Raqqa, andata e ritorno: gli jihadisti rientrano in Italia
Un esercito di foreign fighters, dopo la caduta di Raqqa, capitale siriana di Isis, non ha altra scelta che riprendere la via dei Paesi d'origine. Tra cui l'Italia. Non c'è da stupirsi se, una volta tornati, gli jihadisti riprendano la lotta armata. E vengano considerati come "eroi" dagli islamisti che non sono mai partiti.
Sono migliaia e stanno per tornare. Un esercito di foreign fighters che dopo la caduta di Raqqa, capitale siriana di Isis, non hanno altra scelta che riprendere la via dei propri Paesi d'origine. Tra cui l'Italia. Sono 130 i nomi di reduci del Califfato di nazionalità italiana, che hanno parenti o la residenza in Italia, profilati dal ministero degli Interni e dall’intelligence in quasi tre anni. Il grosso dei combattenti del Califfato sono stati reclutati negli hub delle regioni settentrionali, dove le reti dell’Isis sono state più attive. Lecco, Como, Erba, Bologna e Veneto. Tra gli attenzionati ci sono anche donne e minori.
Non scopriamo adesso quanti si sono imbarcati per raggiungere, grazie all'attività di proselitismo sul web, nelle carceri e nelle moschee fai da te la Siria e l'Iraq per combattere la guerra del califfo Al Baghdadi, ma il pensiero di come torneranno è agghiacciante. Persone che hanno ucciso, torturato, stuprato e vissuto in un ambiente di violenza e propaganda martellante oggi riprendono contatto con la realtà d'origine: quali pensieri nella loro mente? Quali obiettivi? Non si fa fatica a credere che molti cercheranno di proseguire il loro obiettivo, la loro 'missione' anche in Occidente o piuttosto in Nordafrica, nel Caucaso o nei Balcani. Ora che anche il grande sogno della restaurazione del califfato laddove esso prosperò per secoli è stato annientato, l'Occidente in particolare si è 'macchiato' di una colpa in più e l'unione con quella schiera, invisibile ma potenzialmente enorme di lupi solitari è più di un'ipotesi, visto che il proselitismo e l'unione fra persone legate da idee estremiste è semplice e immediata, specialmente tramite il web.
Fra chi è rimasto qui, pur con ambizioni jihadiste che hanno già colpito, non ci sarebbe da stupirsi se chi torna venga considerato un 'eroe di guerra', un 'reduce' da venerare e da seguire con cieca devozione. Specialmente quando questi indichino la via del jihad come unica atta a proseguire la battaglia per il califfato, stavolta mondiale. Due pericoli si sommano, due mondi tornano ad unirsi, e il rischio di farsi male è più che evidente. I governi europei, quello italiano compreso, sanno che questi criminali (perché di questo si tratta) a breve si riverseranno nei territori da dove sono partiti la prima volta: ma oltre a sapere ed eventualmente monitorare, cosa concretamente si fa per impedire che vengano a far danni seri qui? Agli scali, agli approdi migratori, alle stazioni c'è l'idea di verificare se qualcuno arriva proprio da quelle frontiere? Perché altrimenti siamo al punto di partenza: non vorrei sentirmi dire, un giorno che spero non arrivi mai, che non si era valutato bene. Perché qui parliamo di personaggi che hanno compiuto (e compiono ancora) attività di terrorismo internazionale, non stanno portando con sé dall'estero un sacchetto di sabbia dalle piramidi.
Io non ho paura delle mie idee e dei miei pensieri e dico, apertamente e chiaramente, che questi personaggi di cui si conoscono molto spesso nome e cognome, vanno neutralizzati prima che rimettano piede in Italia. Si può de-radicalizzare una persona prima che compia determinati gesti, come ho avuto modo di spiegare e chiarire nei corsi a tema su questo, ma quando si è assaggiato il sangue di innocenti per un'ideologia così folle non c'è alternativa. Perché non mi stupirei che un giorno qualche anima bella dal suo salottino buonista li definisca 'malati' o 'gravemente turbati da ciò che hanno visto'. Perché da certa gente in Italia (per la verità non solo) ci si può aspettare di tutto, anche che ci chieda di reinserire chi ha massacrato, stuprato, ucciso e torturato donne e bambini nella società.