Riforma della giustizia, in primavera deciderà il referendum
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Il Senato approva il disegno di legge sulla separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti. Il centrodestra esulta e le opposizioni insorgono, ma tra qualche mese saranno le urne a scegliere se confermare o meno una delle più significative modifiche costituzionali.
 
		                                        Via libera definitivo alla riforma della giustizia. Con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni, il Senato ha approvato in quarta e ultima lettura il disegno di legge costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti, completando così l’iter parlamentare previsto dall’articolo 138 della Costituzione. Dopo mesi di dibattito e di tensioni politiche, la maggioranza di centrodestra incassa una delle riforme simbolo del programma di governo, mentre le opposizioni insorgono parlando di un rischio per l’equilibrio dei poteri e per l’autonomia della magistratura.
Il voto segna un momento politicamente denso e destinato ad aprire una nuova fase per la giustizia italiana, con l’annuncio del referendum confermativo previsto per la prossima primavera, quando saranno i cittadini a pronunciarsi sulla modifica costituzionale. Non è previsto quorum, dunque sia i favorevoli che i contrari alla riforma dovranno fare campagna referendaria per convincere le persone ad andare a votare.
La premier Giorgia Meloni ha definito l’approvazione un «traguardo storico», sottolineando che «con questa riforma compiamo un passo importante verso un sistema più efficiente, equilibrato e vicino ai cittadini». Parole che sintetizzano l’obiettivo dichiarato dal governo: rendere il sistema giudiziario più trasparente e meno condizionato dalle logiche interne alle correnti della magistratura, un tema che da decenni agita il dibattito politico e che in più occasioni ha fatto emergere tensioni tra potere politico e potere giudiziario. Meloni ha rivendicato la serietà e la visione con cui l’esecutivo e la maggioranza hanno portato avanti il progetto, affermando che «l’Italia prosegue il suo cammino di rinnovamento per il bene della Nazione».
L’approvazione in Senato è avvenuta in un clima acceso: i senatori di Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra hanno inscenato una protesta esponendo cartelli con la scritta «No ai pieni poteri», denunciando un tentativo di compressione dell’indipendenza della magistratura.
Dalle file del centrodestra, invece, applausi e abbracci hanno salutato il voto finale, vissuto come il compimento di una battaglia storica. Il riferimento, esplicito, è all’eredità politica di Silvio Berlusconi, che per anni aveva indicato la riforma come una priorità del centrodestra e come strumento per evitare che le inchieste giudiziarie potessero influenzare il confronto politico.
Sul fronte opposto, il leader del M5S Giuseppe Conte ha denunciato un «disegno di scardinamento della Costituzione» e ha accusato il governo di voler «tagliare le unghie alla magistratura» e di perseguire «un modello di pieni poteri». Anche Roberto Scarpinato, ex magistrato e senatore del M5S, ha usato toni duri in aula, accusando la maggioranza di voler delegittimare la magistratura attraverso una narrazione di persecuzioni giudiziarie nei confronti dei leader di centrodestra. Le sue parole hanno scatenato una bagarre in aula, con fischi e proteste dai banchi di Forza Italia e richiami all’ordine del presidente Ignazio La Russa. Più articolata la posizione di Matteo Renzi, che ha definito la riforma «una montagna che ha partorito un topolino», spiegando l’astensione di Italia Viva con l’idea che «la separazione delle carriere esiste già e questa modifica non produrrà effetti concreti sui grandi temi della giustizia».
Tuttavia, al di là delle contrapposizioni politiche, la riforma introduce una novità che da anni era al centro del dibattito tra giuristi e magistrati: la creazione di due distinti Consigli Superiori, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri, in modo da rendere effettiva la separazione delle carriere e ridurre l’influenza reciproca tra chi giudica e chi accusa. L’obiettivo dichiarato è quello di garantire una maggiore imparzialità dei magistrati e di rendere più chiaro il ruolo del pubblico ministero come parte processuale, rafforzando al contempo le garanzie di indipendenza del giudice.
I sostenitori della riforma ritengono che questo possa contribuire a disinnescare il potere delle correnti all’interno della magistratura, fenomeno che negli ultimi anni ha minato la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario, anche a seguito dei casi emersi dal “caso Palamara”. Secondo i promotori, separare le carriere significa spezzare l’automatismo che consente oggi a un magistrato di passare dal ruolo di pm a quello di giudice e viceversa, favorendo così una maggiore trasparenza e coerenza del percorso professionale. L’opposizione teme invece che la riforma possa tradursi in una subordinazione del pubblico ministero all’esecutivo, riducendone l’autonomia.
La discussione si sposterà ora nel Paese, con il referendum confermativo che si terrà in primavera. Sarà una campagna destinata a polarizzare ulteriormente il dibattito politico: da un lato il centrodestra, che presenterà la riforma come un passo necessario per modernizzare la giustizia e avvicinarla ai cittadini; dall’altro le opposizioni, che cercheranno di mobilitare l’elettorato sull’idea della difesa della Costituzione e dei principi di indipendenza della magistratura.
Se il referendum confermerà la riforma, l’Italia si troverà di fronte a una delle più significative modifiche costituzionali degli ultimi decenni, destinata a incidere profondamente sull’assetto del potere giudiziario. In un Paese dove la fiducia nella giustizia è stata a lungo minata da lentezze, divisioni interne e conflitti di potere, la separazione delle carriere rappresenta per molti una possibilità di ripartenza, un tentativo di costruire un sistema più trasparente, responsabile e vicino ai cittadini.
Per la premier Meloni e la sua maggioranza è il segnale di un cambiamento che vuole essere epocale, per le opposizioni un terreno di scontro decisivo sul futuro equilibrio tra politica e magistratura. Saranno gli italiani, nei prossimi mesi, a decidere se questa riforma segnerà davvero la svolta attesa o resterà un simbolo di un’altra stagione di contrapposizioni istituzionali.
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