Salis libera tutti, ma il carcere serve anche a chi delinque
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L'eurodeputata di Avs rilancia l'utopia abolizionista e dimentica che riparare al male commesso è utile al reo non meno che alla società. Abolire la detenzione esprime solo la volontà – ideologica! – di liberarsi da ogni legge. Che alla fine vale solo per gli "amici".
Chiedere ad un anarchico di essere a favore della detenzione è come chiedere ad un radicale di essere a favore della vita. Ilaris Salis scrive Le mie prigioni su Instagram e, vivendo su Utopia da parecchio tempo, chiede che vengano abolite, al pari dei centri di rimpatrio per i clandestini. Ma soffermiamoci sul reticolo di riflessioni della pasionaria in quota Avs relative alle carceri.
L’eurodeputata scrive: «Ho fatto esperienza sulla mia pelle della logica punitiva e vendicativa del carcere. […] Credo che occorra mettere radicalmente a critica il sistema carcere e ripensare dalle fondamenta i modi di risolvere i rapporti di ingiustizia della società». Poi l’attivista, accusata di aggressione in Ungheria, rileva giustamente che in Italia c’è un problema di sovraffollamento con tutte le conseguenze del caso soprattutto sul versante psicologico per i detenuti.
Dopo il solito e prevedibile sermoncino contro il governo attuale perchè fascista e dopo aver criticato il sistema repressivo perché classista – ma è un dato di fatto che a delinquere sono in percentuale di più gli stranieri – la Salis torna a criticare la soluzione del carcere in sé e per sé: «La proposta di un’alternativa all’inefficacia e alla disumanità del sistema-carcere non è semplice, ma nemmeno una utopia. Le strade da percorrere lungo la via di un nuovo realismo abolizionista, necessario a partire da subito, sono necessariamente due». E qui la Salis indica altre forme di giustizia retributiva – intento lodevole – e poi accenna ad un classico del pensiero comunista: colpa dei reati non è di chi li compie, ma della società. Dunque dobbiamo rivoluzionare l’assetto della società. E così conclude: «Liberiamo la nostra immaginazione politica dalla falsa necessità della prigione».
Per fare una battuta ci verrebbe da dire che la Salis, per risolvere i propri problemi con la giustizia, prima si è fatta eleggere per essere scarcerata ed ora vuole andare alla radice del problema e, per stare proprio tranquilla, mira all’abolizione del carcere per tutti. Battute a parte appare coerente che chi come lei non è incline a rispettare la legge – 4 condanne e 29 denunce – voglia altresì eliminare anche le conseguenze penali di quelle stesse leggi, in primis il carcere.
Ma davvero la prigione è una falsa necessità? Davvero è censurabile che, come scrive la Salis, lo Stato persegua anche una logica punitiva? Il carcere in realtà è a volte necessario perché declinazione particolare della necessità della pena in una società organizzata. La pena è necessaria perché solo lei riesce a soddisfare tre specifiche finalità, conosciute anche come funzioni. La prima finalità è quella più importante, da cui discendono le altre due (cfr. M. Ronco, Il problema della pena, Giappichelli): la finalità retributiva. Occorre riparare al danno commesso, restaurare il volto della giustizia deturpato da un atto di ingiustizia. È la finalità più astratta ma anche più comprensibile a tutti: se qualcuno ha sbagliato deve pagare. Se hai sottratto, devi restituire. E se spesso è impossibile restituire in forma specifica – i cadaveri normalmente non tornano in vita – ecco che si fa ricorso alla sofferenza provocata da una pena, che si chiama così proprio per il dolore riparatorio che provoca.
La seconda finalità fa riferimento alla funzione di deterrenza: sapere che se si compie X poi ci sarà una pena da scontare e verificare che realmente così accade per molti, può scoraggiare altrettanti dal compiere i reati. La terza finalità riguarda il potere rieducativo della pena: riacquistare quella quota di umanità persa con l’illecito tramite una sofferta espiazione.
La pena deve essere proporzionale alla gravità della condotta (aspetto oggettivo) e alla responsabilità di chi ha compiuto l’illecito (aspetto soggettivo). Questi due parametri possono giustificare una pena detentiva, che, nel nostro ordinamento, è la sanzione più severa prevista. Dunque il carcere, se rettamente inteso, non esprime una vocazione vendicativa dell’ordinamento giuridico, ma esprime la virtù della giustizia e, se vissuto in situazioni consone alla dignità personale, fa il bene del reo che troverà così il modo per riparare al male commesso, per cambiare in meglio come persona e per stornare se stesso dal compiere in futuro altri crimini.
Inoltre il carcere aggiunge un’altra finalità a quelle già illustrate, finalità sua propria: protegge la collettività dall’aggressività del reo. Può essere dunque una forma di difesa dei cittadini nei confronti di delinquenti che potrebbero continuare a corrompere il tessuto sociale.
Dunque le prigioni sono necessarie sia per il bene dei delinquenti che per il bene della società. Abolirle esprime solo una volontà ideologica tesa a liberarsi da ogni legge, volontà ideologica che tra l’altro è solo a senso unico: fuori i malfattori, eccetto quelli che sono fascisti. Per questi un paio di manette ci dovrà sempre essere. A meno che non si scelga la soluzione Piazzale Loreto.
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