Russia-Ucraina, storia di un accordo che non c'è mai stato
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Spesso si ripete la storia per cui nell'aprile 2022 ci sarebbe già stato un accordo, ma che furono Regno Unito e Stati Uniti a volere far proseguire la guerra. In realtà c'erano sul piatto importanti concessioni, una base anche per future negoziazioni, ma sono mancate garanzie decisive...
Da quando è cominciata l’aggressione russa all’Ucraina è accaduto, sovente, che le informazioni fornite da esperti e giornalisti fossero alquanto sommarie, contraffatte e tendenziose, sia da parte russa che ucraina. Questo però fa parte della guerra e ogni governo coinvolto deve, come diceva Churchill «proteggere la verità con una corazza di menzogne».
Meno giustificabile è, invece l’informazione parziale fornita in Italia e in Occidente. In particolare, parlando dell’”Istanbul communiquè” dell’aprile 2022, non si comprende perché si debba ripetere la versione data da Putin nel giugno del 2023 e che riguardava l’esito delle trattative fra russi e ucraini, iniziate subito dopo lo scoppio della guerra. Nel corso di un incontro con una delegazione di mediatori africani, Vladimir Putin mostrava un accordo firmato a Istanbul alla fine di marzo 2022. «Si chiama: Trattato sulla neutralità permanente e sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina», osservava il leader russo ricordando che il trattato era molto minuzioso ma che «le autorità di Kiev e i loro padroni l’hanno gettato nella pattumiera della storia».
Le trattative tra Russia e Ucraina, iniziate subito dopo l’inizio della guerra erano culminate in una dichiarazione congiunta in dieci punti denominata “Istanbul Communiqué”, stilata con la mediazione turca. L’Ucraina si impegnava a restare neutrale e non entrare nella NATO. La Russia cedeva sulle pretese di smilitarizzazione e di “denazificazione”, bastando per questo punto l’adozione di una legge specifica e, inoltre, dava il proprio benestare all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea. L’Ucraina chiedeva inoltre garanzie sulla propria indipendenza, che fossero molto più solide e attivabili di quelle già fornite con l’infausto memorandum di Budapest del 1994 in base al quale l’Ucraina aveva ceduto alla Russia le proprie testate nucleari in cambio dell’impegno a non essere aggredita.
Recentemente, sulla rivista Foreign Affairs è apparso un lungo articolo di Samuel Charap e Sergey Radchenko dal titolo “I colloqui che avrebbero potuto porre fine alla guerra in Ucraina. Una storia nascosta di diplomazia fallita ma che contiene lezioni per future negoziazioni” La lettura di questo saggio è stato così riassunto da autorevoli commentatori: a fine marzo 2022 tutto era pronto per la pace ma il primo ministro inglese Boris Johnson e la diplomazia americana sono intervenuti presso il governo ucraino per far saltare l’accordo, incitando gli ucraini a continuare la guerra.
Il problema è che gli autori dell’articolo non si sono espressi in questi termini, anche perché rifuggono da «semplificazioni monocausali». Le trattative, iniziate il 28 febbraio 2022 videro inizialmente i russi imporre condizioni molto dure chiedendo la capitolazione ucraina ma, negli incontri successivi, i ministri degli esteri ucraino e russo riuscirono a trovare una soluzione «sistematica e sostenibile». Al centro delle trattative vi era l’esigenza ucraina di ottenere garanzie solide dalle potenze coinvolte nelle trattative ma queste garanzie erano difficili da ottenere. Il ministro degli esteri israeliano Naftali Bennett che svolse opera di mediazione tra le parti disse, in una intervista del febbraio 2023, di aver provato a dissuadere Zelensky dall’ottenere l’impegno occidentale a difendere militarmente l’Ucraina in caso di una nuova aggressione russa. «È come – disse Bennett – la barzelletta di quel tipo che cerca di vendere il ponte di Brooklyn. L’America ti darà garanzie? Si impegnerà a mandare dei soldati in Ucraina se la Russia attaccherà? Dopo aver lasciato l’Afghanistan? Non credo proprio»
In effetti l’Ucraina, pur non entrando nella NATO, qualora fosse stata aggredita, avrebbe fatto scattare l’alleanza militare con gli Stati Uniti. E questi non erano disposti a impegnarsi fino a questo punto. I russi da parte loro accettavano che l’Ucraina entrasse a far parte dell’Unione Europea e rinunciavano alle pretese di “denazificazione”. Si trattava di concessioni notevoli ma le trattative non erano finite
Anche dopo la scoperta delle stragi di Bucha le trattative continuarono e i russi cercarono di modificare alcune clausole a proprio vantaggio. Il 15 aprile i russi cercarono di cambiare il trattato inserendo una clausola per cui gli stati garanti sarebbero intervenuti a difesa dell’Ucraina solo sulla base di una decisione adottata all’unanimità. Il che significava invalidare le garanzie in caso di attacco russo. Inoltre i russi chiesero l’inserimento di articoli con cui l’Ucraina bandiva nazismo, fascismo e nazionalismo aggressivo e l’abrogazione di sei leggi che affrontavano alcuni aspetti controversi della storia sovietica «E i russi – commentano gli autori dell’articolo – sapevano bene che queste clausole avrebbero messo in difficoltà gli ucraini e che non avrebbero accettato il resto del trattato»
Altra pretesa russa, avanzata il 15 aprile, era la riduzione dell’esercito di Kyev da 250.000 a 85.000 uomini. Gli ucraini volevano mantenere 800 carri armati e i russi non ne concedevano più di 342. Ciò nonostante le trattative continuarono anche se non si parlava di un “cessate il fuoco” e il contenzioso sui territori occupati era rinviato a eventuali colloqui tra Putin e Zelensky. Tutto ciò considerato, gli occidentali erano profondamente scettici sulla riuscita delle trattative e, più di tutto, ciò che spinse gli Stati Uniti a far saltare l’accordo fu la volontà di non impegnarsi a difendere l’Ucraina. Molto meglio continuare a fornire armi e continuare la guerra.
«La pretesa – scrivono gli autori – che l’Occidente abbia forzato l’Ucraina a ritirarsi dai colloqui con la Russia è infondata. In realtà russi e ucraini non arrivarono mai a un accordo su un testo definitivo». Tuttavia sia Zelensky che Putin erano arrivati a reciproche concessioni e, in un futuro, gli accordi di Istanbul potranno essere una base di trattativa. Resta il fatto che le garanzie richieste dall’Ucraina non verranno mai corrisposte. Ben difficilmente un paese occidentale si impegnerà a entrare in guerra per proteggere l’Ucraina.
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