Quando la democrazia muore, proprio alle elezioni
Il recente voto per le europee, quello in Francia e la campagna negli Stati Uniti che porterà alle elezioni di novembre. Tre esempi in cui l’appuntamento con le urne dimostra l’inaffidabilità delle democrazie moderne.
Il momento elettorale è considerato dalle democrazie moderne come il passaggio celebrativo del loro alto significato e valore. Eppure, proprio gli ultimi appuntamenti elettorali hanno dimostrato la debolezza e l’inaffidabilità delle democrazie moderne.
Il primo esempio ci è arrivato dalle elezioni per il Parlamento dell’Unione Europea. La partecipazione al voto è stata più alta del solito perché in ballo c’era da decidere su due tipi di Unione. Il significato politico del voto ha messo in evidenza una larga volontà di cambiamento. Le dimissioni del premier belga e la sconfitta del suo partito liberale, l’ottimo esito del Rassemblement national di Marine Le Pen, lo spostamento a destra interno allo stesso Partito popolare che ha ottenuto la maggioranza dei voti, il crollo dei socialisti, il significativo risultato anche di altri partiti minori che, con diverse sfumature, sottolineavano la necessità del cambiamento e il fallimento di altri – come Più Europa in Italia – che volevano premere sull’acceleratore dell’Unione… tutto questo si è trasformato in un chiaro messaggio politico, che però non è stato minimamente raccolto. E il freddo conteggio numerico dei seggi, al servizio di un deep State che non voleva e non vuole cambiamenti, ha finito per prevalere. Elezioni inutili, possiamo dire.
Il secondo esempio è venuto dalle elezioni francesi. Qui il sistema elettorale è fatto apposta per non far vincere nessuno e per favorire le ammucchiate. Il Rassemblement national ha avuto il 37 per cento dei voti, ponendosi come primo partito, ma la cosa non ha avuto nessun seguito politico perché nei seggi elettorali che sono andati al secondo turno tutti gli altri partiti hanno stretto tra di loro accordi di desistenza, avendo così la maggioranza dei seggi in parlamento. La volontà degli elettori è stata frantumata da un meccanismo elettorale complicato e che si presta a manovre politiche di ogni genere. Anche in questo caso, come nel precedente, nonostante il diverso sistema elettorale tra Strasburgo e Parigi, il pomposo cerimoniale elettorale ha di fatto impedito e non favorito la democrazia. Tra il momento in cui l’elettore segna la sua crocetta sulla scheda e quello finale nel quale si coagula un risultato politico si inseriscono mille altri fattori da cui può uscire di tutto.
Il terzo esempio viene dalle vicende americane in vista delle prossime elezioni presidenziali di novembre. Qui il partito che ha preso in giro i propri elettori rischia alla fine di essere premiato con la conquista della presidenza. Il Partito democratico aveva candidato alla competizione il presidente uscente Joe Biden, pur conoscendo la sua tarda età e alcune debolezze psicofisiche già ampiamente manifestatesi. Molti si chiedevano perché insistessero a puntare su un cavallo azzoppato, rispondendosi che, forse, ciò avvenisse perché più controllabile. In suo nome il Partito democratico aveva raccolto fondi per la campagna elettorale. Poi, il cambiamento con la vicepresidente Kamala Harris.
Il passaggio alla defenestrazione di Biden è stato voluto e guidato dai mille centri di potere che ruotano attorno al partito, da Hollywood al New York Times ai grandi magnati dell’intelligenza artificiale, alle istituzioni abortiste. Dall’oggi al domani sono stati raccolti nuovi fondi, c’è stata la mobilitazione di una grande propaganda sui media, inclusa la diffusione di sondaggi sulla “rimonta” della nuova candidata. L’esito di una tornata elettorale da cui dipendono molti destini nel mondo è abbandonato nelle mani di un elettorato tirato da una parte e dall’altra e che cambia parere in base alle suggestioni via via ricevute. Un fondamento piuttosto fragile per la “più grande democrazia del mondo”. Più avanspettacolo che vera politica.
Stefano Fontana