Rivolte in Francia, nelle banlieue l'odio di islamici sussidiati
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Alexandre Del Valle, politologo italo-francese, sulla natura della rivolta delle banlieue francesi. Non si tratta di gente povera, ma di famiglie sussidiate dallo Stato, islamici che non si riconoscono nella Francia, aizzati dalla cultura anti-occidentale.
«Fidatevi, meglio non provocarci perché diventiamo una razza di m**da, più di quello che potete pensare e soprattutto se parlate di religione sappiate che ogni musulmano per la sua fede e il suo Dio è pronto a morire», è così che il rapper marocchino BabyGang - che esercita la sua professione in Italia - s’è rivolto al ministro Salvini nel commentare la settimana di disordini in Francia.
Il cantante marocchino ha offerto una diagnosi abbastanza approfondita di chi sono i ragazzi che hanno saccheggiato il Paese. E che corrisponde a quanto emerge dai rapporti degli analisti. Oltre il 30% degli arrestati sono minorenni. Non temono la polizia, né la giustizia: sanno che non gli succederà nulla per via della giovane età. La custodia è l’equivalente di una medaglia di coraggio che attaccheranno ai pantaloni della tuta.
Ora che il clima di rivolte violente s’è raffreddato, ne parliamo con Alexandre del Valle. Il politologo italo-francese, professore di geopolitica all’Ipag Business School Parigi-Nizza e alla Luiss Business School di Roma, specialista di Medio Oriente, ci offre un identikit della generazione che ha distrutto la Francia in una settimana.
La stampa internazionale, e soprattutto quella italiana, ha raccontato di ragazzi che vivono il disagio della povertà estrema. Quindi tale reazione è colpa di uno Stato incapace?
Questi qui non sono poveri. Siamo al cospetto di adolescenti, o poco più grandi, che vivono senza mancare di nulla nelle banlieues. Lì, hanno due fonti di reddito. La prima sono i sussidi enormi erogati dallo Stato Sociale francese. Questo permette alle famiglie musulmane magrebine, o dell’Africa nera, quelle che hanno più di tre figli - cioè tutte! - di poter anche non lavorare.
Come funziona?
Lo Stato francese è il più “antirazzista” del mondo: concede sussidi alle famiglie di immigrati, senza nessuna discriminazione. Dall’alloggio alle borse di studio, le madri ricevono per ogni bambino denaro tale da superare il reddito minimo d’inserzione (RSA) e che, stranamente - in violazione della legge che proibisce e castiga il reato di poligamia dal 1994 – dà un privilegio alle famiglie poligame (in maggioranza saheliane) che ricevono tra 3000 e 6000 euro mensili solo perché hanno molti bambini.
Qual è la seconda fonte di guadagno nelle banlieues?
I più giovani fanno le sentinelle degli spacciatori: possono così guadagnare circa 150 euro al giorno. L’età imputabile è dalla loro e gli impedisce di finire in galera. Un po’ come fanno i palestinesi che si fanno scudo dei bambini per attaccare gli israeliani. Sono ricchi senza sforzo. Ma attenzione, questi non sono quartieri dove ci sono solo spacciatori. So bene di cosa parlo: sono cresciuto nella zona nord di Marsiglia, tra i quartieri più pericolosi.
E com’era la vita lì?
La vita era bella quando ci viveva gente come me, originaria di famiglie povere siciliane, spagnole o “pieds noirs” (francesi nati in Africa, ndr). Le banlieues sono state tutte costruite tra il 1956 e il 1970, inizialmente per i numerosissimi “Pieds noirs” italiani e spagnoli cacciati dalla Tunisia, dal Marocco e dall’Algeria indipendenti. Erano un posto pulito e ben gestito. Non c’era delinquenza. Meno vantaggi e sussidi. E la scuola era vista come un’opportunità di cambiare vita.
Oggi?
Oggi, posso affermare con certezza che chi è davvero povero, come lo eravamo noi, e ha genitori responsabili, non sta dietro a spaccio e delinquenza, ma è concentrato nello sforzo di studiare e di trovare un lavoro.
E chi si dedica a spaccio e delinquenza?
I giovani che crescono in famiglie musulmane poligame, dove ai ragazzi è concessa qualsiasi cosa mentre alle donne no. Lo denuncio da 30 anni e lo confermano studiosi musulmani autorevoli come Tarik Yildiz (franco-turco), Malika Sorel, algerina ex-membro dell’Alto Consiglio francese all’integrazione, Malek Bouti, ex presidente di “SOS Racisme” e ex-deputato socialista, di origine algerine: si sentono protetti dalla cultura della giustificazione. È quel tipo di odio tribale trasmesso dai genitori contro la Francia: “ci avete colonizzato, adesso tocca a noi”.
Si sentono vittime dalla società, e non avendo la necessità di lavorare, delinquono per noia?
La cosa è da decenni oggetto di studi di sociologia. I protagonisti delle rivolte sono le cosiddette persone “senza attività”. Possono permettersi di vivere senza lavorare e quindi hanno tempo libero a sufficienza per andare a devastare tutto. A differenza di altre categorie di immigrati che, invece, vengono qui e lavorano. Questo tipo di ozio assistito gioca un ruolo incredibile.
Tutto questo ha influito nella dinamica delle rivolte dopo la morte di Nahel?
La morte è stata un pretesto. Le rivolte sono state legittimate da estrema sinistra e islamici radicali, soprattutto i Fratelli musulmani. Poi si aggiunge ciò che chiamo la “cultura del crimine” diffusa da tanti rapper impuniti, Netflix, ecc... e l’odio antioccidentale trasmesso dagli islamisti che prendono i nostri cittadini musulmani in ostaggio e ne impediscono integrazione e assimilazione alla cultura occidentale “infedele”.
Qual è il ruolo della sinistra?
La sinistra dura, non godendo più di quelle enormi masse di proletari, ha individuato tra gli immigrati magrebini e africani i nuovi adepti. Li hanno convinti del fatto, con i Fratelli musulmani (insieme in funzione eversiva), che il francese in se stesso è fondamentalmente razzista e che è proprio questo che gli impedisce di trovare lavoro e integrarsi. La propaganda di estrema sinistra ha un ruolo indiscutibile nelle rivolte.
Si tratta di una sconfitta del modello multiculturale?
La nostra società europea “cosmopoliticamente corretta” e filo immigrazionista ha sbagliato perché se l’immigrazione non è scelta e controllata, e la sua discendenza ben integrata, diventa una bomba geopolitica interna con il rischio di uno scontro di civiltà permanente tra culture difficilmente capaci di vivere assieme.
Frequentano la scuola francese, parlano francese, lavorano tra francesi, eppure si sentono stranieri in casa loro. Odiano veramente il Paese?
Nelle ultime rivolte, si è osservato un odio contro la Francia terribile. “Francia di m***a”, “Francia ti distruggiamo”. E, in pochissimi l’hanno detto, ma hanno gridato anche, “Allahu Akbar”; “abbassate gli occhi, non sapete cosa vi aspetta: vedrete la violenza dei musulmani”.
La Francia è diventata come gli Stati Uniti: una società multietnica contraddistinta da modelli d’integrazione fittizi, nei quali sguazzano radicalismi e terrorismi, e le cui contraddizioni irrisolte degenerano in scontri?
Va osservata subito una cosa. Quando c’è stata la manifestazione per Nahel, indetta dalla madre del ragazzo, ha sfilato anche la famiglia di Adama Traoré con un fare aggressivo e rivoluzionario. Traoré è stato arrestato da due neri, cosa c’entra il razzismo? Fu un caso strumentalizzato dai democratici wokisti americani.
Non tutti sanno chi era Adama Traoré.
Un delinquente. Uno spacciatore che in carcere ha anche violentato il compagno di cella francese bianco per due anni. Quando morì - perché non si arrese alla polizia e scappò con la droga - il New York Times dedicò la prima pagina alla sorella. La ribellione dei Traoré, dal punto di vista Usa, va letta come la rivincita delle élite americane progressiste - il cui partito democratico fu storicamente schiavista -, che strumentalizzano il cosiddetto razzismo in Europa per demonizzare “la Destra” associata alla “polizia razzista” e per farsi perdonare il proprio passato.
Qual è il ruolo della moda woke statunitense?
Far credere a tutte le minoranze di godere del diritto ad essere suscettibili. Se vengo arrestato, l’attenzione non è sul reato, ma sul colore della pelle. Il wokismo è un fenomeno di decolpevolizzazione della violenza dell’uomo che non è bianco, cristiano, occidentale.