Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL DUELLO/10

Posteritati, l’autoritratto fisico e morale del Petrarca

Mentre Dante lascia poche informazioni autobiografiche, assumendo una prospettiva che nasce dall’incontro con Cristo, Petrarca dà avvio ad un’attenzione diversa per il prestigio del singolo uomo, secondo un tratto che caratterizzerà l’età umanistico–rinascimentale. Da qui nasce la lettera Posteritati, una descrizione non del tutto reale ma corrispondente a quanto il poeta vuole tramandare di sé.

Cultura 14_03_2021

Dante ha lasciato poche informazioni autobiografiche all’interno della Commedia: l’assedio del castello della Caprona, la partecipazione alla battaglia di Campaldino, la distruzione del battezzatoio del battistero di San Giovanni (forse, quando era priore di giustizia), i luoghi dell’esilio, le amicizie, Beatrice. Tutto confluisce in una prospettiva sub specie aeternitatis. Dante racconta e spiega la terra partendo da uno sguardo di eternità, dalla luce della fede e dell’amore, da un giudizio sulla realtà che nasce con l’incontro con Cristo. In questa prospettiva nessun fatto che gli è accaduto viene assolutizzato, ma è relativizzato (nel senso etimologico del termine) cioè è letto in un’ottica universale di storia della salvezza che riguarda la sua storia particolare e quella dell’umanità intera.

Petrarca vuole, invece, assolutizzare la sua vita e la sua figura, cioè ritrarla in un dipinto fuori dal tempo, astratto dalla sua contingenza storica e, nel contempo, non illuminata dalla luce dell’eterno. Ne nasce un’idealizzazione di sé, una descrizione non del tutto reale, non perfetta, ma corrispondente a quanto il poeta vuole tramandare di sé ai posteri con difetti e pregi, passioni e talenti. La possiamo leggere nella lettera Posteritati («La lettera ai posteri»).

È impensabile per Dante lasciare il proprio autoritratto, la sua attenzione non è focalizzata su di sé, ma sull’incontro che gli ha cambiato la vita, su Beatrice, donna cristofora che lo ha portato sul percorso della fede.

Petrarca dà avvio ad un’attenzione diversa per il prestigio del singolo uomo, per la sua attività, per l’eccellenza che caratterizzerà la nuova età umanistico–rinascimentale in cui non più agiografie o romanzi cavallereschi e d’avventura hanno il primato nella produzione letteraria, bensì quei testi che esaltano la vita dei grandi personaggi nei differenti settori della vita artistica, sociale, letteraria, militare. Quest’attenzione alla vita dei grandi è tipica di quell’antichità classica a cui Petrarca si rivolge idealmente. Il greco Plutarco aveva scritto Le vite degli uomini illustri, il latino Svetonio aveva focalizzato la sua attenzione sui grandi personaggi (De viris illustribus) e sugli imperatori (De vita Caesarum).

Ma nulla di simile era stato pensato prima, nessuno aveva scritto una lettera per i lettori del futuro.

Eppure non meraviglia che Petrarca l’abbia scritta, dal momento che la sua mente spaziava fra le più diverse epoche. Egli aveva già indirizzato lettere a Cicerone, Seneca, Varrone, Quintiliano, Livio, Orazio e Virgilio. E allora perché non inviare una lettera al futuro?

Così scrive Ernest Hatch Wilkins, grandissimo esperto del Petrarca, autore della fortunatissima biografia Vita del Petrarca.

Già dieci anni dopo il conseguimento dell’alloro poetico, Petrarca progetta la composizione della lettera ai posteri e proseguirà il lavoro fino a poco prima della morte. Non tradisca la modestia con cui il poeta apre l’epistola, in realtà topos letterario con cui gli scrittori spesso introducono le proprie composizioni. Intendendo lasciare un autoritratto ideale di sé Petrarca si inserisce nel numero dei grandi personaggi, degli uomini illustri di cui i posteri avrebbero dovuto far memoria, modello di uomo non solo per i contemporanei, ma anche per le generazioni successive, esponente della nuova cultura umanista, uomo di lettere, che lascerà non gesta importanti, ma opere letterarie. Ecco l’apertura della lettera:

Avrai forse inteso dire alcuna cosa di me; avvegnachè è a dubitare che un nome, quale è il mio, piccolo ed oscuro sia mai per giungere a lontani luoghi ed a tempi avvenire.

Prosegue la modestia del Petrarca quando si descrive un uomo qualunque («uno del vostro gregge») e un «omiciattolo mortale». Il poeta sintetizza le tappe della sua vita secondo una prospettiva morale:

Natura mi diede indole non malvagia o invereconda, se le contagiose abitudini non l’avessero guasta. L’adolescenza ingannommi, la gioventù seco mi trascinò, mi fece più savio la vecchiaia, quando, maestra la esperienza, conobbi la verità di quel detto, che già altre volte letto avea: «Non altro che vanità essere gli anni fioriti e il piacere».

Petrarca vuole poi consegnarci anche una descrizione fisica della sua persona: la corporatura robusta, «il sembiante» non particolarmente bello, anche se il poeta afferma che sarebbe apparso «piacente» in giovinezza. Un pittore potrebbe addirittura disegnare un ritratto:

Fresco il colorito tra il bianco e il bruno; vivaci gli occhi e la vista lungo tempo acutissima: se non che questa sul sessantesimo anno mi venne mancando; onde bisognommi, non senza repugnanza, ricorrere alle lenti. In ben disposte membra, che furono sempre sanissime, mi trovò la vecchiaia, dalla quale coll’usata schiera di malattie fui tolto in mezzo.

Di Petrarca sappiamo addirittura che portava gli occhiali! Petrarca non ci consegna solo il ritratto fisico, ma anche quello morale. Spregiatore delle ricchezze (non tanto per esse, ma per i fastidi che spesso le accompagnano), contrario «al lusso» per «l’interrompimento della quiete che apporta», Petrarca fu catturato da un unico amore onesto nella giovinezza, interrotto per la morte dolorosa della donna, che estinse il fuoco della passione che negli ultimi anni si stava affievolendo.

Il poeta passa in rassegna i sette vizi capitali sottolineando quali furono i più radicati in lui.

Non fu immune dal piacere dei sensi, quantunque avesse intrapreso la strada degli ordini minori, fu padre di almeno due figli (Giovanni e Francesca, che gli rimase vicino fino agli ultimi anni della vita), ma non conosciamo con precisione l’identità delle donne che li concepirono. Il poeta ha la coscienza della peccaminosità di queste relazioni, provocate da uno «sconcio appetito» di cui si liberò completamente dopo i quarant’anni, liberazione per cui rende grazie a Dio.

Non ha conosciuto la superbia in sé, ma in altri: non si è ritenuto mai un grande personaggio: «Per quanto piccolo, mi sono giudicato ancora più piccolo». Non fu incline all’iracondia, né alla violenza. Non soffrì del vizio dell’invidia, fu bensì invidiato soprattutto dopo il conseguimento dell’alloro poetico. Fu di animo sdegnoso, anche se dimenticava facilmente le offese, mentre ricordava i benefici ricevuti.

Nella lettera Posteritati, Petrarca racconta anche delle sue amicizie, delle passioni, delle discipline che predilige. Riserva, poi, la seconda parte della lettera alla sua biografia, dalla nascita ad Arezzo agli studi tra Carpentras, Montpellier e Bologna, dall’ascesa della fama dopo il ritorno ad Avignone e il conseguimento dell’incoronazione poetica fino agli ultimi anni della vecchiaia trascorsi ad Arquà. Ne parleremo la prossima volta.