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ISLAM

Quegli strani "suicidi" di cristiani nell'esercito egiziano

Un'inchiesta di Raymond Ibrahim rivela una serie di omicidi di cristiani copti nell'esercito egiziano. Secondo le autorità si tratta di suicidi o morti naturali. Ma parenti e amici raccontano delle pressioni subite dalle vittime, per convincerle a convertirsi all'islam. Tutto ciò avviene in un esercito considerato "bastione della laicità".

Libertà religiosa 17_09_2015
Ufficiale egiziano

L’esercito egiziano è in prima linea nella lotta alle milizie jihadiste, nel Sinai e al confine con la Libia. E’ purtroppo tornato alla ribalta nelle cronache di tutto il mondo anche per aver ucciso, per errore, dodici turisti messicani che facevano un giro nell’Egitto occidentale con i fuoristrada (e per questo sono stati scambiati per jihadisti). Ma capita che, all’interno dell’esercito e lontano dalle telecamere, i soldati di fede cristiana vengano assassinati dai loro ufficiali o dai loro commilitoni, se rifiutano di convertirsi all’islam. Questo volto oscuro dell’esercito arabo più potente e numeroso del Medio Oriente, è stato rivelato da Raymond Ibrahim, in una sua recente inchiesta (http://pjmedia.com/blog/in-egypt-muslim-soldiers-slaughtering-their-fellow-christian-platoon-mates/ ).

Raymond Ibrahim, autore di Crucified Again: Exposing Islam’s New War on Christians, parte da un caso di un omicidio nelle forze armate egiziane, avvenuto lo scorso 23 agosto. Baha Saeed Karam, 22 anni, cristiano copto, è stato ucciso con quattro colpi di arma da fuoco nella sede del comando del suo battaglione, a Marsa Matruh. Testimoni che lo conoscevano, fra cui il fratello Cirillo, raccontano di come confidasse di subire pressioni dai commilitoni, per motivi religiosi. Aveva già ricevuto minacce di morte, prima del suo assassinio, perché non voleva convertirsi all’islam. Ibrahim risale appena allo scorso 24 giugno per trovare un caso di “suicidio” (ufficialmente dichiarato tale dalle autorità), di un altro soldato cristiano, Bahaa Gamal Mikhail Silvanus, 23 anni, trovato morto con due colpi alla testa. Un suicida difficilmente può spararsi due volte in testa. E chi lo conosceva, come padre Mikhail Shenouda, lo descrive come una persona serena, amante della vita e desideroso di entrare nella vita monastica dopo il suo servizio militare. Anche in questo caso, amici della vittima testimoniano di come abbia subito pressioni affinché si convertisse all’islam, fino alle minacce esplicite di morte. Ibrahim ricorda un altro caso di “suicidio” del 31 agosto 2013, quando Abu al-Khair Atta è stato trovato morto nella sua base. A suo padre, però, la vittima aveva riferito le pressioni subite da un suo ufficiale, che lo voleva convertire a tutti i costi all’islam. E ancora: Guirgus Rizq Yusif al-Maqar, 20 anni, ufficialmente morto per cause naturali il 18 settembre 2006, ma con il corpo pieno di contusioni da percosse. Anche in quel caso, un suo commilitone testimonia che il militare copto fosse “sistematicamente” insultato, umiliato, picchiato, anche ai testicoli, semplicemente perché cristiano. Un mese prima, il corpo senza vita di un altro soldato cristiano copto, Hani Seraphim, veniva trovato nel Nilo. Prima di morire aveva confidato alla sua famiglia di aver subito pressioni e minacce esplicite dal suo comandante di unità, perché non voleva convertirsi.

I casi ricordati da Raymond Ibrahim sono sorprendenti per due motivi. Prima di tutto perché sono coppie di omicidi ravvicinati fra loro, ma distribuiti in un arco di tempo molto ampio (dal 2006 al 2015), il ché suggerisce che potrebbero essere molto più numerosi. Di una morte misteriosa si parla, soprattutto, quando c’è stato un altro caso simile poche settimane o pochi mesi prima, altrimenti tende a non essere notato. Di Guirgus Rizq Yusif al-Maqar si è parlato, dunque, perché due settimane prima era stato ritrovato il corpo di Seraphim. In questo mese, si parla di Baha Saeed Karam, perché solo due mesi fa c’è stato un altro caso di copto “suicidato”. Ma quanti Baha Saeed Karam sono stati uccisi nei mesi e negli anni scorsi, nel segreto di una caserma e sotto il silenzio delle autorità? Il problema è che i racconti dei parenti o degli amici delle vittime, sembrano suggerire una certa sistematicità nel tentare di convertire i cristiani reclutati nelle forze armate, con le buone o con le cattive. Il secondo aspetto sorprendente dell’inchiesta di Ibrahim è la mancanza di correlazione fra questi delitti e il periodo in cui i Fratelli Musulmani erano al potere. Il breve periodo post-rivoluzionario e quello della presidenza Morsi (dunque dal 2011 al 2013) è coinciso, in tutto il paese, fra i civili e i militari, con la peggior persecuzione dei cristiani: pogrom, omicidi, attentati, chiese bruciate in tutto il paese. I casi citati da Ibrahim avvengono, invece, nei periodi più “laici” della storia recente egiziana: nel 2006 era ancora al potere Hosni Moubarak, nell’estate del 2013 stava esordendo il regime del generale Al Sisi e i casi più recenti dell’estate scorsa coincidono con la lotta dell’esercito regolare contro gli jihadisti.

Queste violenze non sembrano nemmeno essere causate da un’infiltrazione politica dei Fratelli Musulmani nell’esercito. Un allarme in questo senso era stato lanciato dai media egiziani e arabi nel marzo del 2013, quando le forze armate, per la prima volta, avevano accettato nei loro ranghi i parenti di militanti della Fratellanza. Anche l’accademia militare aveva aperto le porte ad aspiranti ufficiali con un background islamista. Fra cui il figlio dell’allora presidente Morsi. Con la presa del potere di Al Sisi, questa scalata alle forze di sicurezza si è interrotta. La finestra di opportunità per gli islamisti è dunque rimasta aperta solo per pochi mesi del 2013. Non si spiega con la loro presenza nei ranghi dell’esercito, dunque, questa sequenza di omicidi di cristiani, a partire dal 2006. Il problema potrebbe essere proprio quello che il politicamente corretto impone di non dire: quando la maggioranza è costituita da musulmani, le minoranze tendono a estinguersi. Raymond Ibrahim è convinto che la causa sia il retaggio della tradizionale legge di sottomissione (dhimmi), in base alla quale i non musulmani non avevano il diritto di portare armi, oltre a tante altre restrizioni delle loro libertà.