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CINA E VIRUS

Perché, solo adesso, a Biden interessa l'origine del Covid

Joe Biden ha varato un’indagine sulle origini del coronavirus. I servizi di intelligence degli Stati Uniti avranno tre mesi di tempo per scoprire come il nuovo coronavirus si sia potuto trasmettere dall’animale all'uomo. Torna in auge l'ipotesi della fuga dal laboratorio. Perché prima era solo "teoria della cospirazione" ed oggi è politica ufficiale?

Esteri 28_05_2021
Joe Biden visto da Pechino

Joe Biden ha varato, mercoledì, un’indagine sulle origini del coronavirus. I servizi di intelligence degli Stati Uniti avranno tre mesi di tempo per presentare un rapporto completo. L’obiettivo è scoprire come il nuovo coronavirus si sia potuto trasmettere dall’animale (presumibilmente un pipistrello) all’uomo. Il dubbio è che la trasmissione non sia stata del tutto naturale, ma provocata da una “fuga” dal laboratorio dell’Istituto di Virologia di Wuhan. Biden farà pressione sulla Cina perché consenta indagini trasparenti, non accontentandosi di ispezioni concordate ed estremamente controllate come quella dell’Oms, conclusa di recente. Eppure era stato proprio Biden che, una volta insediatosi alla Casa Bianca, aveva posto fine all’inchiesta del Dipartimento di Stato sulle origini del coronavirus, quella avviata per volontà dell’amministrazione Trump sotto la guida politica di Mike Pompeo. Come si spiega questa inversione di rotta, considerando che i dubbi sull’origine del coronavirus sono gli stessi che avevano dato inizio all’indagine precedente?

La storia della narrazione sulle origini della pandemia di Covid-19 è, prima di tutto, un caso studio su come l’informazione sia politicizzata a tutti i livelli. Il 30 gennaio 2020, quando la Cina aveva ammesso l’inizio di un’epidemia di un nuovo coronavirus a Wuhan, il primo a ipotizzare, in un discorso pubblico politico, la fuga di un virus dal laboratorio di Wuhan era stato il senatore repubblicano Tom Cotton: «Vorrei far notare che a Wuhan c’è l’unico super-laboratorio cinese di livello di sicurezza 4, in cui si studiano gli agenti patogeni più pericolosi del mondo, fra i quali (ebbene sì), anche i coronavirus».

Mentre la Cina silenziava le voci dissenzienti al suo interno e ridicolizzava pubblicamente la tesi della fuga da laboratorio all’estero, i fact checker dei maggiori quotidiani statunitensi, come il Washington Post e il New York Times iniziavano a smentire questa tesi anche in Occidente, liquidando le tesi di Cotton e di chiunque altro ne parlasse come “cospirative” e “marginali”. Successivamente anche la rivista Lancet ha scartato questa ipotesi, e lo ha fatto in modo plateale, pubblicando una dichiarazione di scienziati che condannavano la “teoria cospirativa secondo cui il Covid-19 non ha un’origine naturale». In questo, i “debunker” hanno gioco facile, perché è molto comune (e comodo) confondere chi ritiene che il coronavirus sia stato scientemente “fabbricato” in laboratorio (fatto non dimostrato, almeno finora), con chi ipotizza che un coronavirus, già esistente in natura e studiato dai ricercatori di Wuhan, abbia infettato membri del personale che, a loro volta, avrebbero diffuso il virus nella loro città. Fatto sta che anche la massima autorità statunitense in tema di Covid, il dottor Anthony Fauci, ha smentito categoricamente la teoria della fuga dal laboratorio e da quel momento in avanti, da marzo 2020, chiunque la sostenesse subiva il solito “debunking”, inclusa la sospensione dell’account dei maggiori social network.

Secondo il Wall Street Journal, da sempre in prima linea nella cronaca della diffusione della pandemia, dalla Cina al resto del mondo, dietro l’opera di Lancet e dello stesso Fauci vi sarebbe il forte sospetto di un conflitto di interessi: il finanziamento della ricerca dell’Istituto di Virologia di Wuhan. È lo stesso sospetto che riguarda anche il team di indagine dell’Oms e la sua strana fretta di considerare “altamente improbabile” la teoria della fuga del virus dal super-laboratorio locale. A prescindere dalla causa, si è creata quella solita elitaria narrazione in cui l’amministrazione Trump, che voleva indagare sui fatti cinesi, era accusata di voler politicizzare la pandemia e scaricare all’estero le sue colpe, mentre “la scienza” assolveva la Cina da ogni responsabilità diretta. Tutto materiale valido per la campagna elettorale.

Questo spiegherebbe, almeno in parte, perché, una volta al governo, Biden, Fauci e gli altri tecnici cooptati dalla sua amministrazione, hanno ben presto cambiato atteggiamento. Ora conta soprattutto l’interesse nazionale degli Usa, per cui la Cina è il principale rivale. Altrimenti non si spiega perché la stessa indagine, sulla base degli stessi dati di intelligence e sugli stessi sospetti (il dato è sempre quello di tre ricercatori del laboratorio di Wuhan che si sarebbero ammalati gravemente, con sintomi compatibili a quelli del Covid-19, a novembre) fino a due mesi fa era “teoria della cospirazione” ed oggi è politica ufficiale del governo federale.

Ma l’amministrazione Biden ha veramente l’intenzione di smascherare la Cina? No, secondo un suo stretto collaboratore in materia di Covid, l’equivalente del nostro coordinatore del Comitato tecnico-scientifico, il dottor Ezekiel “Zeke” Emanuel (fratello di Rahm, ex sindaco di Chicago e consigliere di Obama). Per Emanuel, intervistato dalla televisione Msnbc, scoprire l’origine del coronavirus non è il vero obiettivo di questa indagine. «Il punto non è quello di scoprire come è avvenuto – ha dichiarato – il punto vero è capire come potremmo proteggerci dalla prossima pandemia». Sulle possibili origini della pandemia in Cina, il dottore, oncologo e bioeticista, alza le mani: «Guardi… penso che si debba essere onesti: non lo sappiamo. E uno dei motivi per cui non lo sappiamo è che la Cina non è stata completamente trasparente nella gestione di tutti i dati, compresi i campioni di sangue delle persone che si sono ammalate a novembre nell’Istituto di Wuhan». Ma a quanto pare importa anche poco scoprirlo, perché tanto il vero scopo è quello di capire come implementare un “sistema di primo allarme” negli Usa, alla comparsa del prossimo virus, non importa se trasmesso all’uomo per via naturale o a causa di un laboratorio poco sicuro.

Tradotto in soldoni: anche dopo questa nuova indagine è praticamente impossibile che la Cina paghi. In compenso, alla comparsa del prossimo virus, a pagare saranno subito gli americani se, con il nuovo sistema di primo allarme, le misure che scatteranno immediatamente saranno ancora quelle del lockdown e della sorveglianza di massa, le uniche, a quanto pare, ritenute accettabili dall’ambiente scientifico.