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MARINA MILITARE

Respingimenti non dichiarati nel "Mare Nostrum"?

Una missione di soccorso in mare con forze navali sproporzionate. Avrebbe senso se lo scopo del gioco fosse quello di riportare gli immigrati in Libia. Le "cannoniere" servirebbero, a questo punto, a far da deterrente contro le milizie locali.

Politica 17_10_2013
Maestrale

Sono passati solo due anni dall’esodo verso Lampedusa di decine di migliaia di africani in fuga da Tunisia e Libia e l’Italia si trova nuovamente a fronteggiare l’emergenza immigrazione con diverse imbarcazioni, per lo più “carrette del mare”, che salpano ogni giorno dalle coste libiche ma anche da quelli tunisine, egiziane e persino libanesi per raggiungere l’Italia. Dall’inizio dell’anno gli arrivi via mare hanno già superato le 35 mila unità e si calcola che molte centinaia di persone siano morte in mare a causa di naufragi e incidenti. Nel 2011 gli sbarchi furono oltre 65 mila ma il rapido deteriorarsi della situazione politica e sociale in Nord Africa e Medio Oriente rischia di portare nelle prossime settimane sulle coste dell’Italia meridionale altre migliaia di immigrati.

Soprattutto africani il cui traffico viene gestito dalle organizzazioni criminali libiche e tunisine che hanno libero accesso ai porti di Zuara e Misurata grazie a redditizi accordi con le milizie locali. I due tragici incidenti che la scorsa settimana al largo di Lampedusa hanno provocato la morte di centinaia di immigrati clandestini (il termine “migranti” così politically correct è meglio riservarlo a chi espatria con regolari visti sul passaporto) hanno indotto il governo italiano a varare misure d’emergenza con lo stanziamento di 210 milioni di euro che copriranno per qualche mese i costi assistenziali e finanzieranno la nuova missione battezzata “Mare nostrum”.

Un nome che rischia di sollevare qualche ironia considerato che le acque italiane vengono penetrate quotidianamente da numerose imbarcazioni cariche di immigrati anche se la denominazione iniziale, “Mare sicuro”, si prestava a ben più macabre ironie alla luce dei tanti naufraghi che non sono sopravvissuti all’affondamento delle imbarcazioni a volte provocata dagli stessi scafisti.

“Mare Nostrum” è stata presentata dai ministri di Interni e Difesa, Angelino Alfano e Mario Mauro, come un’operazione di soccorso di durata non precisata tesa a mettere in salvo gli immigrati ma anche a fungere da deterrente contro gli scafisti. Oltre ai mezzi leggeri già impiegati da Capitanerie di Porto e Guardia di Finanza scenderà in campo la Marina Militare con due fregate lanciamissili, una nave da assalto anfibio, due pattugliatori d’altura e un trasporto costiero. Sei navi e una decina tra elicotteri, aerei e droni per il pattugliamento e la sorveglianza marittima per un totale di circa 1.500 militari impegnati oltre la metà dei quali imbarcati.

«Sarà un'operazione militare e umanitaria. Nel Mediterraneo meridionale ci sarà un rafforzamento del dispositivo di sorveglianza in alto mare, che è già presente, ma noi lo andiamo a incrementare» ha detto Mauro. Alfano ha invece sottolineato l’aspetto della sicurezza. «L’Italia rafforza la protezione della frontiera» perché «c'è la deterrenza che si ha dal pattugliamento, più l'intervento delle Procure cha già in due circostanze hanno sequestrato le navi e arrestato l'equipaggio».

In realtà pochi si aspettano che la missione umanitaria riesca a scongiurare i traffici di esseri umani poiché l’arresto di alcuni scafisti certo non indebolisce le organizzazioni malavitose, specie in un’Italia che sta per varare l’ennesimo indulto svuota carceri. Anche il supporto delle istituzioni europee, richiamato e sollecitato da Roma, non sembra in grado di offrire contributi concreti a far fronte all’emergenza, almeno in tempi brevi. L’agenzia Ue per i confini Frontex non sembra in grado di mettere in campo nessuna unità navale nel Canale di Sicilia così come il sistema di rilevamento Eurosur non sarà operativo fino a dicembre, quando l’inverno e le peggiorate condizioni del mare avranno già limitato le traversate.

A conferma che l’immigrazione clandestina resterà un problema italiano contribuisce anche l’esiguità dei fondi messi a disposizione da Bruxelles per assistere i 35 mila immigrati clandestini sbarcati in Sicilia, appena 30 milioni di euro. Non mancano poi le incertezze circa gli obiettivi e i costi di “Mare nostrum” stimati, tabelle di onerosità della Marina alla mano, in non meno di 10 milioni di euro al mese. È evidente che una missione che si limiti a scongiurare naufragi soccorrendo vicino alle coste libiche gli immigrati finirà per incentivare i flussi migratori e il giro d’affari dei trafficanti che da tempo contano sul fatto che l’Italia è l’unico Paese Ue del Mediterraneo a non effettuare respingimenti (a differenza di Grecia e Malta) e che ogni tragedia del mare rafforza l’iniziativa di chi vorrebbe abrogare il reato di immigrazione clandestina presente negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati. Basti pensare che il primo sponsor di tale abrogazione è lo stesso premier Enrico Letta.

Sul piano operativo però le forze militari messe in campo sono del tutto sovradimensionate per una missione di soccorso umanitario. Difficile comprendere il senso dell’impiego di due fregate lanciamissili Maestrale da 3.300 tonnellate, poco adatte a caricare naufraghi in mare aperto e con costi di gestione pari a 60 mila euro per ogni giorno di navigazione.
 
Anche la San Marco, unità da assalto anfibio che imbarca elicotteri, un ospedale e funge da nave comando, pare eccessiva non fosse altro per i 45 mila euro giornalieri di costi vivi. In Sicilia non mancano gli ospedali e nel caso se ne poteva attrezzare uno campale a Lampedusa lasciando la missione di soccorso in mare ai pattugliatori il cui costo di gestione è compreso tra i 10 mila e i 15 mila euro al giorno.

La presenza di queste unità troverebbe invece una motivazione se l’obiettivo di “Mare nostrum” fosse di riportare in Libia gli immigrati, ovviamente con l’esclusione di persone in pericolo di vita. In tal caso elicotteri e fucilieri di Marina presenti sul San Marco e il possente armamento delle fregate avrebbero un ruolo di deterrenza nei confronti delle milizie libiche. Anche l’impiego di droni Predator si presta più a tenere sotto controllo i porti libici che a perlustrare il mare in cerca di barconi. Sugli obiettivi della missione non mancano le ambiguità. Il governo non ha parlato di respingimenti ma il ministro Mauro ha detto chiaramente che le imbarcazioni individuate verranno «scortate verso il porto più sicuro e più vicino, non necessariamente italiano».

Roma del resto preme sul governo libico perché collabori più attivamente nel contrasto del fenomeno migratorio. Nei giorni scorsi un gruppo di esperti del Ministero degli Interni si è recato a Tripoli per sollecitare la collaborazione della polizia locale nei controlli sulla fascia nord del Paese in modo da fermare le partenze organizzante dagli scafisti. Ma contare sul rispetto degli impegni assunti da Alì Zeidan sarebbe ingenuo, il premier libico non ha il controllo neppure dell’albergo della capitale nel quale alloggia e dove la settimana scorsa un gruppo di miliziani lo ha prelevato sequestrandolo per sei ore.