Privacy e deontologia: l'attacco a Shalom non è giornalismo
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Una lesione così patente della privacy delle persone della Comunità Shalom (ospiti, operatori, volontari) non si può giustificare con l’esercizio del diritto di cronaca, sia pure a fini investigativi e di scoperta di eventuali notizie di interesse pubblico. Alcuni contenuti dei servizi andati in onda l’altra sera potrebbero integrare gli estremi del reato di diffamazione, tanto più perché costruiti senza l’elementare rispetto del principio del contraddittorio.
Oltre alle fonti ufficiali i giornalisti utilizzano le loro fonti confidenziali e gli strumenti del giornalismo d’inchiesta per portare all’attenzione dell’opinione pubblica verità scomode che altrimenti non verrebbero mai scoperte. Si tratta, quindi, di una pratica lecita quando sussistono le prove di reati o quando l’interesse sociale alla conoscenza di quei fatti è talmente elevato da giustificare intrusioni indebite nella sfera di riservatezza di persone, imprese, istituzioni pubbliche.
Se, invece, il giornalista utilizza i mezzi fraudolenti - dal travestimento alle telecamere nascoste, dai teleobiettivi ai registratori accesi - per finalità di puro spionaggio o con intento malevolo per screditare e denigrare qualcuno, commette violazioni della privacy e calpesta i diritti della personalità dei protagonisti dei fatti (dignità, onore, reputazione) e per questo può essere perseguito civilmente o penalmente, oltre che essere sanzionato dai consigli di disciplina. Anche gli editori possono finire nel mirino dell’Autorità garante della privacy e dell’Autorità giudiziaria perché sono chiamati a trattare lecitamente i dati personali e sensibili dei soggetti coinvolti nel diritto di cronaca, onde evitare lesioni della loro sfera privata, e sono ovviamente tenuti a non travalicare i limiti di legge in materia di libera manifestazione del pensiero.
La trasmissione “Piazza pulita”, condotta da Corrado Formigli e in onda su La7, si era già contraddistinta in passato per sciacallaggio mediatico ai danni della cosiddetta “lobby nera” (inchiesta partita da un’inchiesta di Fanpage finita in nulla) e in moltissime occasioni ha dimostrato di portare avanti tesi preconcette assolutamente sganciate da riscontri giornalistici.
Ora sembra volersi accanire con la Comunità Shalom, che si è vista costretta a scrivere una lettera aperta a Formigli per denunciare lesioni dell’onore e della reputazione e comportamenti di dubbia correttezza sul piano deontologico all’indomani della messa in onda, giovedì scorso, di servizi riguardanti presunti abusi commessi nella Comunità stessa.
Dei dettagli della puntata e di quanto essi siano distanti dalla realtà parliamo altrove. In questa sede ci si limita a evidenziare che la giornalista spacciatasi per aspirante suora e introdottasi negli ambienti della Comunità per spiare e raccogliere immagini non era legittimata a farlo e ha in questo modo occultato la propria identità e le finalità della raccolta dati, violando l’art.2 del Codice deontologico per il corretto trattamento dei dati nell’esercizio dell’attività giornalistica, che impone trasparenza a chi fa informazione. Non è possibile mentire o nascondersi, se non di fronte alla scoperta di reati o di situazioni di innegabile interesse pubblico che contrastino palesemente con la percezione diffusa di quel fenomeno o di quei soggetti. Se il giornalista potesse sempre e comunque travestirsi e mimetizzarsi per raggiungere con le cattive quanto non gli spetta con le buone, saremmo di fronte all’anarchia e alla consacrazione della furbizia come metodo di raccolta delle notizie di interesse pubblico.
Ora, però, è giusto che si faccia chiarezza su quanto accaduto. Una lesione così patente della privacy delle persone della Comunità Shalom (ospiti, operatori, volontari) non si può giustificare con l’esercizio del diritto di cronaca, sia pure a fini investigativi e di scoperta di eventuali notizie di interesse pubblico. Alcuni contenuti dei servizi andati in onda l’altra sera potrebbero integrare gli estremi del reato di diffamazione, tanto più perché costruiti senza l’elementare rispetto del principio del contraddittorio. Alcuni giornalisti spericolati sono convinti che sbattere il mostro in prima pagina e solo in seconda battuta consultare l’altra parte possa comunque rispondere a una equilibrata ricostruzione dei fatti. Il buon giornalista, invece, non manda in onda filmati di alcun tipo senza aver prima ascoltato l’altra campana, perché una volta andato in onda un servizio sbilanciato in favore di una sola parte diventa molto più difficile riequilibrare. Chi assicura che la replica della parte ingiustamente attaccata venga ascoltata da tutte le persone che hanno già ascoltato l’iniziale versione dei fatti?
Formigli ha annunciato che continuerà a occuparsi della Comunità Shalom. C’è da augurarsi che lo faccia applicando con puntualità il principio del contraddittorio e offrendo a chi gestisce la Comunità la possibilità di smentire seccamente quanto sostenuto dalle persone intervistate e dai giornalisti che con l’inganno hanno estorto informazioni parziali e tutte da dimostrare.
Lo scandalismo che nutre disinvolti e scomposti tentativi di gogna mediatica va condannato in via preventiva per evitare che produca danni irreperabili sul piano psichico ed emotivo in soggetti da considerarsi fragili e vulnerabili come i ragazzi di quella Comunità. Il mondo dell’informazione deve avere rispetto dei percorsi travagliati e dolorosi di persone come quelle, anzi dovrebbe comprenderne a fondo la sensibilità evitando di calpestarne la dignità. Un monito che anche in altre situazioni è spesso caduto nel vuoto.