Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Atanasio a cura di Ermes Dovico

PAPA IN MESSICO

«Quelle ideologie che distruggono la famiglia»

Dopo la Messa con gli indios e il pranzo condiviso, papa Francesco ha sostato in preghiera alla Cattedrale di San Cristobal de las Casas prima di volare fino a Tuxtla Gutierrez per l'incontro con le famiglie dove 50mila persone in festa lo attendevano. Occorre, ha detto Francesco, «vigilare e pregare contro le ideologie distruttrici della famiglia». Ieri la messa la Messa a Morelia, nello Stato di Michoacán, nel centro del Messico. 

Ecclesia 17_02_2016
Papa Francesco in Messico

Il 16 febbraio 2015 Papa Francesco ha celebrato la Messa con sacerdoti, religiosi e seminaristi a Morelia, nello Stato di Michoacán, nel centro geografico del Messico, insistendo sull’importanza della preghiera. Il sacerdote deve imparare e insegnare a pregare, ai singoli e alle famiglie. E in precedenza, nella notte (italiana) fra il 15 e il 16 febbraio, il Papa era tornato a parlare nel Chiapas delle «colonizzazioni ideologiche» che diffondono «ideologie distruttrici della famiglia», anzi «indeboliscono e mettono in discussione» l’idea stessa di famiglia liquidandola come «un modello ormai superato».

Nella tarda serata del 15 febbraio Francesco aveva lasciato la regione povera del Chiapas, dove aveva consacrato l’ultimo incontro appunto alle famiglie. Il Papa ha ripreso l’espressione contenuta nella testimonianza di un giovane malato che vive in casa assistito dai genitori: «dare coraggio». «E questo è ciò che Dio Padre ha sempre immaginato e per cui fin dai tempi antichi Dio Padre ha combattuto. Quando tutto sembrava perduto quella sera nel giardino dell’Eden, Dio Padre ha dato coraggio a quella giovane coppia e le ha mostrato che non tutto era perduto. E quando il popolo di Israele sentiva che non c’era più un senso nell’attraversare il deserto, Dio Padre lo ha incitato ad avere coraggio con la manna. E quando venne la pienezza dei tempi, Dio Padre ha dato coraggio all’umanità per sempre dandoci il suo Figlio!».

Non si tratta solo di eventi storici. Tutti «abbiamo fatto esperienza che, in molti momenti e in forme differenti, Dio Padre ha dato coraggio alla nostra vita». È un dato importante in un mondo dominato dallo scoraggiamento, dove ci sono «tanti adolescenti che sono scoraggiati e vivono momenti difficili. Lo sappiamo… Tanti adolescenti senza slancio, senza forza, svogliati». E «spesso questo atteggiamento nasce perché si sentono soli, perché non hanno nessuno con cui parlare. Pensateci, voi padri, pensateci, voi madri: parlate con i vostri figli e le vostre figlie? O siete sempre occupati, oberati? Giocate con i vostri figli?». Molti padri e madri non trascurano i figli per cattiva volontà, ma perché sono impegnati nella lotta per il pane quotidiano. 

«La precarietà, non solo minaccia lo stomaco (e questo è già molto), ma può minacciare perfino l’anima, ci può demotivare, toglierci forza e tentarci con strade o alternative di apparente soluzione ma che alla fine non risolvono nulla». Ma non c’è solo la precarietà economica. «C’è una precarietà che può essere molto pericolosa, che può insinuarsi in noi senza che ce ne accorgiamo, ed è la precarietà che nasce dalla solitudine e dall’isolamento. E l’isolamento è sempre un cattivo consigliere». L’isolamento «come la tarma, ci corrode l’anima, ci inaridisce l’anima».

Come si combatte l’isolamento delle famiglie? In diversi modi, ha risposto il Papa. «Uno è attraverso leggi che proteggano e garantiscano il minimo necessario affinché ogni famiglia e ogni persona possa crescere attraverso lo studio e un lavoro dignitoso». Al contrario, «oggi vediamo e viviamo su diversi fronti come la famiglia venga indebolita, come viene messa in discussione. Come si crede che essa sia un modello ormai superato e incapace di trovare posto all’interno delle nostre società che, sotto il pretesto della modernità, sempre più favoriscono un sistema basato sul modello dell’isolamento. E si insinuano nelle nostre società – che si dicono società libere, democratiche, sovrane – si insinuano colonizzazioni ideologiche che le distruggono, e finiamo per essere colonie di ideologie distruttrici della famiglia, del nucleo della famiglia, che è la base di ogni sana società».

L’altro modo di reagire all’isolamento è vivere la famiglia come amore: «come più di una volta ho detto riferendomi alla Chiesa», ha spiegato il Papa, «penso che questo possa essere applicato anche alla famiglia: preferisco una famiglia ferita che ogni giorno cerca di coniugare l’amore, a una famiglia e una società malata per la chiusura o la comodità della paura di amare. Preferisco una famiglia che una volta dopo l’altra cerca di ricominciare a una famiglia e una società narcisistica e ossessionata dal lusso e dalle comodità». La generosità comincia dall’avere figli. «“Quanti figli avete?” – “No, non ne abbiamo perché ci piace andare in vacanza, fare turismo, voglio comprarmi una villa…”. Il lusso e la comodità; e i figli aspettano; e quando ne vuoi uno, ormai è passato il momento. Che danno che fa questo! Preferisco una famiglia con la faccia stanca per i sacrifici a una famiglia con le facce imbellettate che non sanno di tenerezza e compassione». 

«L’amore non è facile, non è facile, no, ha aggiunto Francesco, ma è la cosa più bella che un uomo e una donna possono darsi a vicenda, il vero amore, per tutta la vita». E alle famiglie messicane ha ricordato che hanno «un “di più”, correte avvantaggiati. Avete la Madre, la Madonna di Guadalupe che ha voluto visitare queste terre, e questo ci dà la certezza che, attraverso la sua intercessione, questo sogno chiamato famiglia non sarà sconfitto dall’insicurezza e dalla solitudine».

Nella Messa a Morelia il Papa è partito da un detto messicano: «Dimmi come preghi e ti dirò come vivi, dimmi come vivi e ti dirò come preghi». «La scuola della preghiera è la scuola della vita e la scuola della vita è il luogo in cui facciamo scuola di preghiera». Gesù stesso ha proposto ai suoi discepoli una scuola di preghiera, facendo loro «sperimentare nel suo sguardo, nel suo camminare, la forza, la novità di dire: “Padre nostro”. In Gesù questa espressione “Padre Nostro” non ha il “retrogusto” della routine o della ripetizione. Al contrario ha il sapore della vita, dell’esperienza dell’autenticità».

Ma, dopo avere imparato la preghiera, occorre insegnarla ad altri. Ai sacerdoti e religiosi il Papa ha detto: «guai a noi, consacrati, consacrate, sacerdoti, seminaristi, vescovi, guai a noi se non la condividiamo, guai a noi se non siamo testimoni di quello che abbiamo visto e udito, guai a noi. Non vogliamo essere dei funzionari del divino, non siamo né desideriamo mai essere impiegati dell’impresa di Dio, perché siamo invitati a partecipare alla sua vita, siamo invitati a introdurci nel suo cuore, un cuore che prega e vive dicendo: Padre nostro».

Il Padre Nostro comprende una domanda specifica: «non lasciarci cadere in tentazione». «Quale può essere una delle tentazioni che ci possono assalire? Quale può essere una delle tentazioni che sorge non solo dal contemplare la realtà ma nel viverla? Che tentazione ci può venire da ambienti dominati molte volte dalla violenza, dalla corruzione, dal traffico di droghe, dal disprezzo per la dignità della persona, dall’indifferenza davanti alla sofferenza e alla precarietà?». Quale tentazione può assalire anche le persone consacrate? «Credo, ha risposto il Papa, che potremmo riassumerla con una sola parola: rassegnazione. E di fronte a questa realtà ci può vincere una delle armi preferite del demonio: la rassegnazione. “E che fa? La vita è così!” Una rassegnazione che ci paralizza, una rassegnazione che ci impedisce non solo di camminare, ma anche di fare la strada; una rassegnazione che non soltanto ci spaventa, ma che ci trincera nelle nostre “sacrestie” e apparenti sicurezze; una rassegnazione che non soltanto ci impedisce di annunciare, ma che ci impedisce di lodare».

L’antidoto alla rassegnazione è la memoria: della storia, dei grandi evangelizzatori, dei santi. Il Papa ha ricordato il primo vescovo di Michoacán, Vasco Vásquez de Quiroga, grande evangelizzatore del XVI secolo, «conosciuto anche come “Tata Vasco”, come “lo spagnolo che si fece indio”». «La realtà vissuta dagli indios Purhépechas descritta da lui come “venduti, vessati e vagabondi per i mercati a raccogliere i rifiuti gettati a terra”, lungi dal condurlo alla tentazione dell’accidia e della rassegnazione, gli mosse la fede, mosse la sua vita, mosse la sua compassione e lo stimolò a realizzare diverse iniziative che fossero di “respiro” di fronte a tale realtà tanto paralizzante e ingiusta. Il dolore della sofferenza dei suoi fratelli divenne preghiera e la preghiera si fece risposta concreta. E Questo gli guadagnò tra gli indios il nome di “Tata Vasco”, che in lingua purépechas significa: papà». Il vescovo Vásquez de Quiroga visse il Padre Nostro. Così dobbiamo fare anche noi.