Immagini inventate, naturalmente, ma non "a fantasia dello chef", rappresentando questa o quella verità implicita nell'evento evangelico e nel depositum fidei. L’elenco potrebbe continuare a lungo ma un ultimo cenno merita il “bestiario cristiano” che sulla scorta dei riferimenti biblici e delle varie versioni del Fisiologo (un best seller dell'epoca, risalente al II-III secolo) vede negli animali, reali o immaginari, altrettante immagini delle realtà eterne: l’agnello, il pellicano, simboli di Cristo, ma anche il drago e il serpente, simboli del male.

Tanta vitalità, inspiegabile da parte di una società rigida e chiusa (come vorrebbe la vulgata), testimonia una fantasia galoppante ma tutt’altro che arbitraria.  A quei secoli dobbiamo un meraviglioso caleidoscopio in grado di unire le cose visibili e quelle invisibili, tale da far impallidire certe moderne opere a tema (anzi a pretesto) religioso, fin troppo ripiegate sul mero contemporaneo, la cui smania di inseguire l’originalità fine a se stessa è tanto ripetitiva da risolversi in una nuova forma di conformismo. Se non altro la mostra e l’intervista di Saltini hanno un merito: quello di farci rimpiangere e riscoprire l’arte medievale, che sapeva coniugare varietà e verità.



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