Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
OMOERESIA

Preti gay, no del Papa: la furia di Martin è concessa

"Omosessualità? Una moda, un errore accogliere in seminario chi ha tendenze radicate", dice il Papa. Ma l'omoeretico Martin lo rimbrotta cercando di interpretarlo correttamente e stravolgendo il significato della castità: "Sbaglia, così ferisce i gay". Nessuno protesta. Com'è che a lui è permessa la critica e invece chi solleva dubbi rispettosamente viene messo in croce? 

Ecclesia 08_12_2018

C’è chi dà, come al solito, la colpa ai titolisti. E chi invece accusa il papa di oscurantismo. Le reazioni dell’ala filo-gay della Chiesa e dei media mainstream alle anticipazioni del libro intervista del Pontefice su omosessualità e sacerdozio sono comunque di sconcerto, e non manca una certa sensazione di rimprovero per un tradimento. Ma come, proprio tu….

Parliamo del libro “La forza della vocazione”, un libro intervista scritto da un sacerdote spagnolo, Fernando Prado, con papa Bergoglio. Citiamo due domande e risposte: «Vi sono dei limiti che non si devono tollerare nella formazione?» chiede il sacerdote, e il papa risponde: «È evidente. Quando vi sono candidati con nevrosi e squilibri forti, difficili da poter incanalare anche con l’aiuto terapeutico, non li si deve accettare né al sacerdozio né alla vita consacrata. Bisogna aiutarli perché facciano altri percorsi, senza abbandonarli. Occorre orientarli, ma non li dobbiamo ammettere. Ricordiamo sempre che sono persone che vivranno al servizio della Chiesa, della comunità cristiana, del popolo di Dio. Non dimentichiamo questa prospettiva. Dobbiamo fare attenzione a che siano psicologicamente e affettivamente sani». E poi la domanda scottante, specialmente dopo i casi di abusi che stanno squassando la Chiesa: «Non è un segreto che nella vita consacrata e nel clero vi sono anche persone con tendenze omosessuali. Che dire su questo?». 

E qui il Pontefice fa scoppiare la bomba, ribadendo quello che è scritto nel catechismo, e nei documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede; il che non dovrebbe essere clamoroso, detto dal papa, ma invece ora lo appare, dimostrando quanto sia ampia ormai la deriva verso il “politically correct” mondano da parte della Chiesa e di molti che in essa parlano e si agitano.

Dice il pontefice. “È qualcosa che mi preoccupa, perché forse a un certo punto non è stato affrontato bene. Sempre sulla linea di quello che stavamo dicendo, ti direi che nella formazione dobbiamo curare molto la maturità umana e affettiva. Dobbiamo discernere con serietà e ascoltare anche la voce dell’esperienza che ha la Chiesa. Quando non si cura il discernimento in tutto questo, i problemi crescono. Come dicevo prima, càpita che forse al momento non siano evidenti, ma si manifestano in seguito. Quella dell’omosessualità è una questione molto seria, che occorre discernere adeguatamente fin dall’inizio con i candidati, se è il caso. Dobbiamo essere esigenti. Nelle nostre società sembra addirittura che l’omosessualità sia di moda e questa mentalità, in qualche modo, influisce anche sulla vita della Chiesa.

Ho avuto da me un vescovo abbastanza scandalizzato, che mi ha raccontato di essersi reso conto che nella sua diocesi, una diocesi molto grande, vi erano vari sacerdoti omosessuali, e che aveva dovuto affrontare tutto questo, intervenendo, prima di tutto, sulla formazione, per formare un altro clero diverso. È una realtà che non possiamo negare. Neanche nella vita consacrata sono mancati dei casi. Un religioso mi raccontava che, mentre era in visita canonica a una delle province della sua congregazione, era rimasto sorpreso. Vedeva che bravi giovani studenti e anche alcuni religiosi già professi erano gay. Egli stesso aveva dubbi sulla cosa e mi ha domandato se in questo vi era qualcosa di male. «In definitiva – diceva – non è tanto grave; è soltanto un’espressione di affetto. È un errore. Non è soltanto un’espressione di affetto. Nella vita consacrata e in quella sacerdotale non c’è posto per questo tipo di affetti. Per questa ragione, la Chiesa raccomanda che le persone con questa tendenza radicata non siano accettate al ministero né alla vita consacrata. Il ministero o la vita consacrata non sono il loro posto. I sacerdoti, i religiosi e le religiose omosessuali vanno spinti a vivere integralmente il celibato e, soprattutto, a essere perfettamente responsabili, cercando di non creare mai scandalo nelle proprie comunità né nel santo popolo fedele di Dio vivendo una doppia vita. È meglio che lascino il ministero o la vita consacrata piuttosto che vivano una doppia vita».

Padre James Martin, il più noto attivista LGBT all’interno della Chiesa, nominato consultore della Segreteria della Comunicazione, controverso relatore al Meeting delle Famiglie a Dublino, appare in difficoltà. In un’intervista afferma - e lo dice anche in tweet -: «Papa Francesco è stato, non per la prima volta, mal capito, e alcuni titolisti hanno dato alla gente l’impressione sbagliata. Ma i suoi commenti creavano piuttosto confusione sin dall’inizio». Continua padre Martin: «Prima parla di sacerdoti gay che esprimono la loro “affettività" – cioè sono sessualmente attivi – che ovviamente condanna. Dice che non dovrebbero essere accettati nei seminari o negli ordini religiosi, ma poi dice che i sacerdoti gay dovrebbero essere "perfettamente responsabili" portando alla conclusione che li accetta se sono casti…la mia sensazione è che stia essenzialmente ricordando ai preti gay che devono essere casti, come lo devono essere tutti i preti».

Continua il gesuita, commentando la frase del papa sulla “moda”: «Non posso parlare a nome del Papa, ma immagino che quando parla di moda voglia dire che si vedono sempre più persone omosessuali nella vita pubblica. Ma se vuol dire che uno è gay semplicemente perché "è di moda", non solo è sbagliato ma ferisce e perpetua l’idea che la gente gay "sceglie" il proprio orientamento». E in un ultimo disperato tentativo di salvare il salvabile, sostiene: «È importante vedere i suoi commenti in contesto con le sue affermazioni passate sui preti gay e la gente LGBT. La sua citazione più famosa, "Chi sono io per giudicare", era in risposta a una domanda sui preti gay».

Le parole di Martin sono al limite tra la critica e l'offesa. Lo accusa cercando di strumentalizzare una sua interpretazione di sbagliare, di non comprendere le cose e di ferire le persone. Eppure nessuno si straccerà le vesti. Nessuno, s'intende, della pletora di pennivendoli, guardiani della rivoluzione e incensatori pronti ad accusare chiunque in questi anni si sia permesso di sollevare critiche di tipo ben diverso al pontefice. 

Osservazioni teologiche, dubia dottrinali, appelli accorati ad essere ascoltati, domande filiali, critiche a fil di voce con richiesta di permesso: insomma, per molto meno cardinali, vescovi, giornalisti e semplici fedeli sono stati messi alla berlina come "nemici del Papa", "odiatori in servizio permanente", "torbidi manovratori anti misericordia". Invece, a Martin tutto sembra concesso, anche criticare il Papa al limite dell'offesa personale. 

Sembra quasi che la critica sia possibile solo se finalizzata alla realizzazione di una certa agenda, che passa dallo sdoganamento dell'omoeresia e arriva allo stravolgimento della dottrina. 

“Chi sono io per giudicare?”. Parte da questa frase famosa invece un commentatore di El Pais. «Di fatto Francesco ha risposto alla domanda che si è fatto da solo all’inizio del pontificato. «La sentenza ormai la conosciamo – scrive il quotidiano spagnolo progressista. Francesco giudica l’omosessualità come una moda. Giudica l’omosessualità come un comportamento sospetto e pre-deliquenzale. Stabilisce cordoni sanitari, criteri di selezione discriminatori, per evitare che gli omosessuali accedano alle vocazioni, come se fossero predisposti a rompere l’impegno del voto di castità, fino a incorrere nei delitti di pederastia che scuotono la credibilità della Chiesa». Interessante notare che El Pais fa il collegamento fra omosessualità e abusi che il Pontefice non ha mai voluto fare, dal caso cileno a McCarrick in poi, e che ha dato disposizione di negare ai suoi uomini stampa e propaganda.

Durissima la conclusione: «Mettere in relazione l’omosessualità con una moda è un esercizio di temeraria ignoranza e oscurantismo. Una moda come essere cinese. O di essere rosso. Una moda come quella di essere eterosessuale. E una moda cone quella di essere cristiano, anche se non è chiaro se Francesco appartenga alla categoria».