Quattro milioni a centri Lgbt
L’Unar pubblica la graduatoria che ammette a spartirsi 4 milioni di euro 37 organizzazioni Lgbt e Comuni per creare centri «contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere».
Quattro milioni di euro all’anno, tanto più in tempi di crisi, non sono proprio quisquilie. Sono passate appena due settimane da quando il Ddl Zan è stato in teoria affossato dalla “tagliola” al Senato, eppure i suoi sostenitori hanno nel frattempo segnato un uno-due di provvedimenti mica da ridere, con sotterfugi che si commentano da sé. Si è già detto del curioso emendamento al Decreto-legge Infrastrutture, approvato con un’operazione lampo, che vieta sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità contenente messaggi ritenuti «discriminatori» verso diverse categorie del politicamente corretto, tra cui la cosiddetta identità di genere e, in generale, i «diritti civili» (aborto incluso?). Una norma che sembra tagliata apposta per censurare più facilmente, tra tutte, le campagne di Pro Vita & Famiglia, come primo 'contentino' per la lobby Lgbt dopo la bocciatura della proposta Zan. Ma non è tutto.
Martedì 9 novembre si è aggiunto infatti un altro tassello alla promozione dell’agenda gay: il decreto con cui si approva la graduatoria definitiva dei progetti ammessi al finanziamento «per la costituzione di centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere», tra cui andranno spartiti i suddetti 4 milioni di euro. A esprimere soddisfazione anche il ministro Elena Bonetti. Il decreto reca la firma di Triantafillos Loukarelis, dal 2019 direttore generale dell’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), organo che dipende dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sono in totale 65 i soggetti - tra organizzazioni Lgbt e amministrazioni comunali - ritenuti idonei e, tra questi, classificati in base a un punteggio, 37 potranno accedere al finanziamento.
Tra i meandri normativi, lo stanziamento dei 4 milioni e la norma che prevede l’istituzione dei centri contro le discriminazioni risalgono rispettivamente alla legge del 17 luglio 2020, n° 77, e alla legge del 13 ottobre 2020, n° 126 (entrambe di conversione, con modificazioni, di decreti-legge). I lettori attenti ricorderanno che quei 4 milioni erano già stati previsti in un articolo del Ddl Zan e poi espunti in seguito ai rilievi della Ragioneria dello Stato per la mancata indicazione della copertura finanziaria. Nel Ddl approvato alla Camera nel novembre 2020 e poi bloccato a Palazzo Madama, infatti, i 4 milioni non ci sono. E questo perché, appunto, i paladini della causa arcobaleno avevano provveduto, già da mesi, a ‘blindarli’, infilandoli nella legge 77/2020, che convertiva il vastissimo Decreto Rilancio di maggio, mentre centinaia di migliaia di famiglie e imprese annaspavano per gli effetti del Covid e della sua gestione. Il misfatto di mezza estate, con il relativo vulnus per la dignità del Parlamento che andava discutendo norme già approvate per altra via, era stato denunciato a suo tempo dal Centro Studi Livatino. Invano.
Ed eccoci quindi, dopo qualche altra norma attuativa, alla graduatoria del 9 novembre. Destinatari dei finanziamenti più cospicui, pari a 180.000 euro ciascuno (erogabili dopo la firma di una convenzione), risultano Gay Help Line (Gay Center), Quore Aps, Caleidos Coop Sociale, Oikos Onlus, I Ken Onlus; 168.073 euro andranno a Spazio Aperto Servizi Coop, 100.000 euro a gruppi famigerati come “Il Cassero” (Arcigay di Bologna) - già protagonista nel 2015 di una rappresentazione scandalosa e offensiva della Passione di Gesù - e il Circolo “Mario Mieli”, intitolato all’omonimo attivista gay che promuoveva la pedofilia. In mezzo ad altre sigle, diverse decine di migliaia di euro andranno anche a Comuni - da Agrigento a Padova - i quali si sono anch’essi impegnati a costituire i centri diretti a offrire «adeguata assistenza legale, sanitaria, psicologica» e «ove necessario adeguate condizioni di alloggio e di vitto alle vittime di discriminazione o violenza fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere […]» (vedi legge 126/2020).
Il postulato alla base di questa rete che andrà sempre più ad avvolgere la nostra Italia è, come sempre, la presunta “emergenza”. Ma il numero di casi di discriminazione contro persone che si identificano come Lgbt, nel nostro Paese, è piuttosto limitato, e inferiore ad altre categorie sociali. Ricordiamo che i dati ufficiali pubblicati dall’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad), legato al Ministero dell’Interno, attestano 212 segnalazioni complessive (il 14% circa del totale) di asserita discriminazione per “orientamento sessuale” (197) e “identità di genere” (15) in un periodo che copre otto anni, tre mesi e venti giorni, precisamente dal 10 settembre 2010 al 31 dicembre 2018: con una semplice divisione si ottengono meno di 26 casi all’anno. Di numero superiore sono le segnalazioni riguardanti razza ed etnia (quasi il 60%) e credo religioso (quasi il 19%). Anche un solo caso di reale offesa o violenza gratuita va giustamente condannato, perché dietro c’è sempre una persona con un corpo e un’anima immortale, ma i dati testimoniano che non c’è l’emergenza che ci viene quotidianamente venduta da media e politici, specie quando si vogliono far passare certi provvedimenti. Senza contare che non di rado si montano casi mediatici al grido dell’“omotransfobia”, quando i motivi veri dietro una data vicenda risultano poi altri.
Sta di fatto che intanto, passando per le norme citate, si è in pratica approvato un altro pezzo del Ddl Zan. Non rassicura per niente che a ciò abbia contribuito un bando e la selezione dello stesso Unar, che ha nel tempo esteso il suo raggio d’azione ad ambiti che nulla c’entrano con la sua missione originaria contro le discriminazioni razziali. L’organo si è interessato sempre più di questioni Lgbt (vedi la Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni, elaborata nel 2013 e che il Ddl Zan ha cercato di risuscitare) ed è finito al centro di bufere per aver stanziato fondi antidiscriminazione anche a un circolo poi accusato di favorire, come emerso a seguito di un servizio delle Iene del 2017 (che portò tra l’altro alla revoca degli stessi fondi), promiscuità e prostituzione gay.
Sempre l’Unar dovrebbe garantire, secondo quanto dichiara sul proprio sito Internet, «il diritto alla parità di trattamento di tutte le persone» anche in relazione al loro «credo religioso». Ma questo non ha impedito, come detto, di ammettere al finanziamento il Cassero di Bologna e qualche altro gruppo gay che all’epoca dell’osceno “Venerdì, credici”, in piena Quaresima, oltre a non prendere le distanze dalle volute blasfemie, aveva espresso solidarietà allo stesso Cassero. Del resto, la cristianofobia è normalizzata. Eppure, sarebbe proprio il ritorno a Cristo delle nostre società atee l’antidoto per il rispetto di ogni persona. E per indirizzarla verso il suo vero bene.