Ronald Reagan, la sua lotta per il diritto alla vita
A 10 anni dalla scomparsa, molti ricordano Reagan per la Guerra Fredda e per la sua politica economica. Pochi, però, rammentano la sua lotta contro l'aborto.
L'aborto e la coscienza di una nazione di Ronald W. Reagan
Dieci anni fa, il 5 giugno 2004, scompariva, all’età di 93 anni, il presidente Ronald Reagan. Tutti lo ricordano ‒ giustamente ‒ come l’uomo che (assieme a Margaret Thatcher e san Giovanni Paolo II) ha contribuito in modo decisivo al crollo dell’Unione Sovietica e alla fine della minaccia comunista internazionale; come l’uomo che ha ridato speranza e fiducia a una nazione, gli Stati Uniti, troppo a lungo piegata nel morale; come l’uomo che, nel 1981, ha deciso la più importante riduzione delle tasse della storia statunitense, imprimendo all’economia americana e mondiale una lunga spinta virtuosa; come l’uomo che, coronando con il successo l’itinerario politico-culturale iniziato nel 1964 dal senatore Barry Goldwater (suo amico e “maestro”), ha portato per primo ai massimi vertici istituzionali del Paese americano la cultura conservatrice, fatta di “princìpi non negoziabili” e di libertà fondamentali della persona; e ‒ un po’ più vezzosamente ‒ come l’uomo che “si è fatto da sé” facendo di tutto, il bagnino durante le vacanze scolastiche estive o la star cinematografica non esattamente di primo piano a Hollywood.
Pochi però ricordano che quelle di Reagan non sono mai state delle pur lodevoli virtù solamente laiche. Reagan era infatti un credente profondo, un cristiano protestante (battezzato nella Chiesa dei Discepoli di Cristo, da adulto ha poi sempre frequentato la Chiesa presbiteriana). Come più volte messo in rilievo da Paul Kengor ‒ uno dei suoi biografi più acuti e sensibili ‒, Reagan ha preso sul serio la fede e le sue implicazioni: sempre, ma in modo particolare una volta giunto alla Casa Bianca, come avvertendo la sproporzione umana fra sé e un ruolo tanto grande, dunque non sottraendovisi, bensì chiedendo costantemente l’aiuto della Provvidenza.
Reagan il cristiano fu quindi, ovviamente, anche uno strenuo difensore del diritto alla vita. Un antiabortista granitico. Lo colpiva particolarmente, anzi quasi lo angosciava, l’idea che un Paese votato alla difesa della libertà e della persona come gli Stati Uniti, e per questo disposto anche a sopportare grandi sacrifici, potesse tollerare nel proprio ordinamento politico, addirittura nel proprio ethos nazionale, l’aborto. Come poteva un Paese, rifletteva Reagan, continuare a definirsi democratico pur permettendo un tale massacro d’innocenti? Forse che l’aborto non metta irrimediabilmente in crisi il senso stesso della democrazia, il fondamento della vita di un Paese?
Fu per questo che nel 1983, da presidente, ma scrivendo come un qualsiasi comune cittadino, Reagan volle firmare e inviare il saggio Abortion and the Conscience of the Nation alla redazione del trimestrale The Human Life Review di New York, una delle più prestigiose, antiche e documentate pubblicazioni statunitensi a difesa della vita umana, aperta a qualsiasi contributo eppure fondata da cattolici e palesemente cattolica.
Reagan sedeva da due anni alla Casa Bianca come 40° presidente degli Stati Uniti d'America. Eletto nel 1980 (e insediatosi nel gennaio dell'anno seguente), sarà rieletto nel 1984 e fino al 1988. Non era mai stato, né mai più lo fu dopo, prassi normale che un presidente prendesse carta e penna per firmare un saggio per un periodico, e un saggio su questo argomento. In quel 1983 ricorreva il decimo anniversario della legalizzazione dell'aborto statunitense. The Human Life Review pubblicò immediatamente il testo di Reagan sul numero della primavera di quell'anno. Poi lo fece ancora, dieci anni esatti dopo, nel ventennale di quel misfatto, accompagnandolo con una nota editoriale che diceva «just as proudly»: orgogliosamente si ripubblicava quel testo così come orgogliosamente lo si era pubblicato la prima volta.
Quel testo di Reagan, intanto, aveva suscitato passioni, acceso speranze, scatenato controversie. Lo si può ben immaginare: il presidente del Paese più potente del mondo che chiede ospitalità ai pro-lifer per denunciare senza mezzi termini l'aborto, e il tutto non in campagna elettorale. Il testo di Reagan venne ripubblicato in molte vesti. Divenne libro, libretto, pamphlet. Addirittura vademecum del “buon uomo politico reaganiano” che intende presentarsi all'elettorato da “vero americano”.
Andò poi oltre, Reagan. Dopo la pubblicazione di quel suo clamoroso scritto, e sulla sua scia, decise che la Casa Bianca avrebbe ufficialmente e solennemente chiamato gli Stati Uniti a onorare la vita umana innocente sacrificata dall’aborto, istituendo il Giorno della sacralità della vita umana. Il primo fu celebrato, per volere di Reagan, il 13 gennaio 1984, e così continuò a essere, ogni anno, fino allo scadere del mandato di Reagan, nel 1988. Il nuovo presidente, George Bush padre, già ex vicepresidente di Reagan, continuò a indire anno dopo anno l’osservanza di quel Giorno speciale con la medesima solennità del suo predecessore e così fece per tutto il proprio mandato, fino al 1992. Poi venne la stagione lunga di Bill Clinton, presidente favorevole all’aborto, e quel Giorno non fu più celebrato sino al 2000, per tornare invece, per altri otto anni, fino al 2008, con la presidenza di George W. Bush figlio. Da allora, con Barack Obama alla Casa Bianca, il Giorno della sacralità della vita umana è stato nuovamente cancellato.
Quel testo di Reagan è qui tutto da leggere, nella traduzione che il mensile Studi cattolici pubblicò nel 2004 in morte del presidente. È molto bello sottolineare, tra l’altro, che due sono i testimonial che in esso il presidente protestante cita a favore della vita, la beata Teresa di Calcutta (1910-1997) ‒ che Reagan volle anche fisicamente portare sin dentro la Casa Bianca ‒ e lo scrittore inglese ex ateo Malcolm Muggeridge (1903-1990), due cattolici.
L'aborto e la coscienza di una nazione di Ronald W. Reagan