Poema della Croce, Alda Merini spiega come trionfò Cristo
La Croce e Cristo crocifisso rappresentano la testimonianza più visibile e concreta del cristianesimo, di cui Alda Merini amava «la dimensione dell’incarnazione». Anche lei, per anni in manicomio, aveva vissuto la sofferenza sulla propria pelle. Ma lì, in quel dolore, aveva incontrato Dio. E nel suo Poema della Croce ricordò da dove passano l’Amore e la Resurrezione
In un’intervista pubblicata sul mensile Jesus nel gennaio 2007, Alda Merini rispondeva ad alcune domande sulla fede:
Signora Merini, qual è il suo rapporto con la fede? «Non ho un rapporto con la fede, ho un rapporto con la vita. Con una vita “larga”, che tutto comprende e da cui nulla è escluso, gioia e dolore, nascita e morte, alba e lutto».
Dio non l’ha mai incontrato? «Sì, l’ho incontrato in manicomio, un posto in sé terribile, ma in cui non ho mai perso la speranza. Forse non sono mai stata felice come in quegli anni di ricovero. Dovrei stare attenta a dirlo, perché se dico che mi trovavo bene al manicomio, va a finire che qualcuno potrebbe pensare di rinchiudermi di nuovo. Infatti potrebbe essere interpretata come un palese segnale di pazzia l’affermazione che al manicomio stavo bene...».
Ma come l’ha conosciuto Dio? «Attraverso alcuni uomini. Ci sono persone che sono il rifugio dell’amore di Dio, un amore che sono capaci di trasmettere agli altri. Del cristianesimo amo la dimensione dell’Incarnazione, che impedisce il rifugio evasivo nell’astrattezza e nell’astrazione. I veri credenti mi hanno aiutato a conoscere Dio» (Jesus, gennaio 2007)
Dio e la parola (quella con la “p” minuscola), la parola (sempre con la “p” minuscola) e la Croce, il misticismo, l’Incarnazione, la sofferenza e l’Amore: tutto un viluppo, un concentrato di umanità, mista alla divinità. È inspiegabile come possa avvenire tutto ciò nella poesia. Un mistero nel Mistero. Paolo VI direbbe che è la capacità dell’arte di “rendere visibile l’invisibile”. Eppure la Croce - possiamo dirlo con forza - rappresenta la testimonianza più visibile, più reale, più concreta del cristianesimo. Un legno e un uomo. Anzi, l’Uomo degli uomini. La Croce, un oggetto e la carne. La carne, si sa, è tangibile, non è astrazione. Come non è astratta la stessa Croce che è “segno di contraddizione” e anche di “follia”, la cosiddetta “follia della Croce”.
Alda Merini lo sapeva bene, e l’aveva vissuta sulla sua pelle, martoriata e lacerata, come quella di Cristo. Nei versi del suo Poema della Croce, uscito nelle librerie nel 2004, troviamo l’ossimoro più dolce, più estremo del cristianesimo: la sofferenza che diviene Resurrezione, Speranza, Amore. Com’è possibile tutto ciò? Cerchiamo di spiegarlo con i versi stessi della poetessa milanese: Ecco il Padre amorevole/ che corre in aiuto del Figlio/ e squarcia tutte le nuvole/ e fa piovere dal cielo/ quella manciata di rose/ che noi umani chiamiamo cristianesimo./ “Perché risorgo, Padre?/ Perché il tuo nome è stato/ il mio pane quotidiano […]” (Poema della Croce).
Sono illuminazioni, queste parole. Sembrano non appartenere a questo mondo. Travalicano, con la loro forza mistica, il mondo terreno e sembrano davvero giungere dal cielo, come in un’estasi. Forse, mentre scriveva questi versi, il suo volto aveva gli stessi tratti della magnifica scultura di “Santa Teresa d’Avila in estasi” del Bernini. È facile immaginare Alda Merini trafitta dai raggi luminosi che passano dritti nel suo cuore e lo lacerano, lo trafiggono come la lancia di Longino nel costato del Cristo sulla Croce. Alda Merini scuote e riesce a immettere nel lettore la sublimità della “domanda”: possibile che la Croce possa essere accettata? In fondo, la questione è questa.
È la domanda fondamentale dell’esistenza per chi non crede, per chi è lontano da Dio. Ed è questa la domanda che pone “il muro” - così potremmo definirlo - tra l’umanità e Cristo. La Merini, con il suo Poema, cerca di dare una risposta, o comunque cerca di invogliare - anche se certamente non era questo l’intento della stesura dei versi - a porsi in ricerca di Dio, di Cristo, la sfida più nobile della coscienza. In queste pagine straordinarie, la Poesia della Merini evoca - con una forza visionaria di rara suggestione - il momento più tragico della vita di Cristo, rappresentato in tutta la sua fragilità umana, e con Lui di Sua Madre, in un dittico di grande potenza espressiva. Smarrimento, paura e muta ribellione, ma - al contempo - accettazione dolce della Croce: questo rappresenta il suo Poema.
Cristo,/ quando salì sulla croce/ era già morto./ E non sentì dolore dei chiodi/ né sentì l’anima che si liberava dal sangue./ L’ultimo grido che lanciò al cielo/ fu un’invocazione al dolore,/ che finalmente vide nella sua corposità/ come il demone dell’abbandono. (...) Ed ecco il teatro magnifico della crocifissione,/ in cui Dio crocifigge il Figlio/ e lo dimostra a tutti./ Ecco il miracolo della contemplazione/ di quel volto spento/ che suda sangue e preghiere,/ ed ecco le tenebre della morte/ cadere non su di lui/ ma sugli uomini che l’hanno crocifisso […] (Poema della Croce).
Le tenebre non vincono su Cristo che è sulla Croce. Non riescono a vincere sulla Luce gloriosa che è subito dopo la Morte, perché Cristo è nato proprio per questo. Riecheggiano le Scritture e san Paolo, in questi versi. Riecheggia la Prima Lettera ai Corinzi: “La morte è stata inghiottita nella vittoria./ Dov'è, o morte, la tua vittoria?/ Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?” (1 Cor 15, 54-55).
È la “beffa” contro il peccato, contro la Morte. La Croce diviene, in maniera scandalosa, la “beffa” contro le tenebre, proprio nel momento in cui queste sembrano vincere. E avviene tutto ciò, ce lo spiega bene il Poema della Croce, “perché nel tuo nome, Dio,/ si può tutto,/ si può nascere e morire,/ e trionfare nel mondo”.