Ritorno alle urne? L'occasione del centrodestra
Mercoledì, Draghi tornerà a parlare alle Camere. Potrebbe rinunciare all'incarico, nonostante abbia ottenuto la fiducia da Camera e Senato, perché non intende proseguire senza il M5S in maggioranza. Occasione per il centrodestra: chiedere, compatti, di tornare al voto in ottobre.
Si apre la settimana decisiva per le sorti del governo e della legislatura. Mercoledì Mario Draghi si presenterà alle Camere per comunicazioni su quanto sta accadendo, ma non è detto che chieda la fiducia, che peraltro ha ottenuto ampiamente sia alla Camera che al Senato in occasione delle votazioni sul decreto aiuti. Si tratta, quindi, di una crisi anomala: il premier ha rassegnato le dimissioni (respinte dal Capo dello Stato) perché non intende continuare a governare senza una maggioranza di unità nazionale, quindi senza i Cinque Stelle, che non hanno partecipato al voto al Senato sul decreto aiuti.
Il ragionamento di Draghi sembra chiaro: numericamente potrebbe andare avanti anche senza i deputati e i senatori di Conte, ma in questo caso si troverebbe in balìa dei ricatti di altri leader come Matteo Salvini che, con l’approssimarsi del voto, alzerebbero il prezzo su ogni provvedimento da appoggiare. Superfluo, quindi, chiedere nuovamente un voto di approvazione del suo operato per poi dover salire comunque nuovamente al Colle a riconfermare le sue dimissioni.
I travagli all’interno del Movimento Cinque Stelle potrebbero anche chiudersi con la fuoriuscita dai gruppi parlamentari pentastellati di altri deputati e senatori intenzionati ad appoggiare l’esecutivo, ma la sostanza non cambierebbe: se il Movimento ufficialmente uscisse dal governo, il governo non esisterebbe più perché Draghi non tornerebbe sui suoi passi. Se invece fosse Conte a ritornare sui suoi passi, l’”avvocato del popolo” perderebbe la faccia con i suoi elettori oltranzisti, che in questo momento sono la maggioranza, e i governisti alla Di Maio erediterebbero quello che resta dei grillini. A ciò si aggiunge che sia il centrodestra che Renzi non vogliono più governare con i 5 Stelle, quindi il rebus crisi può essere sciolto solo in due modi: elezioni anticipate a ottobre o nuovo governo presieduto dal Ministro dell’Economia, Daniele Franco, per condurre in porto la manovra di bilancio, mettere in sicurezza (si fa per dire) alcuni provvedimenti importanti e mandare il Paese alle urne a marzo 2023. Ma quanti sarebbero disposti ad appoggiarlo?
A temere le urne sono ovviamente gli attuali ministri e moltissimi parlamentari, che perderebbero la poltrona senza avere alcuna certezza sul loro futuro. Contrari al voto soprattutto i dem, che si troverebbero costretti a correre da soli e senza il Movimento 5 Stelle, che farebbe una campagna elettorale tutta contro Draghi e il suo governo. Con l’attuale sistema elettorale, il Pd andrebbe incontro a una cocente sconfitta; la sua pattuglia parlamentare uscirebbe decimata e chi vuole sostituire Enrico Letta avrebbe buon gioco nel chiederne la testa. Anche i grillini con Conte, ammesso che riescano a conservare il 12% di cui vengono accreditati dagli ultimi sondaggi, porterebbero a casa ben pochi seggi. Per non parlare degli ipotetici centri e centrini con i vari Carfagna, Mastella, Renzi, Di Maio, Calenda e cespugli vari, che non avrebbero il tempo di organizzare una proposta politica in così poco tempo e rischierebbero un forte ridimensionamento.
Nel frattempo, però, si moltiplicano da più parti gli appelli a Draghi affinchè ci ripensi. Mille sindaci di grandi città tra cui Milano, ma anche governatori come quello ligure (Giovanni Toti) chiedono all’attuale premier di rimanere al suo posto fino alla fine della legislatura. Esortazioni analoghe arrivano dagli industriali e perfino dal personale medico.
Da indiscrezioni non confermate si apprende, però, che Draghi non avrebbe più intenzione di guidare il Paese da Palazzo Chigi e si starebbe preparando a un nuovo trasloco all’estero, in una importante istituzione internazionale.
Il centrodestra unito ha un’occasione storica: chiedere in maniera compatta a Mattarella lo scioglimento delle Camere, che a quel punto il Presidente della Repubblica non potrebbe rifiutare. Senza il centrodestra, in Parlamento non ci sarebbero i numeri per andare avanti, tranne i numeri della disperazione, cioè di quei parlamentari disposti a votare qualunque provvedimento e qualunque fiducia a qualunque governo pur di avere uno stipendio fino alla scadenza naturale della legislatura. Ma l’entità delle gravose sfide che attendono l’Italia richiede un esecutivo robusto e con un vasto consenso popolare. Ecco perché, se Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia dichiarassero formalmente chiusa l’era draghiana, il quadro si chiarirebbe e non si perderebbe tempo prezioso. Andare a votare il 2 ottobre potrebbe consentire al nuovo governo di fare, sia pure in fretta e furia, una nuova finanziaria entro fine anno, evitando l’esercizio provvisorio. Se invece la facesse l’attuale esecutivo, ci sarebbe l’assalto alla diligenza da parte di tutte le forze politiche che, in vista delle imminenti elezioni, farebbero di tutto per gratificare i rispettivi elettorati, il che renderebbe la legge di bilancio un’insalata russa e incoerente.
Conte certamente guarda i sondaggi quando tira la corda con Draghi e rivendica maggiore spazio per le proposte del suo Movimento. Tuttavia, chi accusa di incoscienza quanti auspicano un repentino ritorno al voto lo fa esclusivamente per tornaconto personale perché ha paura di essere punito dagli elettori. Le cancellerie europee e i mercati sanno già che in ogni caso a marzo o maggio 2023 la parentesi del governo Draghi si chiuderebbe. Non cambierebbe molto se l’attuale esecutivo restasse in carica per l’ordinaria amministrazione, dunque fino ad ottobre, consentendo al popolo di esprimersi su come è stato gestito il Paese durante la pandemia e fino a oggi. La democrazia ne uscirebbe certamente vincitrice, a prescindere dal responso delle urne. L’accanimento terapeutico applicato a questa legislatura rappresenta, invece, un’ammissione di debolezza e la certificazione dell’incapacità della politica di trovare soluzioni di governabilità che non siano quelle tecniche. Perché i partiti dovrebbero essere in grado di trovare un’alternativa a Draghi a maggio 2023, se oggi si dichiarano di fatto incapaci di trovarla?