Polonia e Ungheria, nuove minacce dall’Europa
La Commissione scrive a Ungheria e Polonia minacciando il taglio dei fondi. Dopo la dichiarazione di incompatibilità di parte della Cedu, si acuisce lo scontro Varsavia-CoE. La Corte di Giustizia Ue boccia la legge “Stop Soros” e una decisione dei giudici supremi ungheresi. Il gruppo di Visegrad fa quadrato.
In un susseguirsi di notizie e appelli di aiuto che giungono dai confini dell’est europeo, il trambusto silenzioso con il quale rispondono le istituzioni europee lascia attoniti. L’unica attività in cui si impegna, l’incurante classe dirigente di Bruxelles, è quella di proseguire nelle minacce del taglio dei fondi del Recovery a Polonia e Ungheria.
La Commissione europea il 20 novembre ha scritto all’Ungheria e alla Polonia sottolineando come i problemi dell’indipendenza della magistratura, la lotta alla corruzione e la poca trasparenza negli appalti pubblici potrebbero rappresentare un rischio per gli interessi finanziari dell’Ue; dunque, da Bruxelles si compie un altro passo verso il taglio dei fondi. Nelle stesse ore il ministro della giustizia polacco Zbigniew Ziobro incontrava il commissario europeo per la giustizia Didier Reynders e gli ribadiva che la Polonia ha il diritto di riformare il suo sistema giudiziario, “come qualsiasi altro Stato membro” dell’Unione europea. “Questo governo polacco, questo ministro polacco, non accetterà mai che alcuni Paesi possano riformare il loro sistema giudiziario, democratizzando le nomine giudiziarie, per esempio, mentre altri non possono, solo perché lo dice qualche funzionario della Commissione europea, qualche giudice della Corte di giustizia dell’Ue e che… ogni volta che i verdetti polacchi si scontrano con quelli emessi dai tribunali europei, in particolare la CGUE, è il Tribunale costituzionale che ha l’ultima parola in Polonia”, ha dichiarato Ziobro.
La situazione è seria e la Polonia non intende farsi calpestare dall’Europa - che si tratti di Unione europea o Consiglio d’Europa (CoE) - proprio nel momento in cui viene aggredita nella guerra ibrida con la Bielorussia. Con la decisione della Corte costituzionale polacca del 24 novembre, i giudici supremi hanno stabilito che una parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo è incompatibile con la Costituzione polacca e che la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) non ha la giurisdizione per valutare la legalità delle nomine dei giudici della corte polacca stessa. A maggio scorso la sentenza della Cedu aveva messo in discussione proprio la legalità delle nomine dei giudici della Corte costituzionale. Le parole del Segretario generale (Marija Pejčinović Burić) del Consiglio d’Europa, organizzazione con 47 Stati membri dalla quale dipende la Cedu, confermano la serietà dello scontro e la determinazione polacca.
Il governo d’ispirazione cristiana della Polonia intanto non perde tempo ad aspettare Ursula von der Leyen e ha già deciso di agire contro inflazione e aumento delle bollette energetiche, sostenendo famiglie e imprese con aiuti fiscali per più di due miliardi di euro a partire dal 20 dicembre prossimo.
Negli ultimi giorni si è ravvivato anche lo scontro tra Ue e Ungheria. Dopo la bocciatura da parte della Corte di Giustizia, lo scorso 16 novembre, della legge ungherese “Stop Soros” (che impedisce alle Ong di finanziare l’immigrazione illegale in Ungheria), e dopo la ricezione della lettera della Commissione sul possibile blocco dei fondi del Recovery, il primo ministro Viktor Orban il 22 novembre aveva chiesto pubblicamente e con una lettera alla presidente della Commissione europea di sospendere ogni procedura di infrazione verso il proprio Paese e la Polonia perché tali procedimenti sanzionatori, in questo contesto storico, “minano le azioni degli Stati membri volte alla protezione della loro integrità territoriale e nazionale, così come la sicurezza dei loro cittadini”, Come dargli torto?
L’Ue ha dapprima risposto il 23 novembre con una sentenza (l’ennesima) della Corte di Giustizia nella quale si dichiara illegittima una decisione della Corte costituzionale ungherese in materia di disciplina dei giudici. Poi, il giorno seguente, è stato il vicepresidente Margaritis Schinas a dire che “non c’è spazio politico di manovra nelle procedure d’infrazione. Si tratta di un processo rigorosamente definito, secondo le regole (…) non si può fermare una procedura d’infrazione per ragioni politiche o inviando lettere”. L’attacco alla Corte costituzionale ungherese, dopo quelli profusi verso i giudici supremi polacchi, non può essere definito casuale, specie se si guarda alla tempistica. Se nel caso polacco è ben chiaro che la decisione del Tribunale costituzionale di vietare l’aborto eugenetico è stata acceleratrice di un accanimento (da parte dell’Ue) senza precedenti, nel caso ungherese la decisione dei giudici supremi di approvare, lo scorso 17 novembre, la gran parte dei quesiti referendari proposti dal Governo Orban sulla legge anti-pedofili è stata l’ennesima scintilla che ha rinfocolato le ostilità dell’Ue.
Al vertice dei Paesi di Visegrad, tenutosi in questi giorni a Budapest, tutti i primi ministri hanno ribadito la loro unità e la loro totale solidarietà verso la Polonia e chiesto fermezza da parte delle istituzioni europee nel sostenere i Paesi che difendono i confini dall’immigrazione incontrollata.
Mentre l’Ue è purtroppo assente, Angela Merkel, Emmanuel Macron e Boris Johnson si incontrano con i vertici della Repubblica polacca e dimostrano un sostegno encomiabile a Varsavia per i suoi sforzi di contrasto alla guerra esplicitamente dichiarata da Lukashenko. Il peggio arriverà: gli impegni dei leader che compongono il nuovo governo “semaforo” tedesco (rossi socialisti, verdi e gialli liberali) vanno tutti nella direzione di acuire il conflitto con i Paesi centro-orientali europei sia sui valori della famiglia, dell’integrazione (europea) e dell’immigrazione, sia sul modello europeo che a Berlino si vuole ora federale e non rispettoso di identità, Stati e competenze nazionali.