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Poeti sulla Luna

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Da Apuleio a Leopardi passando per Ariosto i poeti sono sempre stati attratti dalla luna. Anche Calvino nelle Cosmicomiche racconta le avventure del protagonista Ofwfg. 

Cultura 20_11_2023

I poeti sono sempre stati attratti dalla Luna, resa oggetto di racconti e di poesie ben prima che avvenisse l’allunaggio il 20 luglio 1969.

Il poeta latino Apuleio l’aveva considerata una divinità (Iside), di cui Lucio, protagonista delle Metamorfosi, diviene adepto dopo un rito d’iniziazione di undici giorni. Iside è descritta dalle sembianze così belle che meritano di essere venerate dagli stessi dei. La lingua umana è povera e inadeguata a descriverne la bellezza. Tuttavia, Lucio si cimenta a declamarne il fascino. È lei stessa a definirsi «la madre della natura, la signora di tutti gli elementi, l’origine e il principio di tutte le età, la più grande di tutte le divinità».

Nei Canti Leopardi ha, invece, presentato la Luna come sua confidente segreta (Alla luna) o anche come ente che conosce la verità, il senso e il destino dell’uomo e dell’universo. Nel grande idillio Canto notturno di un pastore errante dell’Asia il protagonista, sempre in viaggio, nella monotonia della vita, percepisce che un senso ci deve pur essere e che qualcuno lo conosce: è la Luna, rappresentata come figura intermediaria tra la terra e il cielo. Il pastore le pone quelle domande che ha nell’animo, ridestate dalla contemplazione della realtà e della bellezza.

Ariosto nell’Orlando furioso e Calvino nelle Cosmicomiche hanno rappresentato in letteratura lo sbarco sulla Luna.

Nell’Orlando furioso il duca Astolfo, salito sull’Ippogrifo e arrivato sul Paradiso terrestre, incontra san Giovanni Evangelista che lo investe del compito di recuperare il senno di Orlando sulla Luna. Arrivatovi, Astolfo rimane sorpreso, perché vede mari, laghi, pianure, montagne del tutto simili a quelli che s’incontrano sulla Terra. Astolfo si reca, poi, in una valle dove si trova tutto ciò che l’uomo perde quaggiù. Si trovano, ad esempio, il tempo che l’uomo spreca dietro a beni futili, l’intelligenza non utilizzata, le ricchezze, le elemosine donate solo in punto di morte: solo la pazzia è ancora tutta sulla Terra. Ariosto si avvale di questa descrizione fantastica per mostrare la vanità del comportamento dell’uomo che insegue illusioni, piaceri vani, ricchezze, potere.

Ne Le Cosmicomiche, raccolta di dodici racconti, scritti tra il 1963 e il 1964, relativi all’universo e all’evoluzione, Calvino presenta alcune storie, narrate in prima persona dal protagonista Ofwfg, precedute da una breve nota introduttiva a carattere scientifico.

Il racconto «La distanza dalla Luna», basato sul fenomeno reale dell’allontanamento graduale del satellite dalla Terra (circa 3,8 cm all’anno), è il primo ad essere pubblicato. Il narratore ormai vecchio, Ofwfg, rivela che un tempo la Luna era molto vicina alla Terra. All’epoca era molto facile sbarcarvi:
Bastava andarci proprio sotto con la barca, appoggiarci una scala a pioli e montar su. Il punto dove la Luna passava più basso era al largo degli Scogli di Zinco. Andavamo con quelle barchette a remi che si usavano allora, tonde e piatte, di sughero. Ci si stava in parecchi […]. La Luna aveva una forza che ti strappava […]: bisognava tirarsi su di scatto, con una specie di capriola, afferrarsi alle scaglie, lanciare in su le gambe, per ritrovarsi in piedi sul fondo lunare.

La superficie lunare non era levigata, né tantomeno soffice, ma era simile al «ventre d’un pesce», ricoperto di «spunzoni taglienti», ovvero scaglie appuntite che nascondevano al proprio interno il latte lunare. Molti salivano sulla Luna per recuperare questa prelibatezza. «Bastava immergere il cucchiaio sotto le scaglie che coprivano il suolo crostoso della Luna e lo si ritirava pieno di quella preziosa fanghiglia».

Un giorno accadde, però, un fatto per cui la Luna si allontanò per sempre e divenne «quel cerchietto piatto e lontano» che una volta al mese torna ad essere un po’ più vicina, anche se non è più possibile salirvi sopra.

Ofwfg racconta che nelle sue avventure sulla Luna finì per innamorarsi della moglie del capitano Vhd Vhd. L’infatuazione per lei esercitava «un'attrazione pari o più forte di quella della Luna». La donna si era, invece, innamorata del cugino di lui (il sordo) che, a sua volta, era catturato dall’amore per la Luna stessa. Un giorno la signora Vhd Vhd volle anche lei salire sulla Luna per la prima volta, per potersi appartare con il cugino di Ofwfg. Il narratore avrebbe voluto seguirla, ma il capitano gli ordinò di rimanere a terra.

L’orbita della Luna si stava allargando. Nessuno l’aveva capito, tranne il sordo, forse, che non volendo dire addio alla Luna si nascose nei luoghi segreti del satellite. La moglie del capitano lo inseguì senza trovarlo. Quella notte la Luna iniziò ad allontanarsi come «come se la calamita lunare non esercitasse tutta la sua forza». Allora gli uomini che si erano recati sulla Luna si tuffarono sulla Terra. «La moglie del capitano aveva tentato anche lei il salto ma era rimasta librata a pochi metri dalla Luna, e muoveva mollemente le lunghe braccia argentee nell'aria». Ofwfg cercò di arrampicarsi sulla scala per riportare la signora sulla Terra, ma non riusciva ad arrivare a lei. Sopra di lui «l'enorme disco lunare pareva non fosse più lo stesso di prima, tanto era rimpicciolito».

La distanza dalla Luna cresceva sempre più e il cielo mostrava il suo abisso sul quale il numero delle stelle si moltiplicava, provocando sgomento e vertigine. Ofwfg allora si buttò verso la moglie del capitano, la abbracciò, la liberò dallo stato di librazione facendola ricadere però sulla Luna. Anche Ofwfg finì sul suolo lunare. Avrebbe dovuto essere felice, solo com’era con la moglie del capitano e con la Luna suo esclusivo appannaggio. Eppure ora si trovava in esilio e non pensava che alla Terra. «Era la Terra a far sí che ciascuno fosse proprio quel qualcuno e non altri». Era ansioso di tornarvi. Il compimento del suo sogno d’amore non era durato che un istante, quando si erano congiunti «roteando tra Terra e Luna». Ofwfg ora non viveva altro che la «nostalgia straziante» di ciò che gli mancava. La moglie del capitano voleva ormai assimilarsi alla Luna, aveva forse capito che il sordo non amava altro che il satellite della Terra.

I compagni di Ofwfg tornarono a navigare per toccare la Luna con lance più lunghe dotate di arpioni per «raschiare ancora un po' dell'ultima ricotta lunare», ma non  riuscivano più a toccare la superficie. Arrivò invece il sordo, su una barca più grande con una canna lunga con la quale riuscì a toccare la superficie della Luna. Voleva allontanarla come per accompagnarla verso l’orbita più distante. Ofwfg si aggrappò alla canna e poi si lasciò scivolare verso la Terra cadendo nel mare tra le barche, mentre la moglie del capitano rimase sulla Luna, avendo compreso che il sordo ora amava la Luna nella sua distanza. La Luna e l’amata erano ormai per sempre irraggiungibili.

Già il premio Nobel Albert Camus nel Caligola aveva rappresentato la Luna come espressione del desiderio di felicità infinito dell’uomo, che conserva nell’animo nostalgia di un bene che ha incontrato. Ne I pensieri Leopardi aveva scritto che, se anche ottenesse tutto il cielo stellato, l’uomo non colmerebbe il desiderio infinito di felicità, come Ofwfg che raggiunge il sogno di stare sulla Luna con l’amata e a quel punto vorrebbe tornare sulla Terra.