Petrarca dedicò la vita a coltivare e curare l'amicizia
La lettera Posteritati ci mostra un uomo desideroso di oneste amicizie, dimentico delle ingiurie patite, memore dei benefici ricevuti. Il poeta afferma che ama desinare con gli amici, anche se disdegna le gozzoviglie. Possiamo affermare che la sua cifra principale è proprio il desiderio di amare e di essere amato: amava i genitori, i fratelli, il genero e il nipote come un figlio.
Conosciamo la vita e le esperienze di Petrarca con maggiore profondità di quanto si conoscano le vicende degli uomini vissuti prima di lui. Di nessun letterato, filosofo, intellettuale, artista, uomo politico che abbia calpestato la terra nei secoli precedenti al Trecento è possibile ricostruire la biografia con più attenta cura.
Le ragioni sono dovute non solo alla fama, ma anche all’immensità di note cosparse nelle pagine dei suoi libri e al vastissimo epistolario, diviso in diverse sillogi, dalle Familiares divise in ventiquattro libri (per un totale di 350 lettere) alle Seniles (125 lettere distribuite in diciassette libri), dalle Sine nomine (19 lettere) di argomento politico-religioso alle Variae fino alle Epistole metrice in versi. Petrarca scrive agli amici, ai conoscenti, ai personaggi importanti della propria epoca e delle epoche precedenti.
La lettera Posteritati, in cui Petrarca stende un ritratto ideale di sé, ci mostra un uomo desideroso di oneste amicizie, dimentico delle ingiurie patite, memore dei benefici ricevuti. Grande amante della libertà, il poeta conosce i sovrani più importanti della sua epoca che si compiacciono di averlo nelle proprie corti e di conversare con lui. Del resto, Petrarca è «l’uomo più grande del suo tempo; ed è uno degli uomini più grandi di tutti i tempi» (E. Wilkins).
Petrarca sottolinea che ha coltivato particolarmente i rapporti di amicizia, ama desinare con gli amici, anche se disdegna i lauti banchetti e le gozzoviglie. Purtroppo, essendo arrivato alla vecchiaia (settant’anni è un’età veneranda per quel tempo), Petrarca ha visto morire molti cari.
Possiamo senz’altro affermare che la cifra principale di questo poeta è proprio il suo desiderio costante di amare e di essere amato, aspetto che si può chiaramente evidenziare non solo nel rapporto (non corrisposto) con Laura, ma anche nelle relazioni con i numerosi amici e nell’affetto dimostrato ai suoi familiari.
In una lettera a Guido Sette, Petrarca parla della madre come la migliore mamma che lui abbia mai conosciuto. L’affetto che Petrarca prova per il fratello Gherardo, espresso in tante lettere, si nutre non solo del legame fraterno, ma anche di profonda stima. Il poeta invita la figlia Francesca insieme alla famiglia a vivere con lui, prima a Venezia e poi ad Arquà. Nel testamento mostra di provare per il genero un affetto filiale. Profondissimo è poi l’amore per il nipotino Francesco, morto prematuramente.
Petrarca coltiva i rapporti di amicizia come nessun altro, prova per gli amici grande devozione e attaccamento, condivide con loro la casa, il vitto e la vita, favorisce la creazione di legami di amicizia tra i suoi amici e quando scopre che alcuni legami si sono rotti interviene per riallacciarli. Nessun colpo del destino e nessuna ferita possono interrompere i suoi legami di amicizia (solo «una comprovata indegnità», scrive Wilkins. può «indurlo a venir meno a un’amicizia»). La morte degli amici più cari, che provoca in lui grandi sofferenze, trova consolazione nella considerazione che la morte non sia che una temporanea separazione.
Con la lettura dell’epistolario del Petrarca ci diventano familiari anche i suoi amici: Guido Sette, Giacomo Colonna, Socrate, Philippe de Cabassoles, Azzo da Correggio, Barbato da Sulmona, Zanobi da Strada e tanti altri.
Nella Lettera ai posteri Petrarca ci presenta anche il suo ingegno. Indubbiamente in questo caso non si rende merito sia quando lo definisce «piuttosto giudizioso che acuto, acconcio ad ogni onesta e salutar disciplina» sia quando delinea la sua eloquenza come «fiacca ed oscura» (anche se altri la trovarono «chiara e potente»). In ogni caso, Petrarca si guarda sempre, a suo dire, dal farne mostra presso gli amici. «Quando però l’argomento, il luogo e gli uditori dimandarono altro» non tralascia «di porre alquanto di studio nell’esser facondo».
Quali sono le propensioni e le passioni del Petrarca? [La mia inclinazione] fu più che mai alla filosofia morale ed alla poesia; alla quale appresso volsi le spalle, tutto preso delle Lettere Sacre, in cui gustai una segreta dolcezza che un tempo avea posto in non cale: d’allora in poi non ho coltivate le poetiche discipline che a puro ristoro.
In realtà, la cura che il poeta dedica alla rivisitazione del Canzoniere persiste tutta la vita e fino all’ultimo Petrarca sottopone al labor limae i trecentosessantasei componimenti della raccolta redigendo un’edizione finale del Rerum vulgarium fragmenta proprio negli ultimi anni.
La passione principale del poeta è, però, senza ombra di dubbio lo studio «delle cose antiche», dal momento che ha sempre disprezzato l’età a lui contemporanea. Petrarca desidererebbe «esser nato in qualsiasi altro tempo» piuttosto che il suo. Per questo ama particolarmente la storia e instaura un colloquio con gli uomini del passato, una comunione universale con gli uomini di lettere e d’ingegno che forma una sorta di res publica litterarum.
Ma è proprio vero che sarebbe stato meglio che Petrarca fosse vissuto in un’altra epoca? La sua presenza sarebbe stata più utile nei tempi antichi? Oppure l’attività del Petrarca fu così fondamentale proprio perché visse nel Trecento e anche la sua fama sarebbe stata differente in un altro secolo?