Pfizergate, l'indagine europea inguaia la von der Leyen
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La notizia che la Procura europea sta indagando sul caso Pfizergate ripropone il ruolo della presidente uscente della Commissione, Ursula von der Leyen, incautamente candidata dal PPE alla guida della prossima Commissione europea, sul contratto di oltre 20 miliardi di euro sottoscritto e ampiamente pagato a Pfizer.
Il 1° aprile più fonti attendibili hanno reso nota della attivissima Procura europea (EPPO) sulle accuse di illeciti penali, in relazione ai negoziati sui vaccini tra la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e l'amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla.
La Procura europea, entrata in funzione nel 2021, già il 14 ottobre 2022 aveva pubblicamente confermato di «avere un'indagine in corso sull'acquisizione di vaccini contro la COVID-19 nell'Unione europea» ma nei giorni scorsi, per la prima volta, si è venuti a sapere di come l’indagine ora interessi anche il “Pfizergate”. Che i vari media di potere, “The Guardian”, ”Euractiv”, “Euronews”, “DW” non abbiano, sino alla giornata di ieri 2 aprile, riportato la notizia nè un commento, è parte del nuovo agreement tra le forze politiche socialiste e popolari, in vista delle europee.
Gli investigatori della Procura europea hanno sostituito i pubblici ministeri belgi che indagavano sulla von der Leyen, sospettata di «interferenza nelle funzioni pubbliche, distruzione di sms, corruzione e conflitto di interessi», anche se al momento nessun indagato è stato incriminato. L'indagine, che abbiamo descritto sulla Bussola, era stata originariamente aperta dalle autorità giudiziarie belghe nella città di Liegi all'inizio del 2023, dopo una denuncia penale presentata dal lobbista Frédéric Baldan. In seguito, la denuncia è stata sostenuta anche dai governi ungherese e polacco, anche se quest'ultimo, dopo l’aiuto ricevuto Bruxelles e dalla Commissione per scalzare il governo dei conservatori del PiS, è in procinto di ritirare la sua denuncia.
Secondo Frédéric Baldan c’è stato uno scambio di messaggi tra la von der Leyen e il capo di Pfizer Albert Bourla, in vista degli accordi sui vaccini dell'UE al culmine della pandemia di Covid-19. Il “New York Times”, che per primo nel 2021 aveva rivelato che lo scambio aveva avuto luogo, aveva avviato una causa parallela contro la Commissione dopo che c’era stato il rifiuto netto di rivelare il contenuto dei messaggi, nonostante la regolare richiesta di accesso ai documenti.
La notizia di questi giorni, cioè che l’EPPO stia ora indagando sul caso, ripropone il ruolo dell’uscente Presidente della Commissione, incautamente candidata dal PPE alla guida della prossima Commissione europea, sul contratto di oltre 20 miliardi di euro, sottoscritto e ampiamente pagato a Pfizer. L’EPPO potrebbe sequestrare telefoni e altro materiale pertinente dagli uffici della Commissione o in altri paesi europei che appartengano a Ursula von der Leyen ma, siamo chiari, dopo almeno 3 anni dai fatti e le molteplici polemiche pubbliche, cosa si vuol scovare?
Sino ad ora, nonostante indagini parlamentari e plurime richieste dell’Ombudsman europeo, la Commissione si è sempre è rifiutata di rivelare il contenuto dei messaggi di testo o, addirittura, di confermarne l'esistenza. In una risposta, a una domanda diretta rivolta dai giornalisti di “Politico”, Ursula von der Leyen aveva dichiarato recentemente che «tutto ciò che era necessario al riguardo è stato detto e scambiato con gli investigatori. E aspetteremo i risultati».
Certamente per noi che siamo garantisti, attendere la fine delle indagini e, in caso, l’esito finale del terzo grado di giudizio, è un felice dovere che rispetta ogni carta dei diritti e convenzioni, tuttora vigenti in Europa. Tuttavia, avanziamo il ragionevole sospetto che il crescente silenzio tombale calato sul Qatargate dei Socialisti europei, possa esser scambiato con quello di questi giorni sul riemergere del “Pfizergate” e delle indagini di EPPO.
A farne le spese, oltre alla verità e alla trasparenza, potrebbero essere proprio i partiti emergenti dei Conservatori ed Identitari, accusati di aver tra le proprie fila parlamentari pagati dai russi, ipotesi emersa dopo una indagine delle autorità ceche, rilanciata dal primo ministro liberale belga Alexander De Croo, durante un dibattito al Parlamento belga il 31 marzo. La presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola «è a conoscenza delle accuse mosse e sta esaminando accuse specifiche» ma intanto, i gruppi politici della maggioranza “Ursula”, Renew Europe, Socialisti, Popolari, Verdi e Sinistre, hanno chiesto un dibattito e la votazione di una risoluzione per la plenaria del 10-11 aprile a Bruxelles.
La longa manus di coloro che vogliono mantenere il potere a e di Bruxelles, siano essi politici, burocrati, lobbisti e magistrati, è già al lavoro con ogni mezzo per assicurarsi che i propri avversari, cristiani, nazionalisti e conservatori vari, non siano determinanti né nel prossimo Parlamento, né per la prossima Commissione. Tutto ciò è la conseguenza dell’ipocrita sbraitare sui valori europei che, proprio questi recenti avvenimenti, sbugiardano senza alcun dubbio.