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Povere creature! Un film osceno, candidato all'Oscar

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Tratto dall’omonimo romanzo di Gray, il film di Lanthimos abbonda di pornografia e violenza, restituendo un’immagine degradante di sesso, libertà e femminilità. Un pessimo esempio di cinema, candidato a 11 Oscar.

Cinema e tv 29_02_2024

«La violenza è mostrata in maniera ricorrente e/o significativa e/o morbosa con enfasi su dettagli come ferite, sangue, etc. e non è giustificata dal contesto narrativo. In particolare, la narrazione della violenza sessuale è esplicita, non coerente con il contesto. Particolare attenzione viene posta al potenziale di imitazione del comportamento mostrato (14+). Scene di sesso o riferimenti ad esso sono mostrati in maniera insistita ed esplicita (14+). L’uso di armi è insistito e non giustificato dal contesto. Particolare attenzione viene posta al potenziale di imitazione del comportamento mostrato (14+). L’uso di un linguaggio blasfemo/volgare è presente in maniera insistita e non giustificato dal contesto narrativo».

La scheda qui riportata è quella presente nel database del Ministero della Cultura – Direzione generale cinema e audiovisivo. E non riguarda un filmetto sconosciuto e da quattro soldi, bensì Povere Creature! (Poor Things), pellicola vincitrice dell’ultimo Leone d’oro e di diversi altri premi cinematografici, nonché candidata a ben 11 Oscar. Il film è diretto da Yorgos Lanthimos e ispirato all’omonimo romanzo di Alasdair Gray.

Al di là degli opposti giudizi che Povere Creature! ha fin qui suscitato – chi se ne dice estasiato, chi disgustato – le varie descrizioni concordano di fatto nel restituire il quadro di un film sostanzialmente pornografico, con una trama cupa tutta percorsa dal tema della liberazione sessuale. Da qui la serie di divieti e, in alcuni Paesi, anche di scene tagliate.

Basti dire che il divieto italiano per i minori di 14 anni è uno tra i più blandi al mondo. In diversi Paesi – dal Brasile al Giappone, dal Regno Unito alla Nuova Zelanda, da alcune regioni del Canada alla Corea del Sud – lo hanno proibito ai minori di 18 anni; a Singapore il divieto è innalzato fino ai 21. Negli Stati Uniti i minori di 17 anni possono vederlo solo se accompagnati da un genitore o un tutore adulto. La Motion Picture Association (Mpa), l’organizzazione che rappresenta i sei maggiori studi cinematografici statunitensi, gli dà appunto la classificazione "R" (la seconda, per gravità), «per contenuti sessuali forti e pervasivi, nudità cruda, materiale inquietante, sangue e linguaggio [osceno]».

Noi abbiamo scelto di non vederlo, per ragioni precise. Non si tratta qui di dover confutare, per esempio, un cartoon con contenuti ideologici (vedi qui e qui) oppure un film che presenta in maniera deformata un caso storico e, quindi, da vedere per metterne in luce le incongruenze e le omissioni rispetto alla storia stessa (vedi il film di Bellocchio sul caso Mortara già descritto sulla Bussola). Di un film di cui è nota, a tutte le latitudini, la connotazione pornografica, una persona normale non direbbe che “va visto, perché bisogna valutarne la trama”. Trama che peraltro si può leggere ovunque, in primis nei siti specializzati di cinema.

Il punto è che quello che passa attraverso i nostri occhi e le nostre orecchie non è “neutro” per la nostra dimensione corporale e mentale, né tantomeno lo è per quella spirituale. Né è ragionevole credersi, come si suol dire, “adulti e vaccinati”, rispetto a certe immagini, scene, suggestioni e discorsi vari, perché il fatto che la nostra società sia impregnata di tutto ciò e che se ne siano viste tante non ti dà alcuna garanzia di immunità acquisita, allo stesso modo di come uno può essere ormai assuefatto a una determinata droga ma quella droga tale rimane: e continua a far male, anche inavvertitamente. Non per nulla i santi – si veda ad esempio quanto riporta san Giovanni Bosco nella sua biografia su san Domenico Savio (pp. 34-35) – raccomandano la custodia degli occhi e degli altri sensi.

Qualche cenno alla trama. Nella Londra vittoriana, una donna incinta, oppressa da un marito dispotico, si suicida gettandosi da un ponte. Il suo corpo senza vita è raccolto, sulle rive del Tamigi, dal dottor Godwin Baxter, che la resuscita trapiantandole il cervello della creatura che portava in grembo. Lo scienziato pazzo le dà il nome di Bella Baxter, interpretata da Emma Stone. La donna, un corpo adulto con un cervello da bambina, è come una tabula rasa, che non sa nulla di sé e deve (re)imparare tutto, dal parlare al relazionarsi con gli altri. Mentre le sue abilità motorie progrediscono lentamente, viene detto che la sua mente progredisce velocemente.

In questo contesto, in una varietà di situazioni, Bella inizia a scoprire la sua sessualità. Seguono scene di masturbazione femminile, rapporti sessuali e lesbici, sadomasochismo, prostituzione in un bordello, voyerismo, con un padre che assiste ad atti sessuali in compagnia dei suoi figli minorenni... Eccetera. In tutto questo, sottolineano alcune recensioni su IMDb (Internet Movie Database), rimane l’ambiguità sull’età mentale di Bella al suo primo rapporto, che avverrebbe in teoria verso i suoi 16 anni – con un uomo molto più grande di lei – ma con un’ingenuità di fondo che lascerebbe quantomeno dubbi sul suo reale consenso. Un’ambiguità a cui contribuisce, evidentemente, l’idea di partenza, cioè del cervello di un bambino in un corpo adulto. Al di là delle intenzioni degli autori, una simile ambiguità, in un romanzo e un film sulla “liberazione sessuale”, evoca temi cari alle lobby che vogliono normalizzare la pedofilia.

Eppure, Bella cresce e – ci informa Sette, il settimanale del Corriere – «schiaccia il patriarcato e conquista la libertà», imparando a manipolare gli uomini e «usarli per i propri scopi». Ancora, «danza libera e furiosa, rifiuta la maternità perché vuole diventare medico». Piuttosto svilente, come idea di femminilità.

Non sorprende che a Sette piaccia la pellicola di Lanthimos, ma rimane un bel punto di domanda sull’entusiasmo del sito della Diocesi di Milano, che titola: “Povere creature! Il film simbolo della libertà”. Peccato che si tratti, come visto, di una libertà perversa. Il titolo, comunque, rispecchia la recensione-elogio, a firma di Gabriele Lingiardi, in cui non si capisce se la morale naturale conti ancora qualcosa e quale posto abbia l’anima in mezzo a tanta spazzatura: ma ammessa la confusione del singolo recensore, la Diocesi ambrosiana correggerà il tiro?

Anche in questo caso, come altre volte in passato, la Commissione nazionale valutazione film della Cei manca di dare un chiaro giudizio cattolico, capace di ben orientare le anime. Si limita a concludere che «per i temi e il linguaggio in campo, il film richiede un pubblico adulto», definendo lo stesso film, che pure mostra di apprezzare, «complesso, problematico, per dibattiti». Per dibattiti? San Paolo obietterebbe: «Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi - come deve essere tra santi - né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti» (Ef 5,3-4). Starne alla larga.



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