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IL CASO

Se alla Commissione Cei piace il film pro-Lgbt

Lightyear, il film della Disney noto per il bacio lesbico e non solo, è definito «consigliabile, semplice, adatto per dibattiti» da una Commissione ad hoc della Cei. Nella scheda di valutazione nemmeno si avverte che la pellicola presenta diversi elementi di propaganda Lgbt. Una mancanza grave per un servizio pastorale, che espone a danni spirituali.

Editoriali 08_07_2022
Kiko, Alisha e bambino_scena film Lightyear

I lettori ricorderanno il caso del cinema salesiano di San Donà di Piave che ha trasmesso Lightyear - La vera storia di Buzz, film d’animazione della Pixar-Disney, noto per le diverse incursioni nella trama principale che rappresentano una «colonizzazione ideologica» in salsa Lgbt. In realtà, il caso si estende ben al di là del cinema di cui abbiamo già dato notizia, e non solo perché almeno un’altra sala parrocchiale ha in programma la proiezione della pellicola (il Cineteatro Don Bosco, in quel di Varazze, e non possiamo escludere che ci siano altri esempi simili nel resto d’Italia).

C’è infatti un problema a monte ancora più grande: la Commissione Nazionale Valutazione Film (Cnvf) della Conferenza Episcopale Italiana valuta Lightyear positivamente. Per l’esattezza, nella scheda di valutazione della Cnvf, il film della Disney viene definito: «Consigliabile, semplice, adatto per dibattiti». La Commissione della Cei motiva il suo giudizio facendo una sintesi della trama e concentrandosi sullo «sguardo antropologico» del racconto. «Buzz è un eroe - afferma la scheda - che si scopre imperfetto, fallibile, profondamente umano», la cui svolta esistenziale avviene quando comprende che non deve cercare di rimediare da solo al suo errore (l’astronave rimasta bloccata su un pianeta ostile), bensì «lasciandosi aiutare, scommettendo sul senso del lavoro di squadra». Da qui, il giudizio finale, sotto la voce Utilizzazione: «Il film è adatto per la programmazione ordinaria e per successive occasioni di dibattito, mettendo a tema l’incontro e la solidarietà, il valore del Noi».

Dei genitori che, ignari di tutto il resto, si trovassero a leggere la scheda della Commissione Cei potrebbero a ragione esclamare: «Che bello, un film adatto per i nostri bambini e ragazzi!». Beninteso: qui non si sta certo a discutere sul fatto che nel film, come sottolineato dalla Cnvf, emerga il senso del lavoro di squadra. Questa è una lettura lecita, ma parziale, perché non rende conto delle insidie presenti nella pellicola, insidie che sono tali soprattutto per i più piccoli e le coscienze non adeguatamente formate.

Il punto è infatti quel che si omette di dire, specialmente da parte di un organo che nasce per dare un orientamento cattolico. La Commissione Cei omette completamente di segnalare l’evidente propaganda Lgbt - fecondazione artificiale inclusa - che attraversa il film. Tale propaganda si realizza innanzitutto attraverso immagini, fortemente simboliche, in rapida sequenza: l’unione lesbica tra Kiko e Alisha (il personaggio principale dopo Buzz), la nascita di un bambino “figlio” delle due donne, il bacio saffico che suggella i loro 40 anni di unione, eccetera; e si realizza anche attraverso precisi messaggi verbali, sia nella prima che nella seconda parte del film: sono messaggi che hanno il fine di normalizzare “amore” e “famiglia” omosessuale, identificando nel cattivo di turno (il Buzz anziano, che vuole tornare indietro nel tempo) colui che rischia di cancellare questa nuova normalità e «le nuove idee».

Per tre volte - la prima per email il 29 giugno, poi ancora via email il 5 luglio e infine telefonicamente il 6 (quando ci è stato confermato dall’Ufficio per le comunicazioni sociali della Cei che la nostra email era stata letta) - la Nuova Bussola ha chiesto alla Commissione della Cei il perché abbia omesso di avvertire e, perfino, di menzionare la propaganda gay presente in Lightyear e se intenda correggere la propria scheda di valutazione: non ci è stata data risposta.

Rimane, dunque, un’omissione inspiegabile. A maggior ragione perché, a leggere il Regolamento della stessa Cnvf, le schede dei film sono frutto di un lavoro di squadra: compete al segretario redigerle «sulla base delle conclusioni maturate dal dibattimento tra i componenti della Commissione» (art. 8); le valutazioni pastorali vengono decise a maggioranza, con la presenza di almeno tre membri: in caso di parità prevale il voto del presidente (art. 11).

L’omissione di cui sopra - oltre a rivelarsi un tradimento per genitori e famiglie - è grave perché da un lato disorienta gli stessi cinema parrocchiali che si fidano (senza approfondire) del giudizio della Cnvf e, dall’altro, offre un paravento a quei gestori che mal sopportano il Catechismo e l’insegnamento costante della Chiesa in materia di sessualità e famiglia naturale. È pur vero che le notizie di stampa che parlano - sia da un punto di vista ‘laico’ che cattolico - di quel che la Cnvf manca di dire, ci sono; così come si appalesa sempre di più la generale linea anti-famiglia della Disney; ma ciò aumenta lo stupore di fronte alla mancanza della Cnvf, che rischia di tradursi in una maggiore confusione tra i fedeli.

La Commissione Cei definisce «consigliabile, semplice» e «adatto per la programmazione ordinaria» un film che, al contrario, il Catholic News Service - l’equivalente ufficio della Conferenza episcopale statunitense - cataloga come «adatto agli adulti, ma non agli adolescenti». Il Cns americano mette in guardia i lettori (motivando l’avvertimento con il vizietto della Disney di inserire temi ideologici), la Cnvf italiana no.

Eppure, nel documento che indica «Lo scopo specifico della Commissione» della Cei, è chiara fin dalla premessa la missione, a salvaguardia delle anime, che dovrebbe caratterizzare il lavoro della Cnvf. Nel documento si ricorda che i vescovi italiani, fin dagli anni ‘60, sottolineavano il degrado morale di certe pellicole e la necessità di vigilare in campo cinematografico, con un focus preciso: «In particolare sembra in atto un attacco sistematico, denigratorio e distruttore del matrimonio cristiano, dell’istituto familiare e dell’educazione morale del popolo. [...]. Ogni persona onesta può riflettere e osservare quali ripercussioni negative abbiano su ogni genere di pubblico, ma specialmente sull’infanzia e sulla gioventù, tale cinema e tale propaganda, sul piano psicologico, educativo, morale e religioso».

Questo scriveva la Cei nel 1965. Sembra una lezione dimenticata.