Piattaforme digitali sempre più attive sulla scena politica
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I giganti del web sono diventati attori e interlocutori politici in grado di influenzare l'agenda internazionale. Un'evoluzione non priva di rischi, trasformando dei mezzi di informazione in strumenti di controllo funzionali alla creazione di un nuovo ordine mondiale.
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La crescente politicizzazione delle piattaforme web e social è un fenomeno che si è intensificato negli ultimi anni, prendendo una direzione sempre più controversa. Da quando Donald Trump è stato rieletto presidente degli Stati Uniti, nel novembre scorso, le grandi piattaforme digitali hanno vissuto un profondo cambiamento nella loro natura e nei loro approcci alle politiche di contenuto, spesso adattandosi agli sviluppi politici internazionali. In particolare, da quel momento, molte di queste multinazionali hanno intrapreso un “cambio di rotta” che ha visto un allineamento con le posizioni sostenute dal nuovo presidente. Questo è stato visibile soprattutto con Meta, che ha deciso di abbandonare il sistema di fact-checking, sviluppato proprio per contrastare la diffusione di notizie false e dannose. Non è un caso che Elon Musk, al momento della sua acquisizione di Twitter (ora X), abbia seguito una strategia simile, riducendo le restrizioni su determinati contenuti.
La politicizzazione delle piattaforme social ha continuato a crescere, fino ad arrivare a un punto in cui questi giganti del web non solo si sono adattati alle vicende politiche, ma sono diventati essi stessi protagonisti di scelte politiche globali. Un esempio significativo di questa dinamica è rappresentato dalla visita di Joel Kaplan, lo Chief Global Affairs Officer di Meta, al presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, presso Palazzo Chigi. I temi discussi nell’incontro hanno riguardato lo sviluppo della tecnologia e in particolare l’intelligenza artificiale, con Meta che ha espresso il desiderio di rafforzare la sua presenza in Italia e di supportare un approccio innovativo all’interno dell’Unione Europea. La dichiarazione di Kaplan, che ha definito l'Italia come una «grande forza per un cambiamento positivo» in Europa, sottolinea come le piattaforme digitali stiano cercando sempre più di costruire alleanze strategiche con i governi, piuttosto che limitarsi a seguire le normative in vigore. Questo tipo di interazione, se da un lato può sembrare un passo verso la collaborazione e l'innovazione, solleva però molteplici preoccupazioni sul potere che queste aziende stanno accumulando. Non si tratta più di semplici attori economici, ma di veri e propri interlocutori politici, che operano in stretta connessione con le decisioni governative.
Parallelamente, si sono intensificate anche le polemiche in ambito politico, con figure come Andrea Stroppa, responsabile delle operazioni di Elon Musk in Italia, che hanno sollevato questioni riguardanti il Ddl Spazio e altre normative italiane. Stroppa ha, infatti, definito gli emendamenti al Ddl Spazio come “anti-Musk”, accusando il governo di favorire tecnologie europee a scapito di aziende come Space X e Starlink, senza tenere conto della globalità del mercato tecnologico. La critica di Stroppa non è stata però condivisa da tutti, e il deputato di Fratelli d’Italia Andrea Mascaretti ha risposto sottolineando che le modifiche proposte mirano a rafforzare la sicurezza nazionale e l’indipendenza tecnologica dell’Italia. Tuttavia, dietro questa polemica si cela anche una questione legata al mancato accordo tra il governo italiano e Starlink, che avrebbe dovuto gestire le comunicazioni satellitari italiane. Il disaccordo tra le parti potrebbe compromettere il rapporto tra Elon Musk e la politica italiana, mettendo in evidenza un aspetto inquietante della crescente influenza di queste piattaforme: la capacità di orientare le politiche nazionali a loro favore.
Ma se da un lato le piattaforme hanno cercato di adattarsi agli sviluppi politici per garantire la propria sopravvivenza e ottenere il favore dei governi, dall’altro lato c’è stato anche un tentativo di “liberarsi” da alcuni vincoli imposti dai governi stessi. Un esempio di questo è la posizione di Mark Zuckerberg, CEO di Meta, che ha recentemente dichiarato di voler riportare la sua azienda alle origini, dando maggiore importanza alla libertà di espressione rispetto al controllo dei contenuti considerati falsi o dannosi. Se da un lato le piattaforme sono diventate strumenti di diffusione di idee, dall’altro stanno assumendo un ruolo attivo nella definizione delle regole del dibattito pubblico.
La questione centrale, tuttavia, è che queste piattaforme non sono più solo dei mezzi attraverso i quali passano le informazioni, ma si stanno trasformando in attori politici di prim’ordine, in grado di influenzare l’agenda internazionale e le politiche interne di molti Stati. Da un lato, alcuni potrebbero vedere questi cambiamenti come una necessità di adattamento ai tempi, una risposta alle sfide globali, ma dall’altro lato la loro crescente influenza e il loro potere di dettare l’agenda politica sollevano interrogativi sull’equilibrio tra libertà individuale e poteri pubblici. Mentre le piattaforme cercano di liberarsi da vincoli normativi, il rischio è che si pongano come arbitri, se non addirittura come entità superiori agli Stati stessi.
Il crescente potere delle piattaforme social non è dunque un fenomeno privo di rischi. Da una parte, c'è la necessità di un equilibrio tra la libertà di espressione e la tutela da contenuti dannosi, ma dall’altra parte c’è il pericolo che queste piattaforme, nella loro corsa al potere, diventino strumenti di controllo, condizionando le decisioni politiche globali. La loro crescente influenza politica potrebbe portare alla creazione di un nuovo ordine mondiale, dove i governi non sono più gli unici attori legittimi, ma devono fare i conti con una nuova classe di potenti, che dettano le regole del gioco. Come in tutte le transizioni storiche, la sfida sarà quella di trovare un giusto equilibrio tra innovazione e tutela dei diritti fondamentali.
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