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IL BELLO DELLA SCUOLA/2

Quel che non funziona della nuova maturità

Conserviamo gli aspetti positivi del nuovo esame di maturità, ma con coraggio riconosciamo subito ciò che non funziona e che ha evidenziato palesi limiti. Progettiamo un esame orale serio, che faccia emergere davvero la cultura, lo spirito critico, la profondità dello studente. Appunti sugli esami appena conclusi. 

Cultura 07_07_2019

Giustizia nella valutazione e valorizzazione dell’impegno e degli sforzi profusi sono due elementi fondamentali a cui gli studenti tengono molto. Il senso della correttezza del giudizio è uno degli aspetti che maggiormente caratterizzano il mondo dei giovani, non ancora del tutto scettici, come capita più spesso nel mondo degli adulti, sul fatto che esistano imparzialità e un tentativo (imperfetto quanto si vuole) di assegnare giusti voti.

Credo fermamente che la chiarificazione dei criteri di valutazione debba avvenire all’inizio dell’anno scolastico o addirittura in principio del biennio e del triennio. Ciascun insegnante dovrebbe spiegare in maniera concreta e precisa (non fumosa, ricorrendo a categorie non ben comprensibili dai ragazzi) gli obiettivi che si devono raggiungere. Nel primo mese di scuola sarebbe opportuno commentare le interrogazioni degli studenti al momento della valutazione, non mortificando le prove, valorizzando gli aspetti positivi e, al contempo, sottolineando il percorso che si deve compiere per conseguire i miglioramenti richiesti. La valutazione deve essere in primo luogo chiara all’insegnante, non soggetta ad arbitrarietà.

Uno studente si aspetta che la valutazione sia giusta, che l’impegno venga premiato, che la scuola non sia un mondo in cui prevalgano i furbi. 

Perché ho introdotto con queste considerazioni la riflessione che accompagna la conclusione degli Esami di Stato di quest’anno? Cosa dovrebbe pensare un ragazzo sull’effettiva correttezza degli esiti degli Esami e sulla corrispondenza tra sforzi profusi e risultati raggiunti? La riforma e la modalità con cui è stata attuata hanno valorizzato realmente la fatica profusa in maniera proporzionale ai sacrifici dimostrati?

Per capirlo procediamo con ordine nell’analisi dei cambiamenti apportati all’Esame rispetto allo scorso anno.

In primis l’attuazione della riforma dell’Esame ha previsto una modifica del credito scolastico da attribuirsi agli studenti in fieri: con valore retroattivo si è stabilito che i crediti massimi con cui un ragazzo potesse arrivare agli Esami fossero 40 e non più 25, come accadeva fino all’anno scorso. Per comprendere l’iniquità della procedura basterebbe fare un semplice confronto con quanto accadrebbe se venisse stabilito di assegnare ad una squadra quattro punti per la vittoria (anziché tre) una volta che il campionato di calcio fosse già ai due terzi del calendario. Chiunque griderebbe allo scandalo, alla truffa. Come mai non si sono sentite polemiche al riguardo, né da parte degli insegnanti né tantomeno da parte degli studenti?

Per questa ragione. E siamo al punto secondo. Perché per adeguare i crediti al nuovo sistema il Ministero ha stabilito di assegnare a tutti gli studenti diplomandi nel 2019 nove punti in più (ovvero il massimo dei crediti che lo studente avrebbe potuto acquisire nel biennio precedente se avesse raggiunto la fascia più alta nella media dei voti), indistintamente, a prescindere dal merito scolastico. In questo modo, è avvenuta una grave ingiustizia nei confronti di coloro che avevano ottenuto risultati scolastici alti e si è creata un’omologazione dei voti verso l’alto. Chiaramente non sono sorte polemiche nei mesi scorsi, perché a tutti è stato attribuito lo stesso punteggio. Ma quanto è giusta questa modalità di procedere? Quanto premia la meritocrazia a scuola? La risposta è palese a tutti. Il fatto che quasi nessuno si sia lamentato o abbia contestato il criterio testimonia come ormai a scuola dominino il democraticismo, l’egualitarismo, la finta difesa delle cosiddette categorie deboli, l’assenza della valorizzazione dell’effettivo impegno nello studio.

In terzo luogo, se è senz’altro positivo il fatto che gli studenti arrivino alle prove con un punteggio di crediti scolastici che può ammontare a 40 punti al massimo su 100 (contro i 25 punti che poteva conseguire fino all’anno scorso lo studente che avesse superato in ciascun anno del triennio la media del nove), rimane il fatto che questa attribuzione dei crediti non è del tutto corretta, non tiene conto dell’effettivo andamento scolastico del ragazzo.  Un solo esempio: uno studente che conseguisse l’8,1 di media nei voti in tutte le discipline potrebbe avere gli stessi crediti di chi conseguisse l’8,9. Ognuno intende la grande diversità tra i due punteggi. Perché non inserire un’attribuzione dei crediti che sia proporzionale all’effettiva media scolastica?

In quarto luogo, non è stata modificata in corso d’opera solo l’attribuzione del punteggio, ma è stato cambiato profondamente tutto l’impianto dell’Esame. Un ragazzo avrebbe diritto di sapere all’inizio del triennio a quale tipo di Esame andrà incontro, non è corretto che lo sappia ad inizio del quinto anno, figuriamoci poi a metà dell’ultimo anno, come è avvenuto nel 2019.

Addentriamoci ora nella valutazione del cambiamento effettivo delle prove d’Esame. In questi decenni, nell’ansia di cambiamento che la caratterizza, la scuola segue mode pedagogiche e parole d’ordine. Negli ultimi anni la competenza è la parola d’ordine che governa l’insegnamento, i nuovi libri di testo, le programmazioni disciplinari. Il nuovo Esame intende valutare meglio le effettive competenze degli studenti, aiutato in questo dalle prove Invalsi cui sono sottoposti anche gli studenti di quinta, i cui risultati compariranno sul diploma per certificare le competenze in Italiano, Matematica, Lingua straniera. Ma è proprio vero che la riduzione da tre a due prove scritte vada in questa direzione? Due terzi del punteggio degli Esami sono attribuiti ai ragazzi con le prime due prove: quella di Italiano (comune a tutti gli ordini di scuola) e quella riguardante le materie di orientamento della scuola (a titolo di esempio, quest’anno Matematica e Fisica al Liceo scientifico, Latino e Greco al Liceo classico, ecc.).

In un Liceo scientifico uno studente che sa scrivere bene ed è capace in Matematica otterrà punteggi nelle prove scritte molto superiori rispetto ad uno studente che brillasse in tutte le discipline, ma conseguisse risultati discreti in quelle due materie. Tutte le altre discipline hanno un’influenza quasi nulla sull’esito degli esami, ridotta alla marginalità della prova orale. Non valuto assolutamente positiva l’abolizione della terza prova (chiamata volgarmente «il quizzone») che favoriva la profusione di un adeguato impegno nello studio di tutte le discipline e il riconoscimento dell’importanza di tutte le materie nel curricolo scolastico. La terza prova permetteva di valutare non solo le conoscenze, ma anche le competenze di altre discipline: ad esempio, in lingua inglese, in Latino, in Scienze, ecc.  Credo che le tre prove scritte dell’anno scorso valutassero meglio le competenze nel loro complesso.

Tutte le altre discipline contano davvero poco nella valutazione d’uscita se teniamo presente che la prova orale (che assegna un massimo di 20 punti) parte da una busta sorteggiata (contenente un documento relativo ad una materia a partire dal quale il candidato dovrà collegarsi anche con altri àmbiti) cui seguono la presentazione della relazione di alternanza scuola-lavoro (la cosiddetta ASL), una domanda su Cittadinanza e Costituzione e una sul CLIL (materia in lingua inglese).

Molte sono le domande che sorgono su questa prova orale: affidare il tema del colloquio al fattore fortuito della scelta casuale della busta è corretto? Non esistono troppe disparità tra alcune proposte che offrono tanti collegamenti e possono essere congeniali agli studenti ed altre, decisamente più complesse e meno adatte ad argomentazioni articolate? Le esperienze di quest’anno confermano che la componente fortuita è davvero molto influente: è lasciato al caso l’argomento non solo di una domanda, ma del corpus fondamentale del colloquio orale. Non si guardano in faccia lo studente, i suoi interessi, le sue passioni, le sue inclinazioni, potremmo dire la sua persona nel complesso. I collegamenti che gli studenti devono creare sono quasi sempre analogici, superficiali, improvvisati, privi di scientificità o di pertinenza filologica. Non abitueremo i ragazzi a trattare un po’ di tutto, a collegarsi anche senza reale ragione? Insomma, non stiamo introducendo la modalità del talk show televisivo anche a scuola? Nella Nuova sofistica latina del secolo secolo d. C. emergeva la capacità argomentativa del retore più che la verità. Questo modus operandi all’esame orale non è in fondo espressione di una valutazione della competenza retorica, priva di vero e profondo significato culturale?

Che fine farà l’originalità dei percorsi dello studente quando siti e blog realizzati ad hoc per studenti incominceranno a pubblicare i soliti e scontati collegamenti tra le discipline? Si potrà ancora parlare di capacità di collegamento da parte dello studente o si tratterà solo di memorizzare i diversi possibili collegamenti?

Se il vecchio esame presentava dei limiti e doveva essere riformato, ancor più lacunoso appare quello nuovo, soprattutto in relazione alla prova orale. Che senso ha trattare di Alternanza scuola lavoro agli esami orali in tutte le tipologie di scuola secondaria superiore, tanto più che quest’anno è stata ridotta drasticamente la quantità di ore ad essa riservata (nei Licei da duecento ore ad ottanta)? E perché affrontare Cittadinanza e Costituzione all’esame? Crescerà la coscienza civica se gli studenti ne parleranno agli esami? O gli studenti saranno pronti al lavoro se esporranno la tesina di Alternanza?

La scuola sta definitivamente ostracizzando la cultura, lo spirito critico, l’educazione. Al posto dell’educazione della persona la scuola propone una serie di educazioni, che rischiano spesso di essere mode ideologiche.

L’operazione di alleggerire l’esame, di togliere sempre più la cultura dalla scuola e di valutare le competenze (troppo spesso svincolate dalla cultura) rischia di essere un colpo mortale per l’intero impianto scolastico delle superiori. Non aspettiamo ancora vent’anni per cambiare l’esame. Conserviamo gli aspetti positivi (la novità della prima prova scritta, il maggior peso che è stato assegnato ai crediti del triennio), ma con coraggio riconosciamo subito ciò che non funziona e che ha evidenziato palesi limiti. Introduciamo di nuovo una terza prova che valuti tutte le discipline e che valorizzi l’impegno e lo studio in tutti gli àmbiti. Progettiamo un esame orale serio, che faccia emergere davvero la cultura, lo spirito critico, la profondità dello studente.