"Quella volta che Pell bloccò la lobby gay a St. Patrick..."
Era etichettato come “anti-gay”, ma in realtà promosse importanti azioni pastorali per i malati di AIDS. Non li giudicava, ma era compassionevole e voleva che fossero curati bene. Non aveva paura di nessuno. Voleva essere ricordato soltanto come un pastore che ha compiuto il suo dovere per Dio e in mezzo al popolo di Dio. Mons. Peter J. Elliott, il migliore amico del cardinal Pell e suo ausiliare a Melbourne, parla a La Nuova Bussola.
Questa mattina, alle ore 11:30, si terranno nella Basilica di San Pietro le esequie del cardinale George Pell, morto improvvisamente martedì per un arresto cardiaco seguito alla conclusione di un intervento chirurgico di sostituzione dell'anca, nella clinica privata Salvator Mundi. Il funerale sarà celebrato dal decano del Sacro Collegio, il cardinale Giovanni Battista Re, mentre il Papa presiederà il rito dell'ultima commendatio et valedictio. Rispettando una volontà espressa da tempo a chi lo conosceva, sarà sepolto nella cripta della cattedrale di St Mary a Sydney, come gli arcivescovi suoi predecessori.
La notizia della sua morte inaspettata, arrivata poco dopo quella di Benedetto XVI, ha lasciato sotto shock i tanti che lo stimavano e ne apprezzavano il carisma e le doti di leadership. La persecuzione mediatico-giudiziaria subìta in Australia aveva persino incentivato il suo impegno a difesa della Verità, in primo luogo nella Chiesa. La Nuova Bussola Quotidiana ha voluto ricordarlo in quest'intervista a monsignor Peter J. Elliott, quello che è stato probabilmente il suo migliore amico, compagno di studi già mezzo secolo fa all'università di Oxford e poi suo vescovo ausiliare a Melbourne.
Ci racconti un aneddoto accaduto durante il periodo Oxford, 1967-1969.
Padre George Pell ed io eravamo irritati dal gruppo Slant per il “dialogo cattolico-marxista”, attivo a Oxford e composto principalmente da domenicani e laici di sinistra. Dalla nostra conoscenza della scienza politica e del comunismo, sapevamo che non ci può mai essere "dialogo" con i marxisti, solo dialettica, perché devono sempre vincere loro. Una sera, abbiamo partecipato a una riunione di Slant in una cappella del college (indossavo una cravatta rossa) e li abbiamo stuzzicati con domande provocatorie. Sul momento fu molto divertente, ma in seguito ci chiamarono «il grande bastardo australiano e il piccolo bastardo australiano».
Quando era segretario del vescovo John A Kelly, sapeva che padre Pell sarebbe stato nominato rettore del seminario Corpus Christi a Melbourne nel 1984. Perché fu scelto? E come si è comportato in quel ruolo?
Il seminario di Melbourne non era in buone condizioni, come mons. Kelly disse agli altri vescovi descrivendo loro i problemi esistenti. La sera gli studenti ortodossi in difficoltà venivano a casa del vescovo e li mandavo nel suo studio perché manifestassero la situazione del seminario. Padre Pell aveva fama di essere un preside energico che aveva rivitalizzato il college di formazione degli insegnanti a Ballarat, per questo è stato scelto. Stranamente, gli ho dato la notizia, per cenni, mentre ero nel suo presbiterio a Bungaree. È stato un buon rettore ma solo per due anni perché poi è stato nominato vescovo nel 1987.
I suoi avversari lo chiamavano "il Principe" per denigrarlo. Mentre tacevano, ad esempio, la sua azione pastorale per i malati di Aids: ce ne può parlare?
Aveva rifiutato le manifestazioni gay durante la Messa solenne nella cattedrale di St. Patrick a Melbourne, quando gli attivisti si presentavano per la Comunione indossando fasce arcobaleno, perché l'Eucaristia non doveva essere sfruttata per manifestazioni politiche. Pertanto, quando è diventato arcivescovo di Sydney nel 2001, è arrivato con la reputazione di essere “anti-gay”. In un'intervista alla stampa, gli è stato chiesto cosa ne pensasse del Gay Pride di Sidney. «Beh, non credo salirò sul carro», ha risposto, e i giornalisti hanno riso. Ciò non ha impedito un'istrionica manifestazione di strada quando si è insediato nella cattedrale di St Mary, un incidente a cui ho assistito. Ma il cardinale era un uomo compassionevole con una genuina simpatia per i malati di AIDS, e non li giudicava. Li ha visitati per confortarli e consolarli e ha incoraggiato la sanità cattolica a fornire loro cure esperte.
Per quanto riguarda il suo essere un "Principe", in pubblico si comportava con dignità principesca. Ma lavorando con sacerdoti e insegnanti e rilassandosi tra la sua famiglia e gli amici, era con i piedi per terra, mai distaccato. E aveva un buon senso dell'umorismo australiano.
Nelle sue omelie, fin da giovane, diceva che «non c'è verità senza sofferenza». Si aspettava questi tempi duri per i cattolici anche nei Paesi occidentali?
Quando ho vissuto con lui nella casa arcivescovile di Melbourne (1997-2001), questo tema è emerso nelle discussioni. Ero pessimista sull'ascesa del secolarismo in Australia e nel più ampio Occidente. Lui era più ottimista, sostenendo che le persone sono ancora fondamentalmente religiose. Conosceva bene l'insegnamento del Vaticano II sulla persona umana, nella Gaudium et Spes. D'altra parte, alcuni dei suoi eroi erano cardinali che hanno sofferto sotto il comunismo: Mindszenty, Wyszyński e Stepinac. Era amico e sostenitore del cardinale Zen, di Hong Kong, e lo ha accolto a cena nel suo appartamento dopo i funerali di papa Benedetto.
Sapeva di avere molti nemici, sia in Australia che a Roma: ne aveva paura?
George Pell non aveva paura di nessuno. Ma era consapevole che alcune persone lo temevano, così quando divenne arcivescovo di Melbourne, prese come motto le parole di Nostro Signore: «Non temere». Ciò esprimeva anche la sua visione di una Chiesa coraggiosa, radicata nella tradizione ma che non ha paura di andare avanti, di innovare e aprire nuovi orizzonti.
Cosa gli ha fatto più male e cosa gli ha dato più consolazione durante il processo e la prigionia?
È stato ferito dai processi distorti della legge, dalle bugie e dalle calunnie lanciate contro di lui. Eppure non ha mostrato questo dolore o è scivolato nell'autocommiserazione, come ho constatato quando sono andato a trovarlo in prigione. Era soddisfatto del sostegno incondizionato della sua famiglia e dei suoi amici e della consulenza legale esperta che alla fine ha portato alla decisione favorevole dell'Alta Corte. La possibilità di approfondire la sua vita di preghiera lo ha consolato in carcere, come rivelano i suoi diari pubblicati.
In una parola: cosa ha rappresentato George Pell per la Chiesa cattolica in Australia?
Leadership.
Hai mai discusso della morte con lui? Come avrebbe voluto essere ricordato?
Non ricordo di aver discusso della morte con lui, ma era molto preoccupato che insegnassimo ai bambini e ai giovani le realtà del giudizio, del paradiso, dell'inferno e del purgatorio, nei testi di educazione religiosa, To Know, Worship and Love [Conoscere, adorare e amare] che ho curato per lui. Vorrebbe essere ricordato come un pastore che ha compiuto il suo dovere per Dio e in mezzo al Popolo di Dio. "Dovere" era una delle sue parole preferite.