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POLITICA

Responsabili o collaborazionisti? Il caso Binetti

Governo Conte alla caccia dei senatori che possono garantire la sopravvivenza del governo. E tra i disponibili ecco spuntare anche la cattolica Paola Binetti, una scelta incomprensibile se non come obbedienza al vertice della CEI che tanto si sta spendendo per sostenere il governo Conte.

Editoriali 17_01_2021
Paola Binetti con il cardinale Ruini

Ormai è una consuetudine: un governo va in crisi, perde parte del sostegno in Parlamento, e allora ecco che per poter sopravvivere è costretto a cercare singoli o gruppetti di parlamentari disposti a passare nella maggioranza. Ovviamente pagando, in diversi modi; e in ogni caso i “soccorritori” ci guadagnano – e fanno guadagnare a tutti gli altri – le restanti mensilità da parlamentare fino a fine legislatura. «Traditori, voltagabbana», vengono chiamati da chi resta all’opposizione; per chi sta al governo e per il presidente della Repubblica di turno sono invece «responsabili», e in questa legislatura addirittura «costruttori». A dire il vero, a volte si ha l’impressione che tutti recitino la parte loro assegnata, alla fine tutti d’accordo e ben contenti che la legislatura vada avanti.

Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni non è dunque niente di nuovo: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte deve trovare per martedì un manipolo di senatori – almeno dieci – che gli consentano di riscuotere il voto di fiducia. Al momento tutte le soluzioni sono possibili, compreso il ritorno di Matteo Renzi nella maggioranza che ha appena fatto saltare. Per l’occasione è stato perfino riesumato Clemente Mastella, e interlocutore è stata persino l’UdC di Lorenzo Cesa, di cui non ci si ricordava neanche più dell’esistenza. Nelle ultime ore entrambi questi soggetti hanno ritirato la loro disponibilità alla “responsabilità”, ma prima di martedì molte cose possono ancora accadere, la storia insegna.

La cosa che però ha fatto più scalpore è stato l’intervento di Paola Binetti, senatrice UdC, che si è esposta rendendosi disponibile a entrare nella maggioranza, sebbene con il resto del partito: «Io personalmente, da sola, nella maggioranza, lasciando l'opposizione dove ho fatto tante battaglie, non andrei – ha detto la Binetti venerdì 15 gennaio ai microfoni del GR1 -. Ma se tutto il mio gruppo, l'Udc, con un piano e un progetto politico articolato e condiviso con questa maggioranza, decidesse di sostenere questa fase della legislatura, io mi sentirei di collaborare, anche nell'eventualità di una nuova maggioranza». Come dire: se serve, io sono pronta.

Dichiarazioni sorprendenti e incomprensibili, soprattutto per due motivi: il primo è che la Binetti è ormai una delle pochissime cattoliche – non solo di nome - sopravvissute in Parlamento attraversando le ultime legislature e questo è un governo che per le istanze che nascono dalla Dottrina sociale della Chiesa (e non solo per questo) è uno dei peggiori in assoluto della storia repubblicana; il secondo è che, contrariamente a quanto si può pensare di tanti altri suoi colleghi, si può stare sicuri che la sua scelta non è dettata da interessi personali, per quanto le voci dicano che le sia stato offerto anche un posto di ministro.

Come si spiega dunque una scelta tanto assurda? Probabilmente con la sua stessa storia politico-ecclesiale. Medico, ricercatrice e docente universitaria, dopo aver fatto parte del Comitato Nazionale di Bioetica all'inizio degli anni Duemila, è stata chiamata dall’allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il cardinale Camillo Ruini, alla presidenza del Comitato Scienza & Vita.
Questo fu creato in fretta e furia per contrastare il comitato che aveva promosso il referendum per l’abrogazione della Legge 40 del 2004, che regola l’accesso alle tecniche di procreazione artificiale. La vittoria nel referendum del 2005 (grazie all’astensione, scelta dalla CEI come strategia per mantenere la legge 40) aprì nuove prospettive politiche e alle elezioni dell’anno successivo, forte del risultato ottenuto, il cardinale Ruini spinse le personalità cattoliche emerse nelle realtà associative a entrare in Parlamento, dividendosi equamente tra centro-sinistra e centro-destra.

Il progetto era quello di condizionare ambo gli schieramenti sui temi etici, una sorta di “marciare divisi per colpire uniti”. La Binetti dunque entra in politica seguendo le indicazioni del presidente della CEI, viene eletta nelle file della Margherita e due anni dopo ancora con il Partito Democratico. Il progetto ruiniano fallisce miseramente perché a sinistra lo spazio per una battaglia vera a favore della vita e della famiglia non esiste. La Binetti, contrariamente agli altri cosiddetti “teodem”, non ha una formazione di sinistra e a dire il vero neanche una “mens” politica, e quindi nel 2010 passa nel centro-destra seguendo l’evoluzione travagliata delle varie sigle che nel tempo cercano di trovare spazio al centro.

Se oggi può pensare a un altro transito, seppure in compagnia, è probabilmente per lo stesso motivo per cui è entrata in Parlamento, ovvero seguendo supinamente le indicazioni della CEI. Il più grosso, esplicito, sostegno alla continuità del governo Conte, sta venendo infatti dai vertici della Chiesa: già nella intervista dello scorso 10 gennaio al TG5, papa Francesco si era molto soffermato sulla necessità dei partiti di stare uniti per superare la crisi e non pensare al proprio interesse politico; ma in questi giorni la CEI si è molto spesa per il proseguimento di questo governo, con il presidente dei vescovi, il cardinale Gualtiero Bassetti, molto esplicito nell’invocare i «costruttori» per evitare la crisi.

Una scelta questa molto discutibile e che meglio analizzeremo domani, ma può spiegare l’atteggiamento della Binetti. Il che però mette in rilievo due aspetti negativi: da una parte i vertici della Chiesa che pensano da politici e non da vescovi, e dall’altra un certo laicato più clericale che cattolico, più fedele ai magheggi politici dei vescovi che non ai princìpi della Dottrina sociale. Fino a diventare collaborazionisti di un governo che odia il popolo.