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IL ROTTAMATORE

Renzi punta alla crisi di governo, ma non ha voti

Non ci sta l’ex premier ed ex segretario PD a fare l’eterno ex e continua a ritagliarsi il ruolo di mina vagante. Dopo aver fatto cadere due esecutivi, Letta e Conte, ora punta sulla Meloni, con scarse truppe ma con un invincibile spirito di rivalsa.

Politica 29_11_2022

Gli equilibrismi della politica italiana sono lo specchio di un Paese decadente che fatica a trovare una strada di crescita stabile e si mostra costantemente impantanato nelle secche di sterili polemiche, anche quando ci sarebbe da sostenere chi governa. L’icona più rappresentativa di questa sistematica tendenza alla rottamazione generalizzata è Matteo Renzi, uno degli “animali politici” più resistenti degli ultimi decenni.

Nessuno o quasi ricorda il suo solenne impegno di sei anni fa ad abbandonare la politica in caso di sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Si dimise da Palazzo Chigi dopo quella sconfitta ma non ha mai rinunciato al suo ruolo di rottamatore e ancora oggi è la vera mina vagante della politica italiana. Altro che uscire dalla vita politica. Piuttosto continua ad arrogarsi il diritto di decidere lui chi deve entrare e chi deve uscire dalla vita politica, o quanto meno da Palazzo Chigi.

È riuscito a far fuori Enrico Letta prima e Giuseppe Conte poi, ora sembra volersi riprendere ancora una volta la rivincita sull’attuale (ancora per poco) segretario del Pd, che ha già fatto i bagagli per tornare a Parigi, mentre il senatore di Rignano continua in qualche modo a dare le carte nella politica italiana.

Eppure, alla vigilia delle elezioni del 25 settembre sembrava spacciato. Senza l’alleanza con Carlo Calenda non sarebbe entrato in Parlamento, visto che tutti i sondaggi lo davano all’1% come Luigi Di Maio, che poi ha preso anche meno dell’1%. E’ stato molto abile nell’utilizzare l’autobus di Azione per rientrare a Palazzo Madama e ora, anche scrivendo libri, continua a lanciare sfide ai governi in carica.

La caduta di Mario Draghi certamente lo ha spiazzato. Avrebbe voluto più tempo per svuotare Forza Italia e costituire da solo una compagine di centro in grado di fare da ago della bilancia dopo il voto. La repentina fine della legislatura gli ha imposto un patto con Calenda. Furbescamente ha mandato avanti quest’ultimo, volto più spendibile e meno compromesso sul piano dell’immagine, ma ora vuole lentamente riprendere in mano le redini del gioco.

Le dichiarazioni fatte da Renzi nelle ultime ore, anche anticipando i contenuti dell’edizione aggiornata del suo libro Il mostro, hanno dell’incredibile ma possono spiegarsi con la spasmodica brama di potere dell’ex premier ed ex segretario PD che proprio non ci sta ad essere etichettato come ex e intende riproporsi per incarichi di primo piano emarginando lentamente proprio il suo compagno di viaggio Calenda. Non sono in pochi a pronosticare la prossima dissoluzione del cosiddetto terzo polo, già lacerato dal dualismo tra i due, con correnti già ben radicate (calendiani e renziani) che puntano a spartirsi le briciole a livello nazionale e le candidature a livello locale, in vista delle elezioni regionali del 2023, soprattutto in Lombardia e nel Lazio.

Due giorni fa, mentre Calenda annunciava di voler incontrare la Meloni per un confronto sulla manovra, Renzi si vantava di aver fatto cadere il governo Conte e prometteva di far cadere entro un anno anche il governo Meloni. Siamo al capovolgimento della realtà: come si fa a vantarsi di voler far cadere un esecutivo che, a prescindere dal colore politico, si sta battendo per contrastare l’emergenza energetica e per evitare che le speculazioni internazionali pregiudichino la ripartenza del Paese dopo anni di pandemia e crisi economica?

E poi con quali voti immagina di farlo cadere, visto che la pattuglia di renziani a Palazzo Madama e Montecitorio è ridotta all’osso? Da una parte, quindi, il segretario di Italia Viva dice di voler collaborare con il governo sulla giustizia, sul reddito di cittadinanza e perfino sul presidenzialismo; dall’altra lancia proclami bellicosi e dichiara che entro le europee del 2024 il terzo polo diventerà primo partito in Italia.

Un rottamatore a tutto campo, che se la prende anche con Conte, accusandolo (giustamente) di aver fatto il condono per Ischia quando era presidente del consiglio, e che si fa gioco di lui rivendicando il merito di averlo disarcionato da Palazzo Chigi per far posto a Draghi.

L’obiettivo di Renzi è stare al centro (con o senza Calenda) drenando voti al Pd, a Forza Italia e perfino a una Lega in evidenti difficoltà. Lui però dimentica che l’elettorato lo ha già sonoramente bocciato e che il suo cinismo gli ha già fatto perdere ogni credibilità. L’astuzia che pure dimostra in tante operazioni di puro potere non cancella le dimostrazioni di arroganza che gli hanno procurato un ostracismo pressoché generalizzato sia a sinistra che a destra.

A parte qualche simpatizzante di Forza Italia, il senatore di Rignano non ha grandi sponde nello scenario politico attuale. Per di più il terzo polo nel quale attualmente risulta collocata la sua forza politica è un raggruppamento pieno di generali senza truppe. Sono riciclati di destra e sinistra che cercano di rilanciarsi ma non hanno un progetto politico comune. Formazioni del genere non resistono all’esplosione delle ambizioni dei singoli e fatalmente si decompongono.

Matteo Renzi è un battitore libero per cui non ne risentirà, ma la sua resterà una battaglia solitaria e velleitaria, fondata sul rancore e su un invincibile spirito di rivalsa, cioè quanto di meno costruttivo ci si possa immaginare pensando al bene del Paese.