Recovery rinviato, Polonia e Ungheria resistono ai ricatti
Insulti e minacce contro Polonia e Ungheria ieri al Consiglio Europeo che ha dovuto rinviare a dicembre ogni decisione sulle condizionalità del Recovery su cui i due Stati hanno posto il veto. Ma quello europeo è ormai un ricatto verso due stati cristiani che non si piegano alla dittatura del nuovo ordine mondiale.
Al Consiglio di Europeo di ieri sera, dopo insulti, improperi, minacce e volgarità contro Polonia ed Ungheria, si è deciso di prendere questi paesi e le loro ragioni sul serio. Tutto rimandato al prossimo dicembre ma, appare chiaro che slealtà e ricatti delle istituzioni europee, lobbies e bande di frugali, nei confronti di singoli paesi siano inaccettabili.
Viktor Orban e Mateusz Morawiecki, Primi Ministri rispettivamente di Ungheria e Polonia, sarebbero populisti senza scrupoli (parole del Premier Conte) che minacciano gli aiuti economici europei (Bilancio e Recovery Fund) solo perché non accetterebbero una verifica sullo Stato di Diritto nei propri Paesi.
Secondo questa vulgata del pensiero unico, ripresa e sostenuta da tutti e persino anche da ‘Avvenire’ in Italia e dal British Medical Journal in Gran Bretagna, questi paesi si confermerebbero «indegni ed antidemocratici contro i quali l’Europa deve agire senza indugi e senza cedere a compromessi», come ha scritto il Padrone del Mondo Soros nel suo editoriale di mercoledì 18 novembre.
Guardiamo ai fatti di questi giorni, prima di esprimere giudizi. La storia di questi mesi, fin anche dalle notti bollenti del Vertice europeo di luglio ad oggi, ci dimostrano che “i frugali”, i “Commissari del popolo” LGBTI e abortisti, i partiti socialisti e liberali, sostenuti dalle lobbies di Soros, cercano di imporre ed istituzionalizzare la schiavitù a quei paesi liberi e cristiani che si oppongono ai nuovi dogmi del pensiero unico. Lo abbiamo descritto più volte e con dovizia di particolari su queste colonne.
Il Parlamento Europeo, in particolare i Gruppi Socialisti e Liberali, hanno imposto modifiche sul meccanismo della condizionalità tra Fondi e Stato di Diritto. Questo accordo, le cui trattative sono state intraprese dall’estate e che ha portato prima ad una bozza di intesa a fine settembre tra Parlamento europeo, Commissione e la Presidenza tedesca del consiglio dell’Ue e poi ad un vero e proprio accordo preliminare il 4 Novembre, prevede che i tagli dei fondi ad un paese possano essere decisi dal Consiglio Europeo a maggioranza, mentre bilancio e risorse proprie devono essere concordate all’unanimità; sullo stato di diritto è sufficiente la maggioranza dei due terzi per decidere della condizionalità e dunque dei taglio di fondi.
Tra i criteri per valutare le violazioni dello “stato di diritto”, vedi articolo 2 dei “Criteri dello Stato di diritto”, ci sono: mettere in pericolo l'indipendenza della magistratura, la mancata prevenzione, correzione e sanzione di decisioni arbitrarie o illegali da parte delle autorità pubbliche, comprese le forze dell'ordine, limitare le risorse finanziarie e umane che incidono sul corretto funzionamento di questi organismi, mancanza di regole sul conflitto di interessi, restrizioni all'efficacia delle indagini, del perseguimento penale o della sanzione delle infrazioni” (qui la proposta in discussione).
Il Parlamento Europeo da almeno 10 anni usa questi termini nelle sue Risoluzioni contro l’Ungheria di Orban e la Polonia di Kaczyński, dunque è facile immaginare da quale parte si trovi il pregiudizio e quale sia l’intento chiaramente persecutorio nei confronti di questi due paesi, rei di essere governati da politici e partiti cristiani. Il ricatto c’è e sta a Bruxelles. Non dimentichiamo che Polonia ed Ungheria hanno espresso riserve sulla bozza di intesa sin dall’inizio di ottobre, poi il 22 Ottobre, con una nota congiunta dei Ministri degli Esteri dei due paesi, l’ungherese Péter Szijjártó ed il polacco Zbigniew Rau, si metteva in chiaro che Polonia ed Ungheria non accettavano di essere minacciate dall’Europa.
Commissione, Parlamento e Presidenza tedesca prima di accordarsi per l’intesa preliminare, sapevano che almeno Polonia ed Ungheria non erano per nulla d’accordo con questa violazione palese delle intese prese alla unanimità nel Consiglio Europeo di luglio. Dal 9 al 16 Novembre, i Primi Ministri di Polonia ed Ungheria hanno più volte ripetuto che ritenevano inaccettabile il pre accordo, anzi lo consideravano un vero e proprio ricatto politico a cui avrebbero opposto il veto.
Alla riunione degli Ambasciatori a Bruxelles dei giorni scorsi (COREPER, che riunisce i 27 rappresentanti dei membri UE), i due paesi hanno formalmente bloccato la decisione preliminare sulle “risorse proprie” e di conseguenza la garanzia per il finanziamento del Recovery Plan.
A Polonia ed Ungheria si è aggiunta la Slovenia mercoledì, con una dichiarazione ufficiale del Governo di Lubiana e del Premier Janez Janša : "Il Trattato di Lisbona stabilisce strumenti per garantire il rispetto dello stato di diritto. Ciononostante, è stato fatto un tentativo di coordinamento tecnico tra il Parlamento europeo e la presidenza del Consiglio dell'UE con l'obiettivo di stabilire uno strumento aggiuntivo, con questo strumento, la maggioranza del Consiglio europeo deciderà se lo Stato di diritto è rispettato. Ciò consentirà a maggioranze politiche di decidere per tutti”.
Maggioranze politiche che decidono e decideranno secondo interessi politici, temporanei e volubili, che porteranno inevitabilmente alla “fine dell'Unione Europea" e, lo si voglia o meno, alla tirannia della maggioranza.
Nella mattinata di ieri, lo stesso Primo Ministro bulgaro Boykov Borisov, nel mirino di Socialisti e Liberali che ne chiedono le dimissioni, con molta furbizia ha di fatto sostenuto Polonia, Slovenia e Ungheria, ponendo lui stesso il veto su un altro dossier delicatissimo: l’avvio della adesione alla Unione europea della Macedonia del Nord. Per la prima volta il Gruppo di Visegrad si è mostrato diviso, con Repubblica Ceca e Slovacca che hanno preso le distanze da Polonia e Ungheria. Sempre in mattinata, un sondaggio pubblicato dalla Radio pubblica polacca, dimostrava che la stragrande maggioranza dei cittadini del Paese sosteneva la decisione del Governo di porre il veto sul Bilancio EU a fronte dei controlli sullo stato di diritto.
Nel pomeriggio invece, nel corso di una nuova conferenza stampa i capigruppo dei partiti liberale, socialista, popolare, Sinistra e Verdi del Parlamento europeo hanno ribadito la fermezza della Assemblea favorevole alla proposta concordata.
In serata, dopo la riunione del Consiglio iniziata alle 18.00 in video conferenza e con oggetto ufficiale si è espresso il solo coordinamento sulle misure da prendersi durante la seconda ondata del Covid, sul pre-accordo.
Sulla “vincolatività” dei controlli sullo stato di diritto, il voto a maggioranza e la loro condizionalità rispetto ai fondi europei (Recovery, Bilancio etc.) tutto è dunque rimandato alla prossima riunione (in presenza) a Bruxelles (…). Fonti ufficiose dicono che i leaders europei abbiano trascorso appena sedici minuti a discutere l'argomento che minaccia di ritardare la ripresa economica dell'Europa dal coronavirus.
La situazione di stallo di bilancio del blocco sembra destinata a continuare, la videoconferenza non è il "formato appropriato" per discutere una questione così complicata.
Nessuno dei tracotanti Primi Ministri che nei giorni corsi ha speso fiumi di insulti contro Polonia e Ungheria ha potuto sottovalutare la gravità della situazione e tutti hanno ribadito di voler attuare l'accordo di luglio il prima possibile.
Dello stesso tenore le comunicazioni del Presidente del Consiglio europeo Michel, alla conferenza stampa successiva alla riunione: “I leader hanno sottolineato che l'attuazione del pacchetto di ripresa senza ulteriori ritardi è cruciale e hanno espresso la speranza che sia possibile decidere l'attuazione del pacchetto del luglio 2020 nel brevissimo termine. È una misura molto importante per limitare i danni alle nostre economie. Se entro fine dicembre non si troverà una soluzione, ci sarà il rischio di avviare al 2021 senza il Bilancio Ue, il che farebbe ritardare l’emissione dei bond anticrisi e i danari di Recovery Fund, Green Deal etc…
Ultima occasione sarà il prossimo vertice a Bruxelles del 10 e 11 Dicembre. Ciò che c’è in gioco, non è il veto più che giustificato di Polonia, Ungheria, Slovenia e molti altri paesi, ieri rimasti silenti, ma il futuro stesso della Unione Europea che ha dimostrato ancora una volta di essere ostaggio di meschini interessi politici di partiti, lobbies e pregiudizi inaccettabili tra paesi membri di una stessa unione. A meno che non si voglia costruire una Unione Sovietica Europea.