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la farsa del pluriculturalismo

Ramadan e hijab a scuola, prove generali di sottomissione

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L'islam tra i banchi trova terreno fertile in nome di una inclusione/integrazione che rasenta l'ingenuità. Un'apertura acritica e a senso unico di cui pagheremo le conseguenze.

Editoriali 22_04_2024
IMAGOECONOMICA - SERGIO OLIVERIO

Dopo le polemiche legate alla chiusura della scuola a Pioltello nel giorno della fine del Ramadan, seguite dalla presa di posizione a favore della interruzione delle attività da parte di altre istituzioni scolastiche e universitarie, il ministro Valditara ha annunciato in questi ultimi giorni un provvedimento per evitare chiusure delle scuole in occasione di festività non riconosciute dallo Stato.

Caso chiuso, islam neutralizzato? Niente affatto, perché nel frattempo hanno suscitato un certo clamore sia la notizia relativa alla scuola di Villanterio, in provincia di Pavia, in cui gli alunni sono entrati a lezione accompagnati da una canzoncina tradizionale che inneggia all'inizio del periodo festivo islamico dopo il mese del digiuno religioso, sia la notizia che in un istituto di Abbiategrasso si realizza un laboratorio di hijab. Gli organi di stampa, per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, hanno certamente enfatizzato i casi, tuttavia occorre provare a capire di cosa si tratta esattamente.

Sul primo episodio in realtà non c’è molto da dire, poiché si tratta di un evidente caso di inchino alla religione islamica in nome della inclusione/integrazione («Benvenuto Eid, benvenuto. Che Dio ti benedica (...) L'Eid è una gioia, è la gioia più bella», recita la traduzione italiana del canto in lingua araba). È un evidente paradosso, visto che, sempre con il medesimo pretesto, si cancellano le festività cristiane o si arriva a edulcorarne totalmente il significato sino a stravolgerlo e a sostituire il nome di Gesù con Cucù…

Nel secondo caso, invece, la situazione è più articolata. Il Dirigente scolastico di Abbiategrasso, interpellato al riguardo, ha spiegato che nel suo istituto c'è un 10% di studenti che non è di nazionalità italiana, e di questi il 5% è di religione musulmana. Il corso in questione – un percorso sulla lingua e cultura araba – è partito per la prima volta nel 2021/22 e ha avuto parecchie adesioni non solo di studenti islamici ma anche di studenti italiani e prevede informazioni sulla cultura araba ma anche momenti in cui si degustano cibi e dolci arabi. E, a riguardo dei titoli circolati sui giornali, ha precisato: «Non esiste nessun corso per imparare ad indossare il hijab. Semplicemente, questo è avvenuto, le ragazze italiane hanno chiesto alle loro coetanee arabe di vedere come si indossa. È la curiosità che spinge a provare, la curiosità che è propria dei giovani, per fortuna... Continuerò senza dubbio a riproporre questo laboratorio anche negli anni successivi – ribadisce il Dirigente – Qui si studia ma siamo anche aperti alle realtà che ci toccano, tra cui appunto un corso-percorso di lingua araba, che altro non è che una goccia nel mare dei progetti della scuola...» E conclude:  «Qui non è in atto nessuna sottomissione all'islam».

Ha senz’altro ragione: nella scuola ormai c’è un mare di progetti, ed entra così di tutto e di più, sottraendo tempo, energie, risorse, a quello che dovrebbe essere il principale e forse unico scopo della scuola, cioè insegnare e apprendere le discipline. E ha – sebbene solo in parte – ragione anche sulla questione della sottomissione all’islam: non è per un progetto o per una naturale curiosità dei giovani verso culture, usi e costumi di altri popoli che si può sostenere fino in fondo una simile affermazione.
Tuttavia, nel contesto più generale di una ininterrotta crescente presenza di immigrati di religione islamica nel nostro Paese e delle richieste di spazi e diritti legati ai loro usi, costumi ed espressioni religiose, un certo allarme può essere giustificato. E può esserlo per diversi motivi.

Innanzitutto per la debolezza della cultura occidentale, svuotata dei suoi antichi valori e ideali e piena solo di fragili ed equivoche parole d’ordine, come ad esempio proprio quella della “società inclusiva”. Poi, non meno importante, per l’ostilità latente che negli ultimi decenni è maturata in tutto l’Occidente nei confronti della fede cristiana, che ha profondamente forgiato il volto della nostra civiltà ma ora è tanto spesso svilita, offesa e dileggiata. Non bisogna, inoltre, dimenticare che l’Islam, come religione, porta in sé per natura una carica di aggressività e violenza che esclude una vera possibilità di integrazione; anche qui in Italia non mancano, spesso e volentieri, episodi di violenza estrema che documentano la grande difficoltà di integrazione, di accettazione delle regole sociali e civili e, ancora di più, di conversione ad altre religioni, da parte di immigrati musulmani. Come dimenticare, solo per fare uno fra i tanti esempi possibili, la vicenda terribile di Saman Abbas, la giovane di origini pakistane crudelmente uccisa dallo zio solo perché voleva vivere come gli occidentali? Del resto, manca quasi totalmente, nella cultura dei popoli islamici, il concetto della reciprocità, come documentano ampiamente le drammatiche esperienze dei cristiani residenti in Paesi a maggioranza musulmana.

Ecco allora, anche solo in base a questi pochi elementi, che si comprende la pericolosità di una acritica apertura a senso unico nei confronti della religione islamica. Il rischio è  – come apertamente ha dichiarato più di un imam e come sta accadendo in altri Paesi europei – che prendano il sopravvento e riescano a fare dall’interno quanto, per secoli e senza definitivo successo, hanno tentato di fare militarmente dall’esterno.
In fondo, cosa ci si può ragionevolmente attendere? Se Il sostantivo musulmano – che identifica una persona che segue la religione islamica – deriva dal nome verbale arabo muslim (plurale: muslimūn) e significa "sottomesso ad Allah", come potremo pretendere che non saremo – volenti o nolenti – sottomessi noi stessi?

Duole dirlo, ma aveva ragione, pur col suo linguaggio un po’ “corrosivo” Oriana Fallaci quando scriveva: «Continua la fandonia dell’Islam "moderato", la commedia della tolleranza, la bugia dell’integrazione, la farsa del pluriculturalismo. E con questa, il tentativo di farci credere che il nemico è costituito da un’esigua minoranza e che quella esigua minoranza vive in Paesi lontani. Beh, il nemico non è affatto un’esigua minoranza. E ce l’abbiamo in casa. Ed è un nemico che a colpo d’occhio non sembra un nemico...».

Con ciò non vogliamo affermare che tutti gli immigrati musulmani siano nemici pericolosi, perché ci sono anche tante buone persone; tuttavia occorrerebbe essere prudenti e vigilanti, perché non tanto le persone singole, quanto la cultura musulmana (direttamente legata alla fede islamica), non ammette e non approva quanto i buonisti nostrani pensano e mettono in atto a riguardo della integrazione. Rischiamo di pagare un prezzo altissimo per la nostra ingenuità.



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